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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Il Dipietrismo dilagante:
è solamente un fenomeno
da talk show televisivo?
di Paola Zagami
In un saggio edito da Manifestolibri,
ecco un’accurata e lucida analisi
sulla politica-reality nell’Italia di oggi
«Tv verità e reality rappresentano due dimensioni antitetiche della vita: il “politico” contrapposto al “privato”… Oggi il soggetto, l’individuo, prevale sul cittadino. E se dovessimo dare una definizione di uomo, non diremmo più che è un animale emotivo. Oggi il reality, in tutte le sue declinazioni, riscuote più successo dei reportage e delle trasmissioni-inchiesta. Perché il reality è uno specchio della società attuale. È stata la televisione a spostare il suo obiettivo dalle piazze al buco della serratura o, al contrario, è stato lo spirito del tempo a condizionare la produzione televisiva? Entrambe le cose». Difficilmente si potrebbe smentire questa affermazione del massmediologo savonese Carlo Freccero a proposito del contesto socio-politico ultimamente delineatosi in Italia.
Emblema di questo nuovo corso è il premier Silvio Berlusconi, fondatore a sua detta di un “partito dell’amore”, denigrato dai rivali politici per “invidia” e “odiato” da magistrati e giornalisti. E le cose non cambiano con i suoi antagonisti, che invocano una morale ineccepibile dentro e fuori il Parlamento, facendone una vera e propria crociata se non la principale prerogativa del proprio agire politico, come il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro. L’ex magistrato molisano, balzato agli onori della cronaca grazie al suo ruolo chiave durante la bufera di Tangentopoli, costituisce lo spunto di riflessione da cui è nato Fenomenologia di Antonio Di Pietro. Lo star system all’italiana, trappola per la democrazia di Pierfranco Pellizzetti (Manifestolibri editore, pp. 160, € 18,00).
Come anticipa sin dalle prime pagine l’autore, docente di Politiche globali presso l’Università di Genova, il testo non vuol essere una convenzionale biografia dell’ex magistrato, condita da pettegolezzi, ma piuttosto l’analisi fenomenologica del “dipietrismo” sorto «nell’inverno del nostro scontento democratico», una nuova e strana stagione in cui lo spessore politico sembra essere giudicato con i parametri dello star system.
La nuova stagione del politainment
Accantonate le tradizionali categorie del discorso politico, oggi prevale la dialettica dell’entertainment televisivo, con la spettacolarizzazione dell’aspetto maggiormente superfluo per lo sviluppo di un paese, l’emotività. Come suggerisce Pellizzetti, antesignano di questa abusatissima tendenza fu, circa mezzo secolo fa, il presidente dell’Argentina Juan Domingo Peròn, quando «dichiarò alla folla di Buenos Aires di essere stato accusato di aver sottratto cinque milioni di dollari all’Argentina. Immediatamente cominciò a parlare del suo grande affetto per i lavoratori, della gioia che provava a ritornare di tanto in tanto nella Pampa, del suo attaccamento a “l’idea dell’Argentina”, e scoppiò in lacrime. A quel punto non ci fu più bisogno di nominare nuovamente la storia dei cinque milioni di dollari».
Le dinamiche massmediatiche che coinvolgono la politica non migliorano di certo il quadro. Sembra, infatti, prevalere il talk show in stile “Vucciria” con dialoghi in cui il normale rispetto dei turni conversazionali si disintegra a favore dell’urlo libero, atto soltanto a coprire la voce dell’avversario spesso identificato nella figura del giornalista, l’unico a esprimere opinioni o a snocciolare fatti e sentenze che poco piacere fanno al malcapitato ospite.
Campioni di questa tendenza sono il conduttore Michele Santoro e il montanelliano Marco Travaglio, protagonisti di interventi poco indulgenti verso il premier e i suoi fedelissimi durante la trasmissione in onda su Rai Due Annozero. Le loro dichiarazioni, frutto perlopiù della lettura di atti giudiziari, preoccupano la politica e gli stessi vertici della Rai che nel mese di ottobre hanno disposto la sospensione di dieci giorni del conduttore e la detrazione dello stipendio in seguito a un suo “vaffa” di troppo pronunciato proprio nei loro confronti. Ma se Santoro è diventato lo sciamano del politainment, Travaglio, dalla cifra comunicativa fin troppo quieta, viene spesso travolto dagli improperi non politicamente correttissimi degli accesi sostenitori berlusconiani, vanificando spesso la sottile ma pungente ironia intrinseca ai suoi accuratissimi interventi.
Tale osservazione deve essere estesa a tutto il mondo dell’informazione in caduta libera verso la massima semplificazione dei concetti più complessi, ridotto a mero teatrino di politici onnipresenti che sguazzano volentieri nel berlusconismo o nella sua antitesi. E quando si rileva un confine sempre più indefinito tra tv verità e reality show basato esclusivamente sulla spettacolarizzazione, acquisiscono notevole fondamento le preoccupazioni del politologo Giovanni Sartori: «L’impoverimento del capire produce immagini e cancella concetti, ma così si atrofizza la nostra capacità astraente e con essa la nostra capacità di capire».
Antonio Di Pietro, leader dell’antiberlusconismo più radicale
Peculiare è l’analisi che si potrebbe fare della figura del leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro. Più questurino-magistrato che politico nel senso tradizionale del termine, Di Pietro secondo l’autore è il risultato del cambiamento della politica intercorso negli ultimi quindici anni proprio come il suo acerrimo rivale Silvio Berlusconi: «La verità è che i due miracolati della Seconda Repubblica – il riccone e il magistrato del popolo – sono espressione della stessa mentalità di destra. Precisando che nel loro caso non si tratta di un pensiero compiuto, con precisi riferimenti culturali e ideologici». Frasi da far inorridire entrambi i contendenti della politica, ma non così irragionevoli. Entrambi, secondo Pellizzetti, per accrescere i propri consensi, si appellano a categorie prepolitiche, quasi arcaiche, sostenendo l’uno il giustizialismo estremo e l’altro un più che datato anticomunismo. A loro volta incarnano essi stessi degli stereotipi – Berlusconi è l’imprenditore di successo, mentre Di Pietro è il magistrato contadino – e si identificano con il proprio partito in cui prevale una concezione di comando quasi autocratico.
In particolare, il politico di Montenero di Bisaccia ha costruito il proprio percorso politico sulla questione giustizia, toccando un nervo scoperto del generalizzato malcontento nei confronti della casta o delle varie cricche, spesso impunite. Questa ricerca spasmodica della legalità sembra, tuttavia, assumere i connotati di una religione popolare con la prevalenza di una “egolatria” piuttosto che fondarsi su basi razionali.
E se i rappresentanti di una tendenza all’irrazionale e al prepolitico sono Di Pietro e Berlusconi, sullo sfondo si staglia una “Sinistra-Zelig”, come il divertente personaggio interpretato da Woody Allen che possiede la capacità di assumere la fisionomia dei propri interlocutori.
Paola Zagami