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Comunicazione e Sociologia (a cura di Marilena Rodi) . Anno IV, n. 39, novembre 2010

Zoom immagine Politici italiani
sotto la lente
dell’umorismo

di Valentina Burchianti
La satira per svelare le trame
della nostra classe dirigente
in un testo edito da Scipioni


Non troverete indulgenza, né comprensione, né tantomeno clemenza in questo libro. La sua carica di sferzante sarcasmo farà piazza pulita di ogni eventuale volontà di mediazione, di ogni proposito di trovare giustificazioni e scappatoie, e investirà qualunque cosa trovi di fronte a sé.

Non risparmia proprio nessuno Saverio Tommasi, autore del divertente, quanto impertinente e dissacratorio testo, Voltagabbana (Scipioni, pp. 136, € 4,50).

Ci sono infatti davvero tutti, senza badare a destra o sinistra, in questa surreale e carnevalesca parata, sul carro bipartisan dei “commedianti” della politica.

Da Antonio Di Pietro ad Alessandra Mussolini, da Massimo D’Alema a Francesco Storace, l’autore li fa salire tutti, uno alla volta, sul palcoscenico scomodo e spietato dell’ammissione di quelle che la penna pungente di Tommasi ritiene essere le loro rispettive “colpe”, puntando senza remore i riflettori sulle singole incoerenze, sugli improvvisi cambiamenti di bandiera o su altri loro veri (o presunti) misfatti politici.

Non sempre possiamo dire di essere concordi con l’autore. Ma certamente possiamo sostenere che la sua ottica è sempre intelligente e di sicuro piacevole.

Tommasi affonda l’affilato coltello della satira e della comicità nelle piaghe di ogni personaggio, e lo fa servendosi delle tecniche tipiche del comico, cioè esagerando, esasperando ed accentuando certi passaggi e riflessioni scegliendo accortamente tra gli innumerevoli fatti della politica, quelli che servono al suo proprio scopo: l’ilarità e la dissacrazione.

 

Caricature della politica

Ognuno di questi personaggi è presentato anche visivamente, per sottolineare lo scopo satirico del libro, in forma caricaturale: nasi esageratamente adunchi, menti fin troppo pronunciati, smorfie che diventano ghigni diabolici, occhietti furbi nascosti dietro a seriosi occhiali da professore hanno l’effetto dirompente di farci apertamente ridere di qualcosa che invece è molto serio; e questa galleria di simpatici “mostri” è lì ad imporci una importante domanda sull’affidabilità e coerenza degli individui nelle cui mani mettiamo la nostra esistenza e il nostro futuro, singolarmente e collettivamente considerati.

E infatti si ride per non piangere, ovviamente. Voltagabbana tende per l’appunto ad esorcizzare, e quindi ad allontanare – ma solo momentaneamente – paure e dubbi, per altro, secondo Tommasi, molto ben fondati; a rivoltare in commedia ciò che, purtroppo per tutti noi, è piuttosto una lunga e spossante “tragedia”.

Il tono dell’autore è quello smaliziato e scaltro di colui che ritiene di aver ormai capito il gioco a cui la politica sta giocando e ha imparato a gestirne e riconoscerne le regole e le implicazioni, di colui che non cede a sentimentalismi e al fascino delle ideologie perché ha ormai da tempo compreso il fatto che non ne esistono più.

Voltagabbana è infatti senza dubbio un libro figlio dei nostri tempi, un testo forse impensabile, anche solo poche decine di anni fa quando la politica era un mestiere capace di attirare su di sé soprattutto le passioni e la partecipazione dei cittadini, senza essere, come accade adesso,  principalmente bersaglio di sarcasmo e battute ironiche.

Il dubbio, legittimo, che sorge è quello che forse, sotto sotto, anche in tempi meno sospetti e più riguardosi nei confronti del “mestiere politica”, la sostanza dei fatti sia stata fondamentalmente la stessa e che quello del politico non sia, in fondo, nient’altro che un complicato gioco di potere, nel quale l’unica vera bravura consiste nel saper portare bene la maschera del successo e del consenso. Può darsi. Può darsi che l’essenza stessa della politica sia esattamente questa e non ci sia modo di cambiarla.

Ciò che è oggi però, secondo Tommasi, veramente avvilente, e che ci conduce quindi dritti dritti sulla strada della satira e dell’ironia feroce, è proprio il fatto che finanche queste maschere, che avevano perlomeno lo scopo di garantire una certa apparenza di autenticità, sono state dismesse e abbandonate, che il voltagabbana è tale alla luce del sole, sotto gli occhi attoniti, ma compiacenti, di tutti.

 

Non rassegnarsi al sistema

La storia che Tommasi ci racconta è infatti quella che ormai tutta quanta l’odierna società conosce e anzi, malauguratamente, dà addirittura per scontata.

Nessuno si meraviglia più del sindaco ruffiano, nessuno si lamenta davvero del parlamentare assenteista, nessuno denuncia più il candidato corrotto e asservito.

Tutti quanti ci siamo semplicemente arresi a un fatalismo malato che ci fa dire che “tanto funziona così e nulla si può cambiare”. Storie di ordinaria follia sono ormai diventate pane quotidiano per il cittadino, che è sempre meno cittadino e sempre più, e soltanto, elettore.

Nessuno crede più alla sincerità della politica e, in questo habitat, il voltagabbana prospera indisturbato e trova enormi spazi di manovra. «In tutto ciò l’elettore resta inchiodato sotto il pavimento della cantina dei vari alloggi del voltagabbana. […] È grazie all’elettore che il pavimento non crolla, è grazie all’elettore che il voltagabbana cammina senza incontrare ostacoli, è grazie all’elettore votante un po’ stupido e un po’ complice che il voltagabbana balla, mangia e scopa sopra la nostra testa». È questo, senz’altro, il passaggio più amaro di tutta la riflessione di Tommasi perché il momento che ci fa più arrabbiare, che mostra l’impalcatura su cui si regge la beffa, è quello in cui l’autore tira in ballo anche noi cittadini, troppo spesso conniventi e passivi spettatori di quello che alle volte ci può apparire come uno squallido e misero teatrino. Del resto ogni ironia e satira degna di questo nome si basa proprio sul presupposto di una chiara presa di coscienza: l’essere stati illusi, l’essere stati raggirati sfacciatamente, senza troppi pudori e falsi riguardi. E proprio di questo si ride, di quanto si è rivelato semplice prendersi gioco di noi, della nostra faciloneria. La risata diventa dunque una forma di difesa, un allegro prendere le distanze, un modo meno doloroso per correre ai ripari. Voltagabbana ci conduce così allegramente e festosamente tra i retroscena, quasi sempre noti ma subito dimenticati, di questo mondo in cui Tommasi vede solo “commedianti”, “saltimbanchi” e “buffoni di corte” suggerendo però contemporaneamente alle coscienze di tutti coloro che lo leggeranno un’allarmante domanda e un pressante invito ad aprire finalmente gli occhi sulla reale natura di chi ci governa e decide per noi.

E, se non è sempre lecito, né maturo, né neanche rassicurante “fare di tutta l’erba un fascio”, Tommasi si avvale delle numerose “licenze poetiche” concesse al comico, lasciando interamente al suo pubblico l’onere di fare i dovuti distinguo e di cogliere le differenze in questa mattanza un po’ qualunquista della politica.

Il suo scopo è quello di farci ridere e di dissacrare, e in ciò Tommasi centra pienamente l’obiettivo. A noi tutti affida il compito di filtrare e passare al vaglio, certi che la realtà è poi sempre più complessa e articolata di qualsiasi risata liberatoria possiamo mai farci sopra. 

Non è qui in ballo difatti la legittimità di poter cambiare idea, ma l’onestà di chi, come una banderuola, muta ad ogni soffio di vento, che è poi sempre un vento che odora di denaro, di tornaconti personali, di avanzamenti di carriera.

«Non cambiare mai idea è da imbecilli, farlo ogni cinque minuti è da super mega imbecilli galattici».

Non facciamoci fregare, ci raccomanda Saverio Tommasi.

O almeno, non sempre.

 

Valentina Burchianti

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n.39, novembre 2010)

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