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Direttore editoriale: Natalia Bloise
Anno IV, n. 39, novembre 2010
Ragazze di guerra:
le donne cecene,
paure e speranze
di Mariagiulia Votta
Per Voland edizioni i racconti di vita
di donne dedite al proprio popolo
Le donne e il loro potere di incidere sul corso degli eventi, con il loro dolore, le loro vicende personali, la loro tenacia e la loro voglia di riscatto. Perché se sei donna e vivi in un paese in guerra, in un assetto sociale patriarcale ed arcaico, con leggi tribali come quelle delle montagne, l’unica speranza che hai di sopravvivere come essere umano, come cittadina e come donna è provare a cambiarla, la storia. La tua storia che è la storia del tuo popolo. La tua guerra umana e familiare che è guerra politica e sociale. «Non c’è pace in un luogo dove il sangue è scorso a fiumi e dove è ancora la violenza a determinare la vita, dove chi è armato ha ragione, la ragione delle armi». Non c’è pace in «un teatro, una piazza d’armi dove si susseguono le lotte tra i clan, tra i profittatori di guerra, gli opportunisti e i fanatici». Eppure è proprio per la pace che sognano, lottano e vivono Sulima e Malisat, Rosa, Sovdat, Lisa, Zarema, Eva, Sara: alcune delle molte voci, che tra le pagine del libro di Susanne Scholl – tradotto da Chiara Marmugi (Ragazze della guerra, Voland edizioni, pp. 160, € 14,00) trovano dignità e danno testimonianza di un mondo perennemente in bilico tra la bulimia di potere e il desiderio di pace, di un paese ancora lacerato da ingiustizie violente, come la Cecenia.
La realtà al di là della cronaca
È davvero difficile immaginare un mondo come quello delineato dalle “ragazze della guerra”. Difficile pensare che gli avvenimenti descritti, le pulizie etniche, le epurazioni, le influenze degli estremisti religiosi (wahabiti), i bombardamenti, le deportazioni, gli attentati terroristici e le stragi moscovite dell’estate del 2003 e l’autunno sanguinoso del 2004, gli attentati ai due aerei e il terribile assalto alla scuola della cittadina osseta di Beslan non siano solo contenitori nell’universo intangibile della cronaca, bensì lame realmente passate sulla pelle e sull’anima di queste donne di cui Susanne Scholl si è fatta portavoce, in un libro a metà tra l’inchiesta e il reportage.
Nel rosario di esistenze violate in ogni diritto e in ogni dignità gli amori, la resistenza, i lutti sono un susseguirsi di avvenimenti che si materializzano nella fantasia del lettore come fotogrammi di un film che ha per sceneggiatura la realtà e in cui è possibile rintracciare tutti i tasselli di un puzzle tenuto insieme dal dolore, dalla disperazione e dalla tenace tentazione della speranza.
Perché non si dimentichi
L’autrice viennese – che dal 1989 è corrispondente da Mosca per la televisione austriaca e che nel 2006, a causa dei suoi reportage sulla Cecenia, è stata arrestata dalle autorità russe – sa che ogni storia vale soprattutto per la sua unicità. «L’idea di questo libro, afferma lei stessa nella premessa, «mi è venuta effettuando ricerche per un film sulla Russia dopo la morte di Anna Politkovskaja. Allora l’attivista per i diritti umani Nataljia Estemirova era ancora in vita ed io e lei eravamo in contatto. Per le donne cecene, provate dal dolore e dalla guerra, l’uccisione di Anna Politkovskaja è stato un vero e proprio trauma. Anna era stata ad ascoltarle divenendo la loro instancabile portavoce fuori dai confini della Cecenia e della Russia. L’assassinio di Nataljia (rapita a Groznyi il 15 luglio 2009, uccisa e abbandonata in una strada sterrata vicino a Nazran’, capitale dell’Inguscezia), che aveva lavorato a stretto contatto con Anna, ha reso più profonda questa ferita. Il libro è solo un tentativo di dare voce a chi ha subito torture, a chi ha sofferto e a chi è stato costretto a scappare».
Ed è per questo che nel riportarli questi fatti, la Scholl non solo usa un linguaggio semplice, accessibile e discorsivo, ma non esprime il proprio punto di vista. Solo, in alcune rare occasioni, si ferma a riflettere su queste donne capaci «di trovare una via anche quando sembra non essercene» e sulle quali, ogni volta «riaffiora quel distacco dietro cui si nasconde un dolore, un dolore che non può riemergere, altrimenti spazzerebbe via quanto rimane di una vita più o meno normale» e che è «desiderio costante di lottare contro certe aberrazioni». Donne che hanno voglia e bisogno di narrare la loro esperienza fino in fondo, perché «per così tanto tempo nessuno ha chiesto loro niente» e che vivono al di là del concetto di paura, ma con il peso di non riuscire a seppellire i propri figli. Donne che trovano nella violenza subita la motivazione per battersi contro l’ingiustizia e la brutalità; donne, come Lisa la cantante, che nella lotta ha trovato ispirazione e adagia sulla musica parole e coraggio, cantando «è una vita senza gambe. Da tanti anni scorrono sangue e lacrime, la terra esplode, esci dal tuo sonno popolo, svegliati». Donne con sogni di una modestia disarmate, che «non cercano la felicità ma cose essenziali».
I sogni si riducono al diritto di una vita normale, dove i figli possano crescere, andare a scuola, imparare a rispettare le donne e le donne possano accudire i figli, trovare la loro dignità, la libertà di studiare e di evolvere senza temere che la loro indipendenza le porti in prigione. Donne tagliate, spezzate, al limite della disperazione e della sopravvivenza, a cui la sofferenza non ha tolto però la gioia di vivere e alle quali resta la dignità del coraggio: un sentimento che nonostante tutto non si rassegna, non cede il passo e anzi lascia emergere la speranza e la volontà di ricominciare.
di Mariagiulia Votta
(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 39, novembre 2010)
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