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Anno IV, n. 38, ottobre 2010
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Filosofia e religioni (a cura di Maria Grazia Franzè) . Anno IV, n. 38, ottobre 2010

Zoom immagine I dettami di S. Paolo
per esser liberi in sé.
Validi ieri come oggi

di Paola Zagami
Dall’Istituto teologico “San Tommaso”
un commento alla lettera ai Filippesi


Tematiche, stile e destinatari costituiscono gli elementi chiave attraverso cui collocare un testo nell’ambito della narrativa piuttosto che della saggistica.

Forzando volontariamente le differenze tra i due generi, la narrativa si potrebbe inquadrare come una risposta a un comune bisogno di evasione, mentre la saggistica potrebbe rappresentare uno strumento di approfondimento per una parte di lettori interessati o esperti di un dato argomento.

Peculiare è il caso della saggistica teologica, indubbiamente complessa e pienamente comprensibile solo grazie a un background culturale particolarmente ricco. Sebbene non facile, tale lettura non dovrebbe risultare ostica per un credente che si possa definire quanto meno curioso. Ecco dunque un motivo per leggere i saggi teologici, sostenuto, ove esista, da una necessità spirituale di interrogarsi nel proprio intimo su alcuni temi.

Sulla scorta di tali considerazioni si può prendere in esame Lettera ai Filippesi. Il cuore libero di Paolo in catene (Cooperativa San Tommaso, Editrice Elledici, pp. 184, € 18,00).

L’autore è Giuseppe Costa, professore ordinario di Sacra scrittura e vicepreside dell’Istituto teologico “San Tommaso” di Messina, che ha redatto questo testo in occasione del bimillenario della nascita di S. Paolo.

La scelta di commentare la Lettera ai Filippesi, scritta da Paolo, durante un periodo di prigionia, è legata alla sua peculiarità: emblematica del pensiero paolino ma diversa nel tenore e nel linguaggio. Con particolare pathos il santo dà indicazioni e rassicurazioni ai fedeli filippesi, dedicando in  un’ampia parte un inno a Cristo, da cui scaturiscono complesse considerazioni al confine tra teologia e cristologia.

Per agevolare un’analisi più chiara e sistematica possibile il testo è suddiviso in un capitolo di introduzione e sei di commento.

  

La Lettera ai Filippesi: il contesto

Prima di entrare nel vivo della lettera «più lettera» dell’apostolo è opportuno conoscere la cornice logistica e temporale in cui è inserita. A rispondere a tale esigenza è l’Introduzione al saggio, intitolata La prima comunità cristiana in Europa.

Da queste pagine, utile avvio all’analisi più dettagliata che segue, si apprendono numerose informazioni che i profani di teologia difficilmente conoscono.

La città di Filippi, situata in Macedonia, ai tempi di Paolo era una colonia militare romana, verso cui il santo sarebbe stato indirizzato dal Signore attraverso una visione. Qui si afferma con successo una comunità cristiana, di cui si conoscono alcuni nomi riportati dagli Atti degli apostoli: la ricca commerciante di porpora Lidia che si converte con tutta la famiglia, un carceriere pagano, e la donna pagana che possedeva lo spirito profetico e che viene esorcizzata. Tali premesse aiutano a comprendere quanto fosse intenso l’attaccamento a questa comunità in S. Paolo, al momento della stesura dell’epistola incarcerato in un luogo indeterminato, forse Efeso. I Filippesi vengono qui salutati come «fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona» (Fil 4,1).

Tuttavia le questioni sollevate dal testo non si limitano al tempo e allo spazio, ma chiamano in causa svariati esegeti. Interrogativi sulla paternità di Paolo, oggi universalmente accettata, sono stati posti per la menzione di Timoteo tra i mittenti, ma soprattutto l’unità della lettera è stata discussa. Quest’aspetto, interessante oggetto di ricerca per addetti ai lavori, nulla toglie al pensiero paolino, ma anzi ne è uno specchio assai fedele.

Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la missiva fosse la fusione di due o addirittura tre scritti differenti, ma ciò è stato confutato grazie al riconoscimento di un vocabolario uniforme riconducibile a tre campi semantici principali: liturgico, della conoscenza e affettivo. In particolare quest’ultimo conferisce peculiarità allo scritto, informale al punto che i sentimenti di gioia e fratellanza irrompono con forza tra le righe.

 

La Lettera ai Filippesi: spunti di indagine conoscitiva e interiore

Paolo di Tarso, come ognuno dei numerosi santi cristiani, è una figura assai carismatica, le cui vicende biografiche sono abbastanza atipiche. Dotto ebreo con la cittadinanza romana, da persecutore dei cristiani si trasforma in missionario in seguito alla conversione sulla via di Damasco. Più di molti altri santi determinò i cardini della dottrina cristiana attraverso le sue famose lettere rivolte a varie comunità cristiane, tra cui appunto spiccano i Filippesi. Gli spunti di riflessione presenti nella lettera indirizzata a quest’ultimi sono molteplici, ma di particolare interesse risulta la concezione di evangelizzazione.

Sin dall’inizio, Paolo, nel presentare se stesso e l’altro mittente Timoteo, usa la definizione «servi di Cristo Gesù» che nell’accezione conferita in questo caso designa non solo uno stato di obbedienza e sottomissione, ma anche uno speciale incarico missionario. E richiamando la dolorosa situazione di prigionia incoraggia i fratelli filippesi a perseguire nell’attività di predicazione ma con uno spirito puro: «Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. Questi lo fanno per amore, sapendo che io sono stato incaricato della difesa del vangelo; quelli che invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non rette, pensando di accrescere dolore alle mie catene. Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene» (Fil. 1, 15-18).

Di intenso impatto emotivo risultano altri passi della lettera, concentrati nella prima parte, etichettabili come veri e propri inviti a seguire una vera e autentica cittadinanza conforme al Vangelo di Cristo. Risulta fondamentale per la comunità sentire l’unità nella lotta condivisa per affermare la fede nel Vangelo, messe da parte vanagloria e invidie personali. Essenziale risulta il coraggio nel perseguire questa via di professare il proprio credo, considerata la pesante persecuzione subita in quegli anni: «Perché, riguardo a Cristo, a voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete visto sostenere e sapete che sostengo anche ora» (Fil 1, 29-30). Un’esortazione, una consolazione, un modello per i cristiani di ieri e di oggi, che ritrovano in questo scritto una presenza eccessiva della personalità dell’autore.

Questo elemento farebbe ricondurre la lettera al genere della periautologia, ovvero l’elogio di sé. Naturalmente l’autocelebrazione non è la finalità di Paolo che usa i topoi del genere in chiave esemplare, non esaltando le sue azioni ma ciò che Cristo è riuscito a fare in lui, in un vero e proprio processo di transfert che ha portato il santo a perdere tutto per il bene davvero grande.

 

Paola Zagami

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 38, ottobre 2010)

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