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Biografie (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno IV, n. 38, ottobre 2010

Zoom immagine La storia più recente
attraverso le riviste
ad essa dedicata.
Una ricetta originale

di Guglielmo Colombero
Da Rubbettino un’indagine esauriente
sul rapporto fra gli storici accademici
e le esigenze divulgative delle riviste


«Non esistono modelli di rivista migliori di altri. Molti studiosi di storia contemporanea continuano a prediligere riviste che facciano emergere le nuove ricerche e che le discutano, senza porsi necessariamente un problema di divulgazione. Siamo però consapevoli che sempre meno i circuiti universitari e le sole riviste, senza un confronto con i mass media, riescono ad accreditare e mettere in circolazione tesi interpretative capaci di concorrere alla costruzione del senso comune. Quali allora gli orizzonti possibili per le riviste di storia contemporanea?», osserva Maurizio Ridolfi, professore di Storia contemporanea presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università della Tuscia di Viterbo, nell’introduzione a La storia contemporanea attraverso le riviste (Rubbettino, 2008, pp. 227, € 12,00), pubblicato per conto della Società italiana per lo studio della storia contemporanea e con il contributo del Dipartimento di Studi sulla comunicazione dell’ateneo viterbese.
 

Fermenti e dibattiti nel primo trentennio repubblicano

Nel primo saggio Francesco Bonini ripercorre lo sviluppo della storiografia sia marxista che cattolica nell’Italia repubblicana, focalizzate rispettivamente sulle vicende del movimento operaio (“Mondo Operaio” e simili) e su quelle della chiesa (sul modello di “Civiltà Cattolica”). Fra i due antagonisti s’incunea talvolta una scuola di pensiero laica e liberale, aperta al confronto e al dibattito in quanto refrattaria alla logica dei muri ideologici contrapposti (come quella che ispira “Mulino” e “Itinerari”). La massima fioritura delle riviste di orientamento storico-politico si registra nei primi anni Sessanta: sulla sponda rossa nascono “Critica marxista” e “Rivista del Socialismo”, su quella laico-liberale “Clio” e “Storia e Politica”. L’era post-sessantottesca vede l’emergere della controversa figura di Renzo De Felice, direttore di “Storia contemporanea”: per la prima volta nel panorama della storiografia italiana si snoda un esperimento di rivalutazione del Fascismo. Sul versante opposto, sorge la “Rivista di storia contemporanea”, in cui Guido Quazza innesta le problematiche del potere sul tema della lotta di classe. Il trentennio 1948-1978 si chiude con “Società e Storia”: qui addirittura lievita l’ambizione di risalire alle radici più remote della storia italiana, fino al Medio Evo. E anche le battaglie femministe trovano eco nel 1981 in “Memoria. Rivista di storia delle donne”, vero e proprio pamphlet militante del movimento di liberazione femminile.

 

Il riflusso degli anni Ottanta e gli effetti del crollo del Muro

Alla fine degli anni Settanta la contaminazione fra storia e scienze sociali diventa sempre più evidente. L’appannarsi delle ideologie e una certa stanchezza del mondo intellettuale (lo shock del terrorismo ha lasciato il segno) provocano il declino e la chiusura di riviste prestigiose come la “Rivista di Storia contemporanea”, e persino di rotocalchi un tempo assai diffusi e popolari come “Storia illustrata” della Mondadori. Le riviste storico-politiche finiscono relegate in una nicchia sempre più ristretta (“Liberal”, “Micromega”, “Mondo contemporaneo”): ormai ci si arena nella frammentazione e nella dispersione di un patrimonio culturale che appare esausto e svuotato dall’interno. Alle soglie del Terzo Millennio, conclude Bonini, «riemerge comunque l’esigenza se non della sintesi, almeno di un tentativo di confronto di ampio respiro, anche come reazione a una sensazione persistente di spaesamento».

 

Lo spirito competitivo della storiografia anglosassone

Ci spiega Ilaria Favretto che un ente britannico di monitoraggio per i finanziamenti pubblici agli atenei, il Rae, da sempre include fra i criteri valutativi per l’assegnazione dei fondi anche la quantità e la qualità di pubblicazioni da parte dei corpi accademici. Uno stimolo di fondamentale importanza. Particolarmente significativo risulta l’iter del “Journal of Contemporary History” (Jch): vero e proprio mosaico internazionale (un terzo degli articoli dedicati alla Gran Bretagna, un sesto alla Germania, il resto suddiviso fra Italia, Francia e Spagna). Una particolare attenzione è stata dedicata dal Jch al Nazismo e a Mussolini. Assai interessante anche la struttura di “Contemporary European History” (Ceh), che concede ampio spazio agli storiografi italiani (nella misura del 15%): mentre, a partire dal 1995, sono apparse riviste come “Modern Italy” e “Journal of Modern Italian Studies”, in cui l’interscambio culturale fra Regno Unito e Italia gode di spazi assolutamente privilegiati. In definitiva, osserva l’autrice, «il dialogo con la storiografia italiana di area contemporaneistica esiste ma con dei limiti. Si tratta, innanzitutto, di un dialogo che si focalizza unicamente sulla storia italiana. Non sono molti gli storici italiani che si occupano della storia di altri paesi e quei pochi sono totalmente assenti dalle riviste prese in considerazione in questo studio».

 

Superare gli spettri del passato e ripensare la Storia tedesca

Nel suo scritto Andrea D’Onofrio si domanda se sia possibile «comprendere i tedeschi e la loro storia al di là delle preclusioni, sia pure legittime, scaturite dall’esperienza resistenziale e quindi dal trauma del nazionalsocialismo e dell’occupazione dopo l’8 settembre 1943, oppure se e in che modo perdurino ancora oggi anche nella storiografia rappresentazioni stereotipate, che costituiscono il nocciolo duro di subculture che si autoriproducono e si trasmettono in modo acritico nel corso delle generazioni». Riguardo all’attenzione dedicata dalla storiografia tedesca alle vicende italiane, spicca, nella comparazione fra Nazismo e Fascismo, «l’analisi sull’ebbrezza sessualizzata nella dittatura e su sessualità e masse nel fascismo e nel nazionalsocialismo» (opera dello studioso Christoph Kühberger), nonché l’agghiacciante parallelismo delle leggi razziali del 1938. Nei periodici italiani la storia contemporanea tedesca è analizzata con altrettante sfaccettature: si trattano argomenti inconsueti come le ripercussioni medico-psichiatriche della guerra sul mondo germanico, la psicologia delle kapò e dei “volenterosi carnefici di Hitler” nell’universo concentrazionario, i risvolti più tetri della logica di sterminio insita nella Lebensraumpolitik, la politica dello “spazio vitale”.

 

Fra le Alpi e i Pirenei si sono ridotte le distanze culturali

Nel saggio firmato da Laura Zenobi e Alfonso Botti si incrociano le visuali reciproche delle storiografie italiana e spagnola. La riflessione prevalente nei periodici italiani riguardo alle vicende iberiche è focalizzata sulla Guerra civile: la costruzione del “nemico interno” da parte del regime franchista, l’antisemitismo in versione iberica, la questione dell’oblio nel dopo-Franco. Sul versante spagnolo, invece, si preferisce indagare sul machismo di Mussolini, oppure su episodi poco noti, come il nascondiglio degli ebrei romani in un edificio vicino al Vaticano durante il rastrellamento delle SS nel ghetto di Roma. Alcune inchieste risultano particolarmente originali e stimolanti, come quella sulla concezione del tempo libero nei regimi fascisti, o quella condotta sui fascismi europei, teorizzati come articolazioni di un unico fenomeno nel nome di una comune religione politica. In definitiva «occorre riconoscere che si è percorsa molta strada nella direzione di una reciproca conoscenza anche sul piano storico» pur notando che «la mobilità degli storici (dato positivo e nuovo rispetto al passato) fa ancora ampiamente aggio sulla circolazione delle storiografie. Prevale (per non dire che è dominante) la “comparazione pigra” o self helpismo comparatistico: nel senso che la rivista (spagnola o italiana che sia) propone un tema, individua studiosi di vari paesi che possono svolgere l’argomento e poi pubblica i contributi che ottiene uno accanto all’altro, lasciando al lettore il compito di comparare e tirare le conclusioni».

 

L’abbattimento del Muro e la riedificazione della verità storica

Nel saggio di Antonella Salomoni si evidenzia l’importanza di uno dei fenomeni storicamente più importanti ma mediaticamente più trascurati messi in moto dalla Rivoluzione del 1989: insieme al Muro si è infatti sgretolata anche la cortina di segretezza attorno agli archivi degli stati un tempo appartenenti all’orbita sovietica. Una volta scoperchiato, questo pazzesco vaso di Pandora ha eruttato fuori di tutto: la struttura sistematica del grande terrore staliniano e il ricorrere endemico delle carestie nella pianificazione sovietica, tanto per citare due degli incubi più immanenti del totalitarismo rosso, ma, osserva l’autrice riguardo alla riunificazione tedesca, anche «una marcata difficoltà a consolidare quel comune senso di appartenenza ch’era nato attorno a un simbolo negativo (la caduta del Muro) […] un ripiegamento nostalgico piuttosto che una riappropriazione critica del passato». Particolarmente interessante l’itinerario della rivista “Ventunesimo Secolo”, diretta dagli storici Gaetano Quagliariello e Victor Zaslavsky, che ha concentrato il suo focus sulla transizione dal comunismo alla democrazia nell’Europa orientale, mettendo in luce, fra l’altro, come in questi paesi «spesso si è assistito al ripiegamento verso nuove forme di autoritarismo con un parziale fallimento nella costruzione di un sistema politico pluralistico». Basti pensare al grottesco tentativo di restaurazione clericalfascista dei gemelli Kaczynski in Polonia, fortunatamente inceppato dalla vittoria elettorale dell’europeista Donald Tusk nel 2007.
Altro tema di indubbia rilevanza è quello della “riappropriazione della memoria”: osserva l’autrice come «ancora non si sia compiuto uno sforzo decisivo, in chiave comparata, per spiegare i meccanismi più delicati di rinascita della coscienza storica nazionale, un fenomeno tipico nel passaggio dall’era comunista a quella post comunista».

 

Jedwabne: la Shoah nel segno della croce e non della svastica?

Un’eco del malessere che ha suscitato il rifiorire del dibattito storicistico proprio in Polonia si ritrova nelle furibonde polemiche seguite alla pubblicazione del libro di Jan

T. Gross I carnefici della porta accanto: 1941, il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia (Mondadori, 2002), culminate nell’accusa all’autore di incitamento all’odio razziale. L’eccidio avvenne il 10 luglio 1941, ad opera non delle SS tedesche ma dei paesani stessi guidati dal sindaco cattolico Marian Karolak: i 1600 ebrei residenti a Jedwabne furono rastrellati dai loro vicini di casa, costretti ad abbattere il monumento a Lenin eretto durante l’occupazione sovietica, infine in parte ammazzati con pugnali e bastoni e in parte bruciati vivi dentro un granaio a cui fu appiccato il fuoco. Nulla di più pericoloso, nella Polonia attuale, di un «antisemitismo senza ebrei»: tre milioni di ebrei polacchi furono sterminati dai nazisti, e i pochi superstiti costretti a emigrare in Israele dopo la guerra dei Sei giorni del 1967. Osserva Salomoni che si è avuta una sorta di «“reificazione” dell’ebreo, percepito come straniero minaccioso, che va di pari passo con la “feticizzazione” della storia nazionale, il più importante principio di legittimazione dell’identità collettiva in un periodo di complessa transizione socio-economica, di nostalgia pervasiva e di disperazione culturale». E anche in paesi vicini, come la Lituania, «molti criminali di guerra sono stati riabilitati, mentre al contempo si è enfatizzato il ruolo degli ebrei comunisti durante l’occupazione sovietica al fine di controbilanciare e persino giustificare il collaborazionismo».

 

Statistiche sulle riviste francesi e interscambio con Usa e Canada

Catherine Brice ci fornisce una comparazione fra Italia e Francia riguardo alle influenze reciproche in materia di conoscenza delle storiografie nazionali (ricorrendo ad alcuni diagrammi cartesiani), mentre l’articolo di Daniele Fiorentino si occupa di Stati Uniti e Canada: secondo l’autore «in molti casi le riviste di storia contemporanea hanno fatto da cassa di risonanza a un crescente interesse per l’Italia indotto tanto da una maggiore attenzione per la cultura, quanto e soprattutto dall’affermazione di alcuni importanti prodotti e stili italiani che si sono imposti sul mercato americano».

Un profilo di estremo interesse riguarda l’indagine sociologica sulla Donna italiana: nel 2004 il “Journal of Women’s History” ha pubblicato un intervento di Luisa Tasca, intitolato The “Average Housewife” in Post World War II Italy dove «partendo da un’analisi disgiunta della donna, casalinga piccolo-borghese o contadina, lasciata in eredità dal Fascismo, mette in risalto i nuovi ruoli che essa viene assumendo per rimanere però legata al focolare domestico e comunque lontana da una partecipazione attiva alla vita della nazione». Argomenti come il Fascismo e la Guerra Fredda continuano ovviamente a suscitare interesse, ma si riscopre anche il fascino di epoche più remote (ad esempio l’anelito libertario che fermentava nell’opera veneziana ai tempi della Controriforma – specchio, secondo Dennis Romano, «di una classe nobiliare che tentava di ridefinirsi in tutto il continente» – e nel teatro del Risorgimento, spesso censurato per i suoi slanci rivoluzionari).

 

Nel futuro, guerra o pace fra l’elettronico e il cartaceo?

L’ultima delle riflessioni contenute nel volume, firmata da Carlo Spagnolo, parte dalla premessa che «sarebbe riduttivo considerare le riviste elettroniche in opposizione concettuale alle riviste cartacee. Una divisione netta fra le due categorie postulerebbe un’impostazione formalistica del rapporto fra opera e medium, che purtroppo non reggerebbe davanti alle modifiche del contesto in cui si situa il nostro mestiere, ancora così artigianale, di storico». Fra le Università italiane, quella di Firenze è all’avanguardia nel campo dell’editoria digitale: riviste come “Reti medievali”, “Storia delle Donne” e “Cromohs” non sostituiscono quelle cartacee, ma si affiancano ad esse. Conclude Spagnolo che «non si sta ancora avendo una concorrenza diretta fra riviste elettroniche e riviste cartacee: esse fanno parte di circuiti diversi che possono in parte sovrapporsi senza elidersi».

 

Guglielmo Colombero

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 38, ottobre 2010)

 

 

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