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Anno IV, n. 38, ottobre 2010
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Letteratura contemporanea (a cura di Maria Franzè) . Anno IV, n. 38, ottobre 2010

Zoom immagine Il mondo Jazz.
Due musicisti,
il loro legame

di Domenico Pontrandolfi
Fandango pubblica un libro,
romanzo di vita e musica
all’ombra di Charlie Parker


Il romanzo racconta la storia di Dean Benedetti (Dino Alipio Benedetti) vissuta all’ombra di Charlie Parker (Bird), uno dei più grandi interpreti Jazz del Dopoguerra.

Ci narra l’incontro tra questi due uomini di cui uno (Bird) è l’essenza stessa del Jazz mentre l’altro racimola solo poche righe in Jazz, il capolavoro di Arrigo Polillo dove viene citato come pusher di Parker.

Separati dalla fama, i due sono accomunati dal fallimento esistenziale, dalla simile triste fine e dalla volontà di dissipare quello che la vita offre loro.

Fin dal primo capitolo, Il ladro di suoni (Galleria Fandango, pp. 256, € 15,00) contiene il suo epilogo mostrando il rientro in Italia di Benedetti, a Torre del Lago in Versilia, con due grossi bauli che suscitano la curiosità degli abitanti del luogo.

Benedetti non usciva quasi mai di casa, tappato nella sua stanza piena di cianfrusaglie e ricordi dell’America e ascoltando musica, sempre quella.

Le rare volte in cui usciva camminava lentamente, come un invalido corroso dentro da un ossessivo rimpianto, reso ancora più doloroso dal buco nero in cui era finita la sua vita e dal ricordo delle luci sfavillanti dell’America dove aveva seguito come un’ombra Parker registrandone per ore e ore tutti gli assoli.

Non poteva far altro: aveva capito fin da subito che non avrebbe mai suonato a certi livelli e allora era diventato una specie di parassita, il “leccaculo” di Bird.

Insomma non era niente e nessuno.

 

 

Un fantasmagorico flashback

Come in un film, Giacopini riavvolge il nastro del suo romanzo e, con un fantasmagorico flashback, ci trasporta tra le Montagne Rocciose e il deserto, prima a Ogden e poi a Montello, seguendo il percorso della ferrovia della Southern Pacific dove lavorava suo padre; qui si trascina in un’adolescenza anonima e senza scopo, trascorsa in una casa dove era forte il culto delle radici italiane. Dean non aveva nessun talento speciale, ma ad un certo punto aveva sentito prorompere il bisogno di lasciare la casa paterna e così era iniziata la sua personale corsa verso l’Ovest, verso la California, attraverso Reno e Susanville per approdare, infine, a Los Angeles.

Contemporaneamente nasceva il suo amore per il Jazze i suoi miti diventavano Coleman Hawkins, Chu Berry e Lester Young.

Benedetti era riuscito persino a raccogliere intorno a sé una band, i The Kids che poi diventeranno i Barons of Rhyrthm; in questa improvvisata band solo il trombettista Dale Snow possedeva del talento, un talento che dal 1948 si smarrirà in un manicomio.

Di lui, come di tanti altri, non resta traccia, la memoria ha altro da fare e come dice l’autore «il ricordo diventa un modo come un altro per farsi del male, è la recriminazione impotente e disperata per troppe vicende interrotte, è la nostalgia struggente, inopportuna, sconfinata per tutte le occasioni mancate, per tutte queste storie amputate, malinconiche».

Gli orizzonti musicali di Benedetti cambiano improvvisamente quando gli capita tra le mani un disco inciso a New York nel 1945: il disco era Bluf in‘ Bolgie (Cozy Cole alle percussioni, Dizzy Gillespie alla tromba, Remo Palmieri alla chitarra, Parker al sax alto e Slam Steward al basso).

Era nato il Bepop e Benedetti capisce di trovarsi dalla parte sbagliata dell’America.

I Boopers suonano una musica “pura”, con dentro più libertà che swing capace di andare in fondo alle cose; il Bop voleva essere un canto ribelle, appassionato e freddo, razionale; con intransigenza e passione i Boopers sperimentano sonorità ignote, nuove frasi e intervalli, nuove armonie.

La vecchia guardia del Jazz reagisce in modo sprezzante, mentre gli appassionati si dividono in Hipster (anticonformisti e irrequieti) e Square (grigi, ossequiosi e perbenisti).

I Boopers diventano il simbolo di una rivolta che si combatte sul fronte vischioso della semplice vita quotidiana.

 

La fama di Bird

La fama di Bird cresce, la sua musica sembra provenire da una regione distante, celestiale; tenta l’impossibile e ci riesce: un sax alto che suona note che non ha mai suonato nessuno e con grande intensità; la sua voce, il suo timbro capaci di stregarti a distanza. Bird e Gillespie lasciano New York e approdano a Los Angeles e Benedetti ne segue tutte le esibizioni per poter vedere Bird sul palco, praticamente immobile ma capace di suonare più veloce di chiunque altro con una tecnica divina ed assoluta.

In qualche modo Benedetti riesce a conoscerlo, anzi tra loro si instaura una specie di amicizia.

«La musica è la vita, se non vivi non hai niente da dire, o da suonare» confida Bird a Dean.

Parker è un tossico e Benedetti riesce a procuragli uno spacciatore di fiducia, un certo Emery Bird meglio noto come Moose the Mooche.

Intanto Dean comprende che non potrà mai suonare a certi livelli.

Accettarsi è una cupa tragedia ma bisogna farlo; considera se stesso solo un mezzo artista e allora decidedi seguire Bird e di registrare tutto quello suona (Bird non scriveva la propria musica).

Così da far diventare questi nastri il suo personale capolavoro.

 

Gli assoli di Bird

Si procura un’apparecchiatura per registrare (praticamente un portatile a valigetta del modello disc-cutter) e, quando Bird suona, lo troviamo acquattato in una nicchia sotto il palco dove registra solo gli assoli di Bird; in due settimane ne registra 213.

C’è musica di altri artisti ma c’è anche il meglio di Bird: Blues in Re Bemolle, Indiana, Moose the Mooche, Cool Blues, Ornitology, Relaxin at Camarillo, Yardbird suite.

Bird suonava su altre frequenze, era lì e già da un’altra parte, fermo al presente e già altrove, nel futuro o anche fuori dal tempo.

Ma ad un certo punto Bird decide di tornare a New York dove forma una band tutta sua e Benedetti inizia un lungo viaggio on the road per raggiungerlo.

A New York trova un lavoro giornaliero nel mercato delle carni e alloggio in uno scantinato; poi riprende a registrare Bird, questa volta integralmente e con un’apparecchiatura più sofisticata.

Tra il 6 e l’11 luglio 1948, Benedetti registra per l’ultima volta Bird e si congeda nel silenzio.

In queste ultime registrazioni Parker è scatenato, pensoso, incisivo; anche i brani più lenti, come My old flame e I’m in the mood for love, hanno un’intensità selvaggia e azzardano cadenze mai ascoltate; Bird fa cantare anche il silenzio.

Benedetti aveva intuito l’inutilità del lavoro fatto; altri avevano registrano Bird e lo avevano fatto meglio, alcuni addirittura dalla radio, comodamente seduti in casa.

Intanto Bird parte per l’Europa, dove cerca, in ogni modo, momenti di purificazione e ascesi, ridicoli esperimenti di integrazione, inserimento sociale e adattamenti ma poi, impietosamente, c’è sempre il richiamo della strada a risucchiarlo e con la strada, siringhe, aghi e strisce di veleno.

 

La delusione

Benedetti, dopo aver sacrificato la sua esistenza al servizio di un’ammirazione devota e sconfinata, si sente deluso, tradito.

E Benedetti implode; «prima o poi l’artiglio finisce per raggiungerti e sei fregato» dice Giacopini.

Benedetti, dominato da un’accidia profonda si arrende e la resa riguarda anche il suo corpo; non è solo malinconia, i sintomi della miastenia ci sono tutti.

Ormai è un pupazzo senza fili e, mentre Bird completa la sua autodistruzione che lo porterà alla morte nel 1955, a soli 35 anni, in casa di una baronessa sua amica, Benedetti torna dalla sua famiglia a Susanville e poi, con loro, rientra in Italia, a Torre del Lago.

E mentre in molti si chiedono se i bauli con cui è arrivato contengono le famose registrazioni di Charlie Parker, lui resta nella sua stanza (fino alla sua morte nel 1957), con la sua musica, sempre quella, e i suoi ricordi americani.

 

Pontrandolfi Domenico

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 38, ottobre 2010)

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