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La mafia reggina
condanna a morte
cinque anarchici
di Clara Sturiale
Da Città del sole la cronaca dolorosa
di un eccidio camuffato da incidente
«Quella maledetta notte del 26 settembre ha segnato, distrutto, violentato tante famiglie, ha spezzato legami forti, amicizie sanguigne, ha cancellato le speranze ed i sogni di cinque giovani del sud. Del Profondo Sud». Esordisce così Tonino Perna, nella Prefazione al libro di Fabio Cuzzola, Cinque anarchici del Sud. Una storia negata (Città del sole Edizioni, pp. 126, € 10,00). L'autore, originario di Reggio Calabria, docente di Italiano e Storia al liceo, di Storia della Calabria all’Istituto Diocesano di Formazione Politica, obiettore di coscienza, educatore, formatore e consigliere generale dell’Agesci, racconta una storia “scomoda”, una vicenda volutamente dimenticata per tanti anni, archiviata come un incidente costato la vita a cinque anarchici, dietro cui si cela, invece, una vera e propria strage.
La colpa delle giovani vittime, protagoniste della storia di Cuzzola, consisteva nell’aver scoperto che il deragliamento del treno a Gioia Tauro del 22 luglio 1970 non era stato affatto un incidente, ma un vero e proprio attentato. La condanna a morte degli sventurati anarchici viene firmata con la decisione di portare a Roma un dossier sull’accaduto, in occasione della visita di Nixon in Italia e della manifestazione di protesta organizzata per l’occasione.
Gli eventi e le dinamiche della tragedia
La tragedia si consuma nella notte tra il 26 e il 27 settembre del 1970, quando l’auto, una Mini Morris, con a bordo Gianni Aricò, la giovane moglie Annalise Borth, Angelo Casile, Franco Scordo e Luigi Lo Celso, si scontra con un autotreno, stroncando le vite dei giovani viaggiatori. E dire che, la sera prima della partenza, telefonando a casa Lo Celso, un agente di polizia dell’ufficio politico di Roma, amico di famiglia, aveva consigliato al giovane reggino di rimandare la partenza. Subito si parla di incidente, un tamponamento provocato dalla velocità dell’auto, almeno secondo Il Tempo e la Gazzetta del Sud.
La dinamica dell’accaduto, però, fa pensare ad altro, a uno scontro laterale, che spiega, tra l’altro, come i corpi siano stati sbalzati fuori dall’auto e non schiacciati all’interno di essa.
«Niente tamponamento quindi, – argomenta Cuzzola – piuttosto il tutto conforta l’ipotesi di un tentativo di sorpasso iniziato dalla Mini Morris, che è finito in modo tragico. È possibile pensare a uno sbandamento dell’autotreno, a una sterzata improvvisa, a un “colpo di coda” del rimorchio?».
La stampa, però, continua sulla strada dello screditamento dei cinque giovani, che vengono presto definiti degli “attentatori” fermati in tempo dal destino.
In un periodo di fermento, in cui il gruppo anarchico si fa conoscere negli ambienti della sinistra reggina, confrontandosi e scontrandosi con la corrente marxista, i giovani che più si espongono nelle manifestazioni (anche se non in maniera violenta), vengono facilmente presi di mira anche dalle forze dell’ordine, come facili capri espiatori.
La sede del gruppo è la vecchia abitazione dell’avvocato Biagio Camagna, concessa dalla famiglia battista Canale. Da qui partono e arrivano giovani da ogni parte d’Europa. Gli anarchici e i maoisti sono puntualmente additati dalla stampa padronale come i fautori degli attentati del 1969, l’anno del tritolo. Quando a Roma esplodono tre bombe, alla Banca Nazionale del Lavoro, all’Altare della Patria e all’Ara Coeli, scatta una vera e propria caccia all’anarchico.
I giorni che precedono il viaggio dei cinque reggini sono carichi di tensione, accadono alcuni fatti strani, ricevono delle telefonate minacciose, scompare del materiale in loro possesso, ma decidono comunque di raggiungere Roma per la manifestazione contro Nixon del 27 settembre.
«Il Sei di Settembre - si legge nel volume – Gianni Aricò telefona a Roma, avvertendo i compagni del FAI, che la loro controinchiesta procede, e che sulla “Freccia del Sud” sono venuti a conoscenza di fatti e documenti compromettenti, avverte che parte di questo materiale è stato già spedito per posta a Veraldo Rossi».
Non arriveranno mai; il 29 settembre si terranno i loro funerali. Avevano raccolto le prove che gli attentati collegati ai moti erano da attribuire alla ‘ndrangheta locale su commissione del Comitato d’azione per Reggio Capoluogo, verità che sarà rivelata solo nel 1993 dal pentito Giacomo Lauro.
Spolverare il passato per ridare dignità alle vittime
Una storia complicata e volutamente dimenticata dalla politica e dalla società locale e nazionale, che Fabio Cuzzola rispolvera coraggiosamente, motivando così il proprio lavoro: «Ho condotto questa ricerca come un artigiano, come soleva dire il grande storico fondatore delle Annales, Marc Bloch; ed io che della storia sono un semplice insegnante, mi sono sforzato in questo cammino di comprendere la realtà quotidiana, alla luce dei fatti ricostruiti». E ancora: «Il mio prendere e raccogliere è stato un restituire ad Angelo, Gianni e Franco, ciò che il tempo e la società provinciale reggina vorrebbero far scomparire come un fastidio che disturba».
Un’interessante appendice foto-documentaristica, a corredo del volume e della ricostruzione di Cuzzola, mostra alcune foto dei luoghi e dei protagonisti della tragedia, ricordi del tempo della “lotta”, ma anche foto di infanzia, dei viaggi, o dei manifesti del gruppo Fagi di Reggio Calabria. Un valore aggiunto al complesso lavoro di ricostruzione storica e politica realizzato dall’autore.
Clara Sturiale
(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 38, ottobre 2010)