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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
La ’ndrangheta nell’area
grigia delle nostre vite
di Clara Sturiale
Un prefetto e uno psichiatra cambiano prospettive
e soluzioni, in un libro-intervista di Città del sole
«Tutto è ’ndrangheta e niente è ’ndrangheta». È la tesi di fondo dell'analisi di Franco Musolino, prefetto della Repubblica a Genova dal 2010, e Pasquale Romeo, psichiatra e psicoterapeuta, in un libro-intervista a due voci, in cui i due autori tentano di spiegare, in modo inconsueto ma esaustivo, il fenomeno mafioso più conosciuto e diffuso degli ultimi anni. Un'analisi sociale che parte dal contesto culturale calabrese (cui fa anche continuo riferimento), interrogandosi sulle cause e sul suo legame con la società e le istituzioni, cercando di verificare la tesi secondo cui «la ’ndrangheta ci appartiene profondamente in alcuni aspetti culturali» e contrastarla richiede, di conseguenza, una «revisione profonda del vivere». L'area grigia. Dove tutto è 'ndrangheta e niente è ’ndrangheta (Città del sole edizioni, pp. 81, € 12,00) è un dialogo in cui ciascun autore condivide la propria formazione culturale ed esperienza professionale nella definizione dell'organizzazione criminale.
Musolino, laureato in Giurisprudenza all'Università di Messina, inizia la carriera prefettizia nel 1979, per sette anni è vice-capo di Gabinetto della Prefettura di Reggio Calabria, poi direttore dello stesso. Nel 2000 diventa capo di Gabinetto alla Prefettura di Milano e, nel 2004, vice-prefetto vicario. Dal 2005 è prefetto prima a Crotone, poi a Cosenza, Reggio Calabria e dal 2010 a Genova.
Romeo è responsabile di Psichiatria e Psichiatria Forense – gruppo di ricerca in Scienze Medico-Legali, Sociali e Forensi all'Università di Siena, è stato direttore editoriale della rivista Research, ha curato rubriche e condotto trasmissioni televisive ed è autore di numerose pubblicazioni nel settore, tra cui Professione psichiatra, guida pratica alla formazione, all'inserimento lavorativo e all'aggiornamento.
Musolino sottolinea ripetutamente la differenza tra le istituzioni e i singoli che le rappresentano, mentre Romeo si sofferma sulle caratteristiche di devianza socioculturali, a partire dal disfunzionamento del sistema sociale, il contesto storico di partenza, l’individualismo esasperato e il ruolo della famiglia, un certo fatalismo atavico, la “cultura” del favore e la permeabilità dell'area grigia in una città provinciale. I due autori sostengono la necessità di creare una «reazione per esprimere un sussulto di rabbia, elemento principe per cambiare» l'atteggiamento tipicamente calabrese per cui «aspettiamo continuamente Godot, come nella commedia di Beckett, in maniera perversa e immobile, negando le cose positive già fatte e sottolineando solo quelle negative».
L'interlocutore del libro-intervista è l’immaginario John Doe, nome mutuato dal gergo giuridico statunitense per indicare un uomo di cui non si conosce l'identità o si deve mantenere segreta, l'equivalente dell’italiano “Ignoto” o “NN”. Il testo si apre con un'affermazione di speranza di Giovanni Falcone: «La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine».
Emblematica l'etimologia del lemma “mafia”, dall'arabo maefil o mathias, che tradotti significano, rispettivamente, consorteria o spacconeria. Un'organizzazione moralmente discutibile, che però, allo stesso tempo, ha una sua etica, caratterizzata dall'indiscussa obbedienza al capo. La ’ndrangheta, invece, risalirebbe al greco Andragathìa – coraggio, virtù. È quasi immediato il collegamento a una matrice storico-culturale, un humus non riproducibile altrove.
L'area grigia poi, è l'area intermedia tra legale e illegale, grigia appunto, dove tutto è sfumato e poco nitido, difficile da individuare, localizzare e distinguere. Una realtà sommersa e per questo ancora più pericolosa, da contrastare sul piano sociale creando una coscienza collettiva, nutrendo nel cittadino sentimenti di attaccamento allo stato e alle istituzioni, sradicando, di contro, rassegnazione, famiglia, fatalismo e omertà. Al contempo, per sconfiggere il fenomeno mafioso è fondamentale riconoscerne l'esistenza, evitando atteggiamenti di negazione che non aiutano a risolvere il problema. In questo humus attecchisce l'area grigia, quando lo stato non riesce a rispondere nei modi e tempi previsti alle esigenze del cittadino e a tutto ciò supplisce la logica clientelare. Educare alla legalità, allora, significa garantire sempre al cittadino diritti basilari come la dignità, la libertà, la solidarietà, la sicurezza. Per fare questo i singoli devono conoscere il sistema e le istituzioni – spiega il prefetto – come faceva, almeno in parte, la vecchia “educazione civica”.
La dimensione provinciale porta a un ampliamento del fenomeno per la contiguità dei vari ambiti sociali, rispetto a una città metropolitana. La contiguità porta allo scambio e alla creazione di una serie di situazioni di debolezza e di favori interdipendenti, quando lo stato non riesce a essere “autorevole” e l'atteggiamento del cittadino si limita ad un'accettazione formale della sua autorità. D'altro canto non sempre le istituzioni portano avanti questi processi di maturazione di “coscienza civica”, preferendo le più immediate vie repressive. Qui si inserisce il modello subculturale della ’ndrangheta.
La soluzione, difficile ma efficace prospettata dai due autori è, quindi, la creazione di una nuova “coscienza collettiva”, sviluppata con varie azioni di contrasto al fenomeno mafioso. «Su questo fronte la Prefettura di Reggio Calabria – spiega Musolino – sta cercando di sviluppare la sinergia istituzionale necessaria attraverso iniziative di coordinamento e progetti pilota specificamente rivolti alla bonifica di un contesto che si connota come un'area grigia nella quale trovano cittadinanza collusioni, connivenze, complicità, un atavico fatalismo, l'arroganza della richiesta, la convinzione che tutto sia inutile».
Clara Sturiale
(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 38, ottobre 2010)