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Anno I, n° 3 - Novembre 2007
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Civiltà letteraria (a cura di Anna Guglielmi) . Anno I, n° 3 - Novembre 2007

Zoom immagine Servono davvero i versi e la voce degli uomini?
di Alessandro Tacconi
Fiction über alles o dell’inutile sacrificio del poeta Alekos Panagulis,
l’uomo che credette nel potere e nella forza salvifica del verso poetico


È la storia di un uomo e del suo impegno civile e politico. È la storia di un paese che per un certo periodo ha calpestato le libertà democratiche di un intero popolo sotto la dittatura dei colonnelli in Grecia. È il monito che Alekos Panagulis compose con il proprio sangue e che giunge fino a noi cristallino e chiaro.

USA & Getta : Fallaci e Panagulis : storia di un amore al tritolo (Aliberti editore, pp. 109, € 9,90), a cura di Gian Paolo Serino, che tratteggia il quadro socio-politico di un periodo ancora troppo vicino a noi, è una selezionata raccolta poetica dei giorni della reclusione, dei lunghi mesi di sofferenza patita su tutto il proprio corpo dal secondogenito di Athena e Vassilios Panagulis: Alekos.

Questo libro è un’importante testimonianza di ciò che rappresenta veramente l’impegno per la causa libertaria. Dovrebbe essere un esempio per tutti i politici speculatori, per quelli che affrontano l’impegno in Parlamento come un mezzo per arricchirsi e che mostrano con tutto il proprio cinismo affarista che una vicenda come quella di questo greco idealista, amato da Oriana Fallaci, non serva proprio a niente.

I versi di questo uomo sono sferzate vigorose, intinti nella sofferenza bruciante di una pelle martoriata dai colpi e dalle calunnie e da percosse inumane. Sono vibranti appelli a voler vedere e rifiutare cosa sta veramente accadendo al proprio paese e a fare qualcosa per esso.

Ma poi, se si guarda cosa è avvenuto nel frattempo, allora pare proprio che la poesia non serva a niente. Il sacrificio di una vita, neppure questo è stato sufficiente se, alcune decine di anni dopo, la donna che amò con tutta se stessa un martire della libertà della Grecia, si permette dei distinguo tra governo e governo, tra bomba e bomba, tra dittatura e dittatura!

Non è questa la funzione della poesia, ammoniscono gli affaristi della politica. Non occorre essere martiri e poeti insieme, non è necessario. Come non è assolutamente necessario essere politici e fare il bene del proprio paese. E questo lo si vede quotidianamente nei comunicati e nelle linee politiche di una coalizione di governo piuttosto che di un’altra, che contraddicono sistematicamente quanto in fase di campagna elettorale promettono. In fondo è questa la merce che un politico svende: promesse. Costano così poco e fanno guadagnare così tanto.

 

Vale solo lo scorno

Allora a cosa serve la vita di un Alekos Panagulis, dopo così tanti anni, dopo che i mezzi di comunicazione hanno parificato le coscienze, le hanno appaiate due a due. Allora non è più tempo di poeti, tantomeno di poesie, di quelle declamate, di quelle che accendono gli animi della gente, visto che di animi ce ne sono, pare, sempre di meno. Dal momento che l’indignazione è solo delle persone che non hanno nient’altro.

Gli idealisti sono inevitabilmente fuori moda, almeno nel nostro Paese. Gli intellettuali non hanno presa e peso sull’opinione pubblica. Ci sono solo alcuni uomini che non hanno paura di dire, che continuano a denunciare, nell’indifferenza delle istituzioni colluse e affariste. Ma cosa possono sperare di fare? Il lavoro, la produttività, il contratto a breve o medio termine sono gli unici chiodi fissi a cui le persone sanno pensare, e giustamente. Resta poco altro al di fuori di questo.

 

Bagattelle per finti massacri

E gli intellettuali che fanno? Quello che hanno sempre fatto: la guerricciola delle conventicole e le bagattelle da quattro soldini per compar gatto e compar volpe. Abbiamo letto su di un “blog indie” di scrittori che si accaniscono gli uni contro gli altri per questioni di… avverbi.

Allora cosa resta di questa quotidianità, di tutto ciò che esonda da questo oggi dove sciacalli affaristi gioiscono e fanno man bassa di tutto ciò che possono. Un avverbio e si scatenano le furie degli intellettuali così poco disposti a mettersi alla prova per qualcosa di più reale, che non sia un contratto particolarmente vantaggioso con l’editore di turno.

Fiumi di parole esangui per favorire e sostenere un neomondo che ha preso sempre più piede in questi ultimi anni: la fiction. E guarda la fiction. E trasmetti la fiction. E critica la fiction. E scrivi sulla fiction su libri, riviste e blog. Gran parte della letteratura di oggi è slegata dai reali problemi della nostra quotidianità.

Il noir, ad esempio, che sembrava aver rilanciato l’editoria nostrana, era ed è ormai un ripieno di stereotipi su cui dibattono e si scornano gli scrivani di turno. Recentemente, proprio alla presentazione dell’ennesimo thriller, “che però non è solo questo… che è su di un altro livello rispetto a quelli di Fa…etti…”, abbiamo dovuto subire il delirio del superego dello scrittore di turno (della durata di circa tre ore!), che disquisiva su questioni di lana caprina, affermando con sprizzi di saliva ai lati della bocca che lui comunque era “contro a… che i suoi amici scrittori sono quelli che scrivono davvero, ma non sono apprezzati dai critici… che vengono pubblicati sempre e solo quei pochi che non meritano di…”. Per questo si scrivono libri? Per poter rappresentare questo tristo e ritrito teatrino della vanagloria degli “uominini”?

Pare che il senso del loro scrivere sia solo in questo: poter fare guerra al proprio collega. Non possiamo non ravvisare in questo mare magnum di parole sfiatate e sfiancate, persino in questo nostro intervento, schizzato con tanta apparente indifferenza, l’ennesimo sputo dal ponte del “bastimento carico di folli”. E non ci sarà possibile più gridare: America! Perché, come cantava Edoardo Bennato, in arte Joe Sarnataro, nell’album “È asciuto pazzo ‘o padrone”, “Accà non si salva nisciuno!”. Temo proprio che neppure la buon’anima di Alekos Panagulis potrebbe dire qualcosa di differente.

Vorremmo in definitiva non credere che il meglio sia già venuto, che non dovremo attendere il ritorno dell’incanto in cui tutto era raccolto intorno a un sogno, che aveva i colori di una nazione democratica e non drogata da media intossicati e sempre così tanto faziosi.

 

Alessandro Tacconi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 3, novembre 2007)

 

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