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Anno IV, n. 37, settembre 2010
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Biografie (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno IV, n. 37, settembre 2010

Zoom immagine I moti d’inizio ’800:
i presunti carbonari,
l’atroce repressione,
le indagini seguenti

di Agata Garofalo
Edita da Rubbettino la ricostruzione
dei processi di Catanzaro e Napoli:
ingiuste condanne e altre mancate


Nel secondo decennio dell’Ottocento la carboneria contava ancora molti seguaci e l’azione repressiva del governo si manifestava in forme spesso violente, a causa dell’eccesso di zelo dei vari  funzionari locali. Uno di questi fu certamente l’intendente di Cosenza, Francesco Nicola de Mattheis, che nel 1822 iniziava le sue indagini sui moti carbonari in terra calabrese, deciso a debellare a tutti i costi ogni traccia reale o presunta di movimenti rivoluzionari. Indagini che saranno poi oggetto di un duro processo, analizzato e sviscerato in tutti i suoi aspetti morali, politici e storici nel volumetto Il processo contro l'intendente de Mattheis. Tra sovrani cospiratori e ministri (Rubbettino, pp. 164, €. 13,00). Autore dell’opera è Mario Casaburi, campano trapiantato a Catanzaro ed allievo dello storico Augusto Placanica. L’intero saggio ricostruisce i fatti, le indagini ed i processi compiuti, riportando fedelmente gli atti registrati (comprese le memorie difensive dei legali dei due indagati) senza mancare di guidare il lettore nella loro interpretazione per poterne cogliere gli aspetti più significativi, tenendo ben presente che si tratta spesso di documenti non privi di «eccessi ed esagerazioni».

 

Le indagini ed il processo di Catanzaro contro i cospiratori

Dopo una breve presentazione del contesto storico-politico in cui si svolsero le vicende analizzate, Casaburi racconta di come de Mattheis cominciò a diffondere la notizia di terribili denuncie arrivate al suo orecchio circa l’esistenza di una sette segreta intenta nell’organizzazione di una rivolta contro il governo. Allo stesso modo egli seppe approfittare di un piccolo scontro avvenuto nella località di Tessano enfatizzandolo al massimo fino a farlo passare per l’inizio inequivocabile di una pericolosissima congiura.

È in questo clima di terrore abilmente creato dal nulla che l’intendente ottenne dalla polizia i pieni poteri per lo svolgimento dell’istruttoria contro la cospirazione settaria. Fu l’inizio di una serie di sevizie finalizzate a costringere i malcapitati a confessare false responsabilità nella presunta congiura. I maltrattamenti si consumarono per lo più in case private nel comune di Rogliano e soprattutto nei confronti di cittadini di San Mango, contro cui nutriva un personale e particolare astio Giambattista de Gattis, ricco possidente e collaboratore di de Mattheis.

A seguito delle indagini svolte, nel mese di marzo 1823 si tenne a Catanzaro il processo contro alcuni sospettati di appartenere alla setta dei Cavalieri Europei Riformati, che decise la condanna a morte di tre di essi. Casaburi riferisce i macabri particolari sia delle torture subite durante gli interrogatori che delle esecuzioni capitali. «La tragedia di Catanzaro era stata consumata con incredibile rapidità all’inizio di una tristissima settimana santa, tre vite erano state, inutilmente purtroppo, sacrificate, dieci innocenti erano stati costretti a un durissimo carcere, ingiustizia era stata fatta».

 

Le indagini ed il processo di Napoli contro i funzionari dello stato

I gravi abusi di potere compiuti durante la fase investigativa del processo di Catanzaro (sia le violenze che i molti provvedimenti illegittimi ed arbitrari) sono stati oggetto delle indagini cominciate subito dopo il processo. Le colpe della triste ed oscura vicenda non furono fatte gravare però interamente sull’astuto intendente, bensì ripartite tra i vari magistrati, collaboratori e funzionari suoi complici nell’ingegnosa invenzione di un pericolo imminente per lo stato e la società. Tra di essi spicca la figura del procuratore generale di Catanzaro Raffaele d’Alessandro, principale indagato insieme al de Mattheis. Le risposte alle accuse da parte dei due si limitavano a negare categoricamente le insinuazioni di reato senza motivazioni precise, oppure a giustificarle come semplici distrazioni e disguidi. Questo e molti altri aspetti delle vicende raccontate nel libro ci fanno pensare ad una preoccupante corrispondenza con i personaggi della politica odierna, a triste testimonianza che la storia si ripete e che troppo spesso non siamo capaci di cogliere i suoi insegnamenti e farne tesoro per il futuro.

Quasi con la stessa velocità dei potenti mezzi di comunicazione attuali, presto si sparse voce dello scandalo ed in breve cambiò l’atteggiamento del governo e dell’opinione pubblica in generale nei confronti di de Mattheis. In tutta Europa si parlava degli intrighi sui quali si indagava a palazzo Maddaloni, sede della Corte Suprema di Giustizia di Napoli, dove fu istruito il processo per «calunnia alle popolazioni delle Calabrie, istruzione di false testimonianze e false scritture, falsità nell’esercizio delle proprie funzioni, abuso di autorità e sevizie».

Il 10 marzo 1830 fu aperta la pubblica discussione, che Casaburi ci riferisce, grazie ai resoconti dei testimoni, nei minimi dettagli, finanche quelli emotivi: descrive infatti i volti, i mormorii e gli umori dei presenti in aula e racconta delle manifestazioni di disappunto ed orrore durante le crude testimonianze degli storpiati dalle torture. Eloquente è anche la descrizione degli atteggiamenti degli accusati: «D’Alessandro, sul banco dei rei, si mostrava taciturno e umiliato; ma de Mattheis, calvo, con occhi vivaci, attirava tutti gli sguardi. Udita la lettura del lungo atto di accusa, si levò in piedi, pallido, sdegnoso e, con voce interrotta, disse, rivolto al Procuratore Generale Celentano: oggi deve farsi la luce ed esigo la verità!».

Il legale di de Mattheis, nella sua difesa, cercava di convincere dell’esistenza dei Cavalieri Europei Riformati con un discorso generico e privo di concreti riferimenti. Egli fu costretto ad una cauta ammissione delle sevizie compiute durante gli interrogatori, ma sempre gettando le colpe sui carcerieri e dipingendo l’intendente come un uomo vittima di dicerie, calunnie ed invidie, e responsabile al massimo di sole «quisquilie e non colpe».

L’accusa chiese la pena di morte per de Mattheis, d’Alessandro e de Gattis, ma la sentenza finale fu incredibilmente mite ed ancora più sdegno e disillusione nella giustizia terrena destò la successiva concessione della grazia da parte del nuovo sovrano Ferdinando I. Tuttavia, non contento, de Mattheis continuò fino alla morte, avvenuta nel 1844, a supplicare di essere reintegrato nel suo vecchio incarico ed a lamentarsi delle ingiustizie patite minacciando di querela coloro che considerava i suoi persecutori. Ormai però nessuno prestava ascolto ai deliri di un uomo consumato dalla malattia e dalla demenza senile, che non si arrese mai ad ammettere la «cocente ed umiliante sconfitta» subita.

 

Tirando le somme: conclusioni ed insegnamenti

Dall’interessante ricerca condotta da Casaburi emergono gli intrighi ed i giochi di potere che coinvolsero ecclesiastici, politici ed uomini di legge in una piccola ma significativa pagina di storia del Regno delle Due Sicilie. Ma soprattutto emerge la singolare figura del protagonista, uomo caparbio, dispotico, ambizioso ed abile macchinatore. L’avvocato generale Giuseppe Celentano lo definisce, nella requisitoria pronunciata al processo, «un uomo vulcanico sino alla follia; estremamente altero e crudele; sprezzatore di ogni legge e di ogni superiore autorità». Casaburi cita spesso l’opera di Andrea Genoino Re cospiratori e ministri nel processo de Mattheis (1822 - 1830), in cui si riferisce di un uomo malato, che a livello cerebrale produceva «tristi manifestazioni morbose». Era infatti molto probabilmente affetto da sifilide. Si possono in tal modo comprendere le sue frequenti allucinazioni e psicosi deliranti, sfociate in comportamenti violenti anche su ecclesiastici ed uomini innocenti.

Nella sua Introduzione all’opera, Alberto Scerbo sottolinea la capacità degli organi di governo di dimostrare a se stessi ed al mondo l’assolutezza dei loro poteri impegnandosi «in un’opera di acuta manipolazione delle norme giuridiche nell’ottica della tutela del “bene comune”» col solo scopo di «creare l’illusione della propria soggezione alle leggi, in una posizione di parità con i membri della collettività. Con l’effetto, però, di confermare nella sostanza la disposizione a realizzare sempre la tutela di sé». La ricerca di Casaburi su uno spaccato di storia locale della prima metà dell’Ottocento induce perciò a riflettere sulla situazione politica attuale a livello globale e sugli abusi di potere che ancora oggi sono quotidianamente sotto i nostri occhi.

 

Agata Garofalo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 37, settembre 2010)

Redazione:
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