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Anno IV, n. 37, settembre 2010
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Filosofia e religioni (a cura di Angela Potente) . Anno IV, n. 37, settembre 2010

Zoom immagine Alimentazione
e filosofia

di Agata Garofalo
Da Meltemi editore,
per un’estetica
della gastronomia


A differenza di altri stati europei ed americani, dove i rapporti tra filosofia ed alimentazione sono oggetto di attenzione da qualche tempo, in Italia è difficile riscontrare interesse filosofico nei confronti della gastronomia. In questo senso, almeno nel campo dell’estetica, Nicola Perullo può considerarsi un pioniere.
Insegnante di Estetica presso l’Università degli Studi di Scienze gastronomiche di Pollenzo (Cn), ha intrapreso un percorso di ricerca sull’estetica del gusto arrivato alla terza pubblicazione con Filosofia della gastronomia laica. Il gusto come esperienza (Meltemi, pp. 168, €. 17,00).

L’importanza di un’esperienza marginale

Chi si occupa di cibo, sostiene Perullo nell’Introduzione, è figlio di un dio minore. Da sempre ed ancora oggi, infatti, la gastronomia è sottovalutata sia come arte che come scienza: estranea alla cultura ed addirittura immorale, poiché segno di superficialità e superbia! Si tratta di obiezioni di ordine epistemologico, estetico ed etico che continuano a marginalizzare il cibo nella società odierna, nonostante esso sia inevitabilmente al centro della nostra vita.

L’obiettivo dell’autore, però, non è quello di rivendicare la centralità e supremazia culturale della gastronomia. Sarebbe inutile e controproducente. Egli propone, invece, di accettare tale condizione di minoranza e metterla a frutto. La sfida è quella di rivalutare il gusto guardandolo però sempre “dal basso”, senza innalzarlo a livello metafisico: dobbiamo scendere noi nella sua materialità. «Prendere sul serio il gusto non significa elevarlo nell’empireo dei sensi intellettuali… il gusto sta ai margini della teoria, e costituisce una teoria dei margini».

L’espressione “gastronomia laica”, usata nel titolo e spiegata all’interno del volume, si oppone a tutti quegli atteggiamenti di eccessiva militanza nei confronti del cibo che generano estremismi quali ad esempio l’ideologia del nutrizionismo e la “gourmettizzazione”. D’altro canto, Perullo critica anche l’ignoranza assoluta, l’ostinazione a considerare il cibo come un aspetto frivolo e non interessante. Egli si autodefinisce un «gastrofilosofo», ma non per questo un pedante ossessionato dalla gola o dalla cultura degli alimenti. Ci tiene invece a rivendicare una filosofia della gastronomia laica, libera da atteggiamenti compulsivi di qualsiasi genere.

 

Analisi dei possibili approcci al cibo

«La questione che innesca la trattazione è il rapporto tra il gusto come piacere ed il gusto come conoscenza». Alla descrizione di queste diverse modalità di esperienza gustativa sono rispettivamente dedicati, infatti, i primi due capitoli del saggio.

Solo durante la stesura dell’opera l’autore si è accorto che diventava indispensabile una discussione anche sull’indifferenza, ad essa è infatti dedicato il terzo capitolo.

Oltre al mero piacere dei sensi e l’esaltazione culturale esiste un terzo possibile punto di vista rispetto al cibo, tipico di coloro che lo considerano una pura necessità fisiologica. Si tratta di un atteggiamento riconducibile, in alcuni casi, all’«omologazione sensoriale» dilagante nella società moderna, in cui ciò che è così facilmente fruibile perde inevitabilmente d’importanza.

Nell’ultimo capitolo, infine, egli esprime la sua estetica del gusto e propone un approccio “saggio” alla gastronomia, atteggiamento che racchiude in sé le analisi precedenti e si può spiegare con l’espressione «piacere nell’indifferenza critica e consapevole». È tra l’eccessivo interesse e la stolta indifferenza, proprio a metà strada tra i due poli, che si colloca l’atteggiamento ideale, quello appunto laico, aperto a tutte le esperienze, che l’autore definisce di “saggezza”. Esso consiste nel «saper godere quando c’è da godere, conoscere quando c’è da conoscere, ma anche distaccarsi e restare indifferenti se l’occasione è tale da rendere questo atteggiamento come il più appropriato».

Alla ricerca di un modello filosofico di degustazione del vino, prima vera passione dell’autore, è dedicata, infine, l’appendice che conclude l’opera.

D’accordo con Gilles Deleuze che «il pensiero filosofico dovesse riflettere non già sugli, ma negli oggetti da comprendere e trattare, dovesse cioè avere con questi un rapporto vivo», Perullo fa spesso riferimento agli atteggiamenti quotidiani delle persone nei confronti del cibo, ad esempio mentre ordinano o mangiano nei bar e ristoranti. Importante fonte di conoscenza ed ispirazione per la stesura dell’opera è stata infatti l’osservazione sul campo.

Oltre che di quotidianità, il libro è intriso anche di rimandi letterari: quelli di Nothomb, Calvino e Proust, tra gli altri. Sono numerosi i brani eruditi in cui si parla di cibo riportati ed analizzati dall’autore, tanto che il saggio potrebbe definirsi un approccio filosofico alla letteratura gastronomica.

L’opera è «un’analisi critica degli atteggiamenti possibili rispetto al gusto», una proposta teorica per una modalità più “saggia” di fruizione del gastronomico. Lo scopo è quello di stimolare un atteggiamento più giusto e consapevole nei confronti del cibo nel quotidiano. Cibo che non va né esaltato né sottovalutato, ma di sicuro analizzato in tutti i suoi aspetti come parte importante della nostra vita.

 

Agata Garofalo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 37, settembre 2010)

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