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Home Page (a cura di Agata Garofalo) . Anno IV, n. 36, agosto 2010

Zoom immagine Un intreccio di passioni e paure:
la complessità dell’animo umano

di Eliana Grande
Fragilità e coraggio delle scelte quotidiane raccontate in un romanzo:
per Abramo, Isabella Marchiolo svela gli aspetti intimi della psiche


«Questo romanzo è ispirato alle vite di quelli che scappano, per la fragilità. Di quelli che restano, per il coraggio. E a quelli che nascono, per la vita stessa».

Così scrive Isabella Marchiolo a proposito del suo primo romanzo, Un giorno come lei (Abramo editore, pp. 288, € 15,00). Attraverso i personaggi e le vicende che affiorano dallo snodarsi della narrazione, la giornalista e scrittrice reggina, già autrice di Schermi dell’utopia – glossario dei calabresi nel cinema e Comuni immortali (vincitore del Premio “Anassilaos Giovani”), dà prova di una scrittura dotata, da una parte, di intensa fisicità e dall’altra, di forza introspettiva e capacità di descrivere le varie sfumature psicologiche dell’interiorità umana, femminile in particolare.

 

Anima dei luoghi e luoghi dell’anima

La storia è ambientata in una città del Sud Italia, della quale non viene citato il nome. Essa viene descritta con sapienza narrativa quasi “pittorica”.

Il luogo, inteso come dimensione esterna, fisica, non è mera cornice: interagisce, piuttosto, con la dimensione interna e psicologica dei personaggi, ne è controparte e manifestazione materica. E così il mare visto da dentro sembra un’incursione nel fondo oscuro dell’inconscio, rischiarato all’improvviso da un momento di rivelazione: «Il sole forte domina sulla profondità dell’abisso. Penetra nelle correnti marine con la forma di onde di luce che scoprono i dettagli di ogni cosa. Tutto è nudo, rivelato. Il manto di alghe che si solleva e s’abbassa sulle pietre arricciandosi in ghirlande come pelle intirizzita. Gli occhi fissi e le bocche aperte dei pesci. Il fondale arato dalla luce e punteggiato di rena splendente e sassi. Conchiglie mutilate con i bordi sbreccati e la cavità esibita in modo quasi osceno. Strati fossilici e cupe densità d’acqua».

 

Gli abbandonati e gli scomparsi

La vicenda è costruita su una serie di nodi narrativi che si intersecano e si sovrappongono l’un l’altro, in un gioco di richiami ed evocazioni che sanno creare attesa e afferrare saldamente l’attenzione del lettore. Fino a un finale imprevisto, aperto ed enigmatico.

Il tutto, come dicevamo all’inizio, ruota intorno – sebbene per la forza introspettiva sarebbe meglio dire “penetra dentro” – all’universo degli abbandoni, delle fughe (realizzate o desiderate) verso altri luoghi, nel mondo esteriore, o verso altri orizzonti, nel mondo interiore. Fughe dalle persone, dai rapporti, dai legami. Una corsa lontano dalla banalità o dal dolore, dal passato o dal futuro. Lontano da se stessi. È la dimensione dell’oblio, che tenta e spaventa, perché da lì non si torna indietro: «Chi lo sa cosa scatta nella testa di qualcuno che decide di andarsene. La fuga è un suicidio minore, cancellare con un atto di volontà il mondo dove si è capitati per destino e cercarsene un altro. Dovrebbe essere un esperimento indolore. Nessuna pillola letale che arresta le funzioni del corpo quando si vorrebbe tornare indietro, nessuna asfissia che oscura la vista, nessun volo incapace di interrompere la sua discesa. Invece certe volte è impossibile. Se indossi un’altra pelle e uccidi quella che avevi prima, non esiste via di ritorno. Il tempo, la memoria degli altri inoculano un’azione più definitiva delle pillole o del gas».

Protagonisti di Un giorno come lei, dunque, sono gli abbandonati, quelli che sono rimasti, i disorientati, gli smarriti. E insieme a loro, attraverso loro, protagonisti sono anche gli scomparsi, quelli che se ne sono andati, i fuggiti, i dileguati.

C’è Anna, erede di una famiglia di imprenditori edili coinvolta in un ambiguo fallimento, rimasta sola dopo il tradimento del marito, Jacopo.

C'è una coppia di fratellini scomparsi, la cui vicenda non può non evocare quella tragica di Gravina, con la differenza che qui ai due bambini è riservato un destino ancora aperto e meno impietoso.

C’è Leandro, uomo abbandonato – la moglie Catena lo ha tradito con Jacopo – ma al tempo stesso anche uomo in fuga, rinchiuso nei dizionari che continua a scrivere, forse nel tentativo – vano – di controllare ciò che non si lascia definire, incasellare razionalmente e verbalmente.

La struttura stessa del romanzo ne è un’ulteriore dimostrazione. Ogni paragrafo inizia, infatti, con la definizione di un vocabolo, sviscerato nel suo valore semantico come farebbe, appunto, un dizionario. I termini sono scelti sempre in base alla capacità di richiamare aspetti psicologici o psicosomatici dei protagonisti (insonnia, stordimento, rimorso, ossessione). Eppure, sono proprio questi ultimi, nei loro tratti emotivi e talvolta velati da una sorta di mistero, a schiudere il senso profondo delle parole, non viceversa.

E poi ci sono Federico e Lorenza, figli di Leandro e Catena. Icone dello spaesamento, della fragilità, della ferita di ogni abbandono, della perdita di tutti i riferimenti. Ciascuno dei due reagisce a suo modo ma entrambi sono accomunati dal bisogno di colmare un vuoto, ricucire uno strappo, ritrovare un tassello mancante, fondamentale nel disegno delle loro esistenze. L’affermazione nella vita professionale non cicatrizza la ferita relazionale, non guarisce dall’incapacità a gestire l’intimità.

 

Catena

Sebbene i protagonisti principali del romanzo siano Federico e Lorenza, la figura che, a nostro avviso, si staglia con particolare imponenza sulla narrazione, lasciando di sé l’impronta più profonda, è quella di Catena.

Catena incontra Jacopo, ne diviene l’amante e scompare con lui. Scompare materialmente dalla scena, restandovi in realtà imbrigliata, abitandola come un fantasma che sussurra all’orecchio dei personaggi reali, soffia sul loro volto per manifestare la sua presenza, rievoca nelle loro menti immagini, giorni e luoghi che sembrano sospesi tra ricordo e sogno.

È personaggio-chiave del romanzo non in virtù della sua partecipazione reale, attuale, al dipanarsi delle varie vicissitudini, quanto per la sua presenza ingombrante nella psiche dei protagonisti, nella memoria, nelle componenti inconsce e rimosse delle personalità. È la presenza più ineludibile della vicenda narrata, non “malgrado” la sua assenza ma proprio “in virtù” di essa. Non solo: la sua figura è quella che incarna in maniera più completa e disincantata alcuni aspetti problematici della nostra contemporaneità.

 

La libertà e il legame

Oltre alla disponibilità a scandagliare fino in fondo e senza inibizioni i luoghi della psiche, per poi restituirne al lettore un’immagine articolata e di forte intensità espressiva – grazie ad un’indubbia ricchezza di linguaggio e a un’efficace tecnica narrativa – emerge la capacità dell’autrice di trasporre sulla pagina una realtà senza filtri. Una realtà intatta, per alcuni aspetti persino cruda, se vogliamo, presentata dal punto di vista del puro osservatore, quasi del cronista che si limita a raccogliere e riportare i fatti, senza giudicarli. Ciò nonostante, la vivida messa in luce di questa carrellata di mondi interiori segnati dal dramma psicologico dell’abbandono induce il lettore a empatizzare con i vari personaggi, impedendo un confronto “asettico” con le loro vicende. Si è portati a interrogarsi su tematiche delicate e attuali: la multisfaccettata identità femminile, l’istinto materno, i rapporti interpersonali e familiari in un tempo che guarda al superamento di ogni moralismo di facciata ma che, al tempo stesso, avverte il bisogno di riscoprire i valori fondanti di un’etica condivisa.

In definitiva, la riflessione investe soprattutto il terreno della libertà, il cui significato continua a rivelare aspetti sempre nuovi. Il rapporto con l’altro appartiene alla dimensione della possessività o della libertà? Dell’egoismo o della gratuità? La realizzazione di se stessi e della propria vita può avvenire solo a discapito di altri? O attraverso l’illusione del possesso stabile di un altro individuo, al quale si è legati da un vincolo di qualsiasi natura? Oppure, paradossalmente, l’autorealizzazione più piena e la libertà più autentica si realizzano nel dono di sé a un altro?

Il finale aperto lascia a ciascuno le sue risposte.

 

Eliana Grande

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 36, agosto 2010)

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