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Anno I, n° 3 - Novembre 2007
Una marcia spirituale
nel deserto del Sinai
per la rigenerazione
del popolo di Israele
di Clementina Gatto
Verso la Palestina: la prova concreta
dell’alleanza che ha cambiato la storia
Nel deserto (Rubbettino, pp. 186, € 10,00) è un’opera che ripropone il percorso tracciato dall’autore, il padre gesuita Pino Stancari, nel corso di alcuni incontri tenutisi a Reggio Calabria tra il 1988 e il 1989, inerenti all’analisi del biblico libro dei Numeri, solitamente noto solo per essere il quarto del Pentateuco. Il missionario, relatore delle otto lectiones in cui si articola il testo, opera un tentativo piuttosto coraggioso di sciogliere certi nodi della storia del cristianesimo che si frappongono tra i fedeli e la cultura religiosa (di cui siamo intrisi, per motivi latamente culturali, seppur spesso in maniera grossolana, svogliata e inconsapevole); egli, infatti, dimostra l’ammirevole ardire del divulgatore che, con un linguaggio semplice e mai semplicistico, abbondante e mai ridondante, sa far breccia tra i pensieri quotidiani, fitti di contenuti ben diversi dal censimento del popolo di Israele o dalla sua marcia attraverso il deserto del Sinai.
Il “viaggio” in cui si coinvolge il lettore è molto impegnativo, lungo i sentieri e fino alla radice più profonda del cristianesimo, così come impegnativa è la lettura delle lectiones in cui si articola l’opera; tuttavia, dalle pagine, ci si ritrova immersi in un’affascinante scoperta dell’altro, sia egli “il prossimo” o semplicemente un proprio simile. Chi desidera trarne nutrimento spirituale, infatti, non si sentirà abbandonato, ma anzi avrà l’impressione di essere preso per mano e guidato all’interno di un percorso dalla tortuosità solo apparente; una lettura laica, allo stesso modo, offre notevoli spunti per avviare un’analisi profonda del proprio cammino di essere umano, parte della storia, qualunque siano le proprie origini e le scelte operate.
Un tassello di non poco conto nel caotico puzzle della vita e della mente.
Il popolo di Israele nel deserto e la fecondità dell’alleanza con Dio
Il deserto del Sinai, teatro che ospita i personaggi del testo biblico commentato dall’opera di Pino Stancari, è un protagonista per niente discreto o neutrale. Come ricorda l’autore, infatti, nella tradizione ebraica il titolo del libro dei Numeri era proprio Il deserto, che fu sostituito in un secondo momento dal traduttore greco col nome attuale, in coerenza con l’argomento principe del testo – il censimento del popolo d’Israele – e poi mantenuto nelle traduzioni successive.
La narrazione inizia e ha luogo interamente nel deserto che, come si diceva, ne costituisce la mappa; esso rappresenta, allegoricamente, l’aridità di un popolo che in principio si presenta come un amalgama senza legge, ma che in seguito, grazie alla marcia nella polvere, verso
Il percorso dell’uomo tra fede e idolatria
La narrazione della marcia nel deserto e il censimento del popolo di Israele sono solo una piccola parte, seppur cruciale, del libro dei Numeri; come rivela Stancari, il testo biblico è eminentemente legislativo: vi sono tracciati i punti cardine dell’accordo tra Dio e gli Israeliti. Nella sua struttura, si alternano ampie sezioni legislative alle parti narrative.
Il filo rosso che congiunge tutte le lectiones del padre gesuita, invece, è proprio il cammino: il popolo di Dio è allegoria dell’umanità, in cui ciascuno segna il proprio tracciato individuale muovendosi all’interno della storia, senza che gli siano risparmiate cadute, accelerazioni e frenate brusche. Il popolo di Dio è nel deserto: non ha parametri, è solo; la guida divina è presente ma discreta, perché agli uomini sia lasciata la libertà di sperimentare, di tentare, di conoscere la vita e assaporarla, insieme alla possibilità di sbagliare.
E l’uomo, dal suo punto di vista limitato rispetto a quello supremo, alterna momenti di sconforto ad altri in cui si sente sicuro, padrone della vita, e addirittura dimentica di non possedere nulla e di non avere il controllo del suo tempo: in quei momenti prova tedio per le guide, per il controllo, per le figure paterne che offrono sostegno e conforto. D’altra parte, sperimentare la libertà provoca una sensazione di panico: la libertà può essere insostenibile, spaventosa; e quando questo accade, l’uomo, manifesta disperatamente il bisogno sfrenato di un dio, fino a “generarne” uno a suo piacimento.
Questo succede anche agli eletti che, come si racconta nell’Esodo, si sono macchiati di idolatria costruendo e adorando un vitello d’oro, provocando Dio e scatenandone lo sdegno: nei solchi delle tavole della legge è inciso, primo tra tutti, il comandamento «non avrai altri dei di fronte a me», che invalida ogni possibilità di compromesso e impedisce di pensare a qualunque altra causa causarum diversa da Dio (figurarsi quindi se sia ammissibile la possibilità di adorare il simulacro in oro di una creatura dello stesso Dio!).
Il deserto, crogiolo di conversione
Un altro elemento di continuità che percorre le lectiones è la progressiva presa di coscienza del piano di Dio sul popolo dei prescelti. Il prezzo dell’alleanza è molto alto, e questo si rende aspramente tangibile nel corso della narrazione: mentre si avvicendano le sommosse dovute alla permanenza nel deserto, che si prolunga inspiegabilmente, Dio prospetta la necessità che vengano trascorsi ancora quarant’anni tra le dune. In altre parole, una generazione vi morirà, un’altra vi troverà i natali. Ecco che viene svelato il senso della marcia, che è insieme il suo obiettivo e la sua meta reale: la morte rigeneratrice, allegoria della conversione.
Come gli altri uomini, gli Israeliti sono inclini all’errore e trascinati dalla tentazione di allontanarsi dalla loro strada ma, a differenza degli altri, essi sono ricondotti alla norma proprio da Dio, il seme fecondo, che conferisce loro la capacità di emanciparsi dal peccato, di liberarsi dai vincoli della condizione umana. In quest’ottica, la morte che attende gli Israeliti è portatrice di una liberazione che investe l’intero popolo: si tratta di affrontare la «guerra della conversione». Dio si offre con radicalità e pretende lo stesso, fino a portare quegli uomini a una scelta irreversibile.
Scoperto il prezzo del privilegio di Israele, però, viene da chiedersi: far parte del popolo eletto è una fortuna o una sventura?
È difficile pensare a una situazione del genere dalla prospettiva degli uomini di oggi; difficilissimo immaginare di potersi trovare di fronte alla scelta di compiere o meno un gesto così radicale: cosa fare, considerato che la decisione è inficiata proprio dall’inalienabile parzialità della condizione umana? Impossibile che sia proprio l’uomo a rispondere, se si considera il suo essere un misterioso niente rispetto all’infinito; impossibile, perché l’umanità di cui siamo intrisi è una condizione ontologica, a partire dalla quale non si può discernere il nostro già limitato sistema percettivo.
Forse, in quest’ottica, la scelta di affiancarsi a un alleato così potente – la scelta della conversione – è conveniente, anche se costa il sacrificio di una generazione. Se il capitolo della vita umana, infatti, dovesse concludersi semplicemente con un tramonto, esso porterebbe a un buio disperato e spaventoso. Fortunatamente, la ragione è capace di far emergere il germe della contemplazione, con la quale l’uomo può ipotizzare l’aiuto di Dio che, come un giorno senza fine, investe l’umanità.
Clementina Gatto