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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Quando il potere diventa
fonte di violenze e bugie
di Paola Mazza
Per Minimum fax, un fumetto sulla storia di Aldro:
un romanzo collettivo sugli abusi della polizia
Avere 18 anni, uscire con gli amici, morire sotto i colpi delle manganellate della polizia. Far parte delle forze dell’ordine, abusare, infierire, mentire, depistare, nascondere una vicenda di orribile brutalità. Essere madre, aprire un blog, denunciare, invocare giustizia. Essere protagonisti di Una storia di ordinaria violenza italiana, come afferma il sottotitolo del fumetto Zona del silenzio (Minimum fax, pp. 176, € 15,00) del giornalista Checchino Antonini e del disegnatore Alessio Spataro (con prefazione di Girolamo de Michele). Nel libro viene narrata la drammatica vicenda del giovane ferrarese Federico Aldrovandi ucciso dalle botte della polizia all’alba del 25 settembre 2005.
La storia è drammatica, è di quelle che ti fanno piangere, arrabbiare, venir voglia di gridare giustizia. Ma è raccontata sapientemente dai suoi autori anche attraverso la leggerezza di immagini fantasiose e ironiche che attenuano la pesantezza del racconto senza nulla togliere alla durezza della vicenda.
La storia di Aldro, come il giovane veniva chiamato dai suoi amici, si intreccia con quella di Simone, giornalista di Liberazione che segue il caso con coinvolgimento e affetto, e di Michele, studente illustratore che collabora col primo e ne segue le vicende giornalistiche e personali in parte autobiografiche. È ambientata tra una Ferrara e una Roma reali, simpaticamente rintracciabili nelle immagini dei luoghi e nei nomi di organizzazioni, giornali, persone, a volte ironicamente camuffati.
I soggetti sono rappresentati con volti animali che rispecchiano spesso caratteristiche fisiche o comportamentali dei personaggi. Topi, uccelli, gatti, cani, maiali popolano il racconto mentre dalle immagini emergono forti sentimenti di tenerezza, rabbia, simpatia. Gli stessi titoli dei capitoli Lo stupore, La rabbia, La paura, Il vuoto, Il coraggio, La scelta, riassumono bene le emozioni che li tratteggiano.
Il fumetto, come scrive sul suo blog (www.federicoaldrovandi.blog.kataweb.it) Patrizia Moretti, la madre di Aldro, «narra la storia e la tragedia di Federico, così come l’ha conosciuta Checchino Antonini […] che ha voluto vedere oltre il “muro di gomma” costruito dai poliziotti coinvolti nell’omicidio di Federico […] sono rimasta veramente colpita da quanto un tratto di penna nelle mani di Alessio possa rendere uno stato d’animo. Trovavo strano che i personaggi fossero resi in forma di animali, invece è notevole quanto l’autore con questo sistema abbia saputo tratteggiare tanto intensamente la storia. Sembra quasi che Alessio Spataro abbia conosciuto Federico».
I fatti
La vicenda è cruda e amara. Oltre ad essere ripercorsa all’interno del fumetto, una cronologia posta alla fine del libro, che si ferma al 19 giugno 2009, la ricostruisce con attenzione.
Il 25 settembre del 2005, due pattuglie della polizia – con gli agenti Paolo Forlani, Luca Pollastri, Monica Segatto, Enzo Pontani – fermano, nei pressi dell’ippodromo di Ferrara, il giovane Aldro di ritorno da una festa con gli amici trascorsa a Bologna. L’incontro dura pochi minuti, alla fine dei quali Federico perde la vita.
Di fronte al luogo dell’orribile scena le tapparelle delle finestre rimangono abbassate. Il corpo del giovane viene lasciato sull’asfalto per qualche ora, in una pozza di sangue, di fianco alla volante della polizia. La famiglia verrà avvisata solo alcune ore più tardi.
La droga è la causa del decesso secondo quanto riportato dal medico legale. E così si concluderebbe il caso se la famiglia del ragazzo non iniziasse una battaglia per scoprire le reali cause della morte di Federico, se la madre non aprisse un blog di denuncia attorno al quale si creerà un movimento in difesa di Aldro. La famiglia non può credere alla morte per droga, non può credervi soprattutto di fronte al cadavere di Federico che mostra tutti i segni delle violenze subite.
Indymedia, Radio Onda d’urto di Brescia e Liberazione trattano con forza la vicenda portando anche il resto della stampa e dei mezzi di comunicazione ad accorgersi del caso. La storia del giovane si diffonde nella città di Ferrara e non solo. Si organizzano mobilitazioni, nasce il comitato “Verità per Aldro”.
L’indagine medico-legale effettuata dai periti della famiglia Aldrovandi porta ad escludere la morte per droga che, assunta in quantità minime e insufficienti, non ha potuto determinare il decesso. La sua causa viene invece chiaramente rintracciata nelle percosse ricevute dal giovane. La polizia corregge la prima versione secondo la quale il ragazzo si era accasciato davanti agli agenti, affermando invece che li avrebbe aggrediti. Continua a portare avanti la tesi della droga ma è costretta ad escludere quella dell’overdose. Secondo la nuova versione, dunque, il ragazzo, sotto l’effetto delle sostanze, avrebbe dato di matto provocandosi da solo le ferite.
La famiglia di Federico, i suoi legali, gli amici, il movimento creatosi si scontrano con la polizia e i suoi sindacati. Gli avvocati degli Aldrovandi denunciano azioni di intimidazione e manipolazione delle prove da parte della polizia. Emergono alcuni particolari a favore della tesi della famiglia: il magistrato di turno non si recò sul luogo della morte del ragazzo, non furono sequestrati i manganelli utilizzati dalla polizia di cui due si scoperti rotti, appaiono divergenze fra la ricostruzione della polizia e le prove, i testimoni concordano sul fatto che Federico chiedeva aiuto.
Gli agenti che fermarono il giovane vengono iscritti nel registro degli indagati per omicidio preterintenzionale. Una donna testimonia contro di loro raccontando di aver visto i quattro poliziotti agire violenze sul ragazzo che urlava proprio chiedendo aiuto. Anche dai verbali delle telefonate della polizia emergono frasi come: «L’abbiamo bastonato di brutto per mezz’ora». Si apre un’inchiesta bis sui depistaggi.
Il libro è stato dato alle stampe prima del luglio 2009 quando i quattro agenti verranno condannati per eccesso colposo nell’omicidio colposo di Aldrovandi, anche se per l’indulto non sconteranno la pena. Nel marzo 2010 altri tre poliziotti vengono condannati, mentre un quarto è rinviato a giudizio, in seguito all’inchiesta bis sui depistaggi nel corso dell’indagine.
Una storia di ordinaria violenza
Come ricordato dal sottotitolo del libro, questa vicenda non appare un caso singolo e isolato. Gli abusi della polizia spesso rimangono sconosciuti, frutto di menzogne, coperture e depistaggi che fanno sì che non vengano mai alla luce. A volte si concludono nel peggiore dei modi, con la morte delle loro vittime. Federico Aldrovandi, Carlo Giuliani, Stefano Cucchi… Scrive Patrizia, «Rasman, Lonzi, Eliantonio, Sandri, Bianzino, Giuliani… fatico a tenere il conto perché siamo tante, troppe. Mi chiedo quanti siano i casi che non hanno voce».
Come si legge anche nei ringraziamenti degli autori, «Questo libro è un atto dovuto, un romanzo collettivo, uno strumento per una campagna politica complessiva contro la repressione, gli abusi dei cittadini in divisa, contro il razzismo e il proibizionismo, per svelare i veleni della cosiddetta emergenza sicurezza, per la trasparenza degli organi di polizia».
Paola Mazza
(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 35, luglio 2010)