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Anno I, n° 3 - Novembre 2007
La passione politica
di un fiero bracciante
dai campi alle Camere
tramite il sindacato
di Andrea Vulpitta
Il riscatto racconta la vita e la carriera
di “Mommo” Tripodi. Per Rubbettino
La prima considerazione che viene in mente alla fine della lettura de Il riscatto Girolamo Tripodi bracciante e sindacalista parlamentare e sindaco di Marcello Villari (Rubbettino, pp. 252, € 16,00) è che il volume dovrebbe rappresentare una sorta di libro di testo per tutti i dirigenti calabresi del Partito dei comunisti italiani, di Rifondazione comunista e anche dei Democratici di sinistra o quanto meno per i dirigenti della provincia di Reggio Calabria di tali partiti. Per la figura di chi ha materialmente scritto il libro: Marcello Villari, calabrese, comunista, saggista e capo redattore del Tg5, c’è da credere che la ricostruzione dei fatti sia veritiera e che le testimonianze del protagonista corrispondano a verità.
Certo, è il racconto di una politica che consideriamo scomparsa, in un lembo di Calabria oggi assediata dalla criminalità mafiosa e che ieri, d’altra parte, seppur in presenza della’ndrangheta, doveva fare i conti con la moltitudine di braccianti e povera gente che lottava strenuamente per un tozzo di pane e che nel 1968 decide di portare in Parlamento uno di loro: il bracciante e compagno Mommo Tripodi che, da qualche mese alla Camera dei deputati, venne richiamato dal segretario del gruppo comunista alla Camera Mario Pochetti perché «[...] il Parlamento è una cosa importante e non si può arrivare alle sedute stanchi, dopo una notte insonne. Inoltre tu adesso rappresenti la massima istituzione della Repubblica, e la rappresenti in ogni momento, anche quando prendi il treno. Ci siamo capiti e non devo aggiungere altro. Dal prossimo viaggio niente più seconda classe». Con questo modus vivendi, Tripodi iniziava l’esperienza di parlamentare, anni luce distante dagli attuali costi della politica e dai rimborsi stratosferici degli onorevoli di oggi.
L’autore inserisce nei tanti capitoli del testo i ricordi scritti in prima persona dal protagonista che, all’inizio del libro, ci tiene a ricordare l’importanza dei suoi studi elementari iniziati alla non più tenera età di 11 anni, grazie alla maestra Benvenuta Milea, che mandò un minaccioso biglietto al capofamiglia, venuta a conoscenza del fatto che nella famiglia Tripodi c’era un bambino dedito ad aiutare il padre a lavorare la terra. Il libro si snoda attraverso i racconti del bracciante Tripodi e delle sue lotte prima da sindacalista nelle fila della Federterra e poi da politico, con la sua iscrizione al Partito comunista italiano a soli 22 anni.
I primi passi nella politica e nel sindacato
Quasi tutta la prima parte del testo è imperniata sulle lotte e sulle rivendicazioni delle raccoglitrici di olive della piana di Rosarno, lavoro massacrante senza diritti che il giovane Tripodi rivendica per tutte, ottenendo significativi successi. Sono loro lo zoccolo duro che nel 1968 consentì al bracciante di diventare onorevole; e le lotte devono essere state veramente memorabili se, come ha raccontato l’autore in una delle recenti presentazioni del libro, il ricordo è ancora vivo tra le donne della piana, oggi ricurve, che danno atto a Mommo Tripodi se oggi, alla fine di ogni mese, hanno il diritto di andare all’ufficio postale a riscuotere la tanto agognata pensione.
In quei tempi, gli strumenti di comunicazione erano più limitati e l’organizzazione delle lotte e degli scioperi si faceva campagna per campagna con chilometri di cammino a piedi, mezzi di fortuna e manifestazioni che raccoglievano migliaia di braccianti, come testimoniano le belle immagini, ovviamente in bianco e nero, che fanno da appendice fotografica al testo.
Si diceva prima di un’altra Calabria, antica, rurale, in cui i collegamenti e i contatti tra lo Jonio e il Tirreno erano un’impresa e anche le diversità da provincia a provincia erano abissali. Villari parla di tante Calabrie, ognuna con le proprie particolarità, ma una Calabria dove era già forte la presenza della ’ndrangheta, certo diversa, rurale anch’essa, ma che spesso tentò di fermare e intimidire l’onorevole Tripodi, una criminalità che avrebbe negli anni buttato gli occhi sulla centrale a carbone di Gioia Tauro, tanto osteggiata dai compagni della Piana e che successivamente, quando l’onorevole viene proclamato sindaco della sua Polistena, tenta di condizionare gli appalti del comune.
Da deputato a sindaco di Polistena
Tripodi racconta così il suo approccio alla carica di sindaco: «Il mio modello erano le amministrazioni emiliane e i primi tempi da sindaco sono andato diverse volte a vedere come funzionavano, per imparare, per avere consigli. Approfittavo delle riunioni nazionali dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani, per parlare con gli amministratori toscani, umbri, gente seria e capace che aveva alle spalle qualche decennio di esperienza e aveva realizzato cose che ci invidiavano nel resto d’Europa. Gli amministratori emiliani li ammiravo fin dai tempi in cui avevo conosciuto, alla scuola di partito, Dozza, l’indimenticabile sindaco di Bologna. Annunciammo subito che con l’elezione della giunta popolare e democratica il comune non era più al servizio degli agrari, ma dei braccianti, delle raccoglitrici di olive, degli artigiani, insomma del popolo di Polistena. Quella vittoria è stata la nostra piccola rivoluzione, i braccianti al governo della città – lo abbiamo detto e rivendicato – ma nell’esercizio dell’amministrazione non ho mai guardato in faccia nessuno, solo l’interesse generale, per questo sono stato rieletto per più di trent’anni». Racconta il sindaco delle tante opere realizzate, della moltiplicazione degli asili, del completamento dell’ospedale, grazie anche ad una straordinaria sottoscrizione popolare, indispensabile strumento di prevenzione per anni lasciato all’incuria, delle vacanze al mare dei bambini, esperienza sociale mutuata dalla rossa Emilia, e delle tante intimidazioni e pressioni mafiose alle quali riuscì ad opporsi grazie anche all’aiuto di una popolazione che credeva nella persona del suo Sindaco. Con orgoglio, ricorda di quando irruppe in una riunione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, «diciamo che non fui proprio elegante», per rivendicare un finanziamento per delle opere avviate nel suo comune e che era stato tagliato dal nuovo ministro dei Lavori pubblici Ferrari-Aggradi. Ottenne i finanziamenti e riuscì così a portare avanti i lavori per le fognature, il depuratore e gli interventi nel centro storico.
Gli anni bui del “Boia chi molla” e il seggio al Senato
Non manca una ricostruzione del periodo del “Boia chi molla” che infiammò Reggio: il racconto si sofferma in particolar modo sugli sforzi compiuti nella direzione di non far dilagare anche nella provincia i moti che misero a ferro e fuoco la città dello stretto; il periodo viene ricordato come uno dei più bui della storia della regione durante il quale, con difficoltà, si approvava anche lo statuto della nascente Regione Calabria. Viene anche ricostruito un attentato armato fatto ai danni di Tripodi da parte di alcuni militanti di Avanguardia nazionale, fortunatamente fallito. Nella parte finale del libro, con grande dignità, Tripodi racconta che, dopo due legislature, come era regola nel Pci, non venne più ricandidato e si trovò nel
Dicevamo all’inizio di come il libro rappresenti un inno alla buona politica, quella fatta nell’interesse generale e non per il proprio tornaconto personale, ed è per questo che il tanto auspicato rinnovo della classe politica italiana per far spazio alle nuove generazioni crediamo che dovrà fare tesoro di esperienze come quelle di Tripodi perché, come termina l’affettuosa Prefazione, il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto: «[…] noi più giovani riusciamo a vedere più lontano di chi ci ha preceduti non perché siamo più bravi, ma solo perché siamo nani issati sulle spalle di giganti».
Andrea Vulpitta
(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 3, novembre 2007)