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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
La vita di un uomo
incrocia le tappe
della Storia umana
di Angela Galloro
Per Adhoc edizioni i ricordi di guerra
di un soldato italiano sopravvissuto
Ciò che colpisce fin dalle prime pagine di Un uomo. Una storia di Marcella Mellea e Michele Petullà (Adhoc edizioni, pp. 128, € 15,00) è l’estrema dedizione nei confronti della memoria da parte degli autori. Un desiderio inebriante di raccontare, testimoniare, documentare ciò che è stato di un uomo nel momento della sua dipartita. Il racconto inizia con il silenzio di Francesco, il protagonista, nell’attimo peggiore, quello in cui le forze abbandonano il corpo ma raggiungono lo spirito dei vivi e ricordano loro il valore della vita e della parola, «perché vivere nei cuori che lasciamo dietro di noi non è morire». La lapidaria frase «Tutto, ora, tace!» spinge chi scrive a colmare questo silenzio, a riempirlo del racconto di amori, emozioni, sentimenti, conclusioni tragiche e percorsi individuali. Perché è con singole vite umane che si costruisce quotidianamente il passato. E questa volontà di ripercorrerlo pezzo per pezzo al fine di riscattare la natura mortale dell’uomo ha da sempre accompagnato l’arte. L’autrice, figlia del protagonista del romanzo, vuole ricordare, perché «viene sempre il momento in cui i figli si ricercano nei padri» e inizia così questo percorso di memoria involontaria, che prende per mano il lettore come farebbe un padre con la figlia e, con tono emotivo e dimesso, lo accompagna in luoghi lontani, attraverso personali battaglie vinte di guerre perse.
Una vita a più dimensioni
La storia del protagonista è abilmente raccontata su più piani ed è importante notare come questi vadano a confluire nella descrizione di uomo semplice che, come tanti della sua generazione, ha lasciato silente, sotto i ghiacci delle steppe russe e sotto le uniformi sdrucite, un eroismo che logora l’anima e che non risparmia il suo ricordo in ogni momento della propria vita: quello di una guerra ingiusta, quell’istinto “destruens” che annichilisce le volontà, che impedisce l’arbitrio umano.
La vita di Francesco, tuttavia, inizia con immagini di tutt’altro tipo: mare, luce, armonia vitale, colori, all’interno di un microcosmo di affetti sinceri, riscaldati dal calore del sole in una terra come quella di Calabria, dove il sole non mancava mai, quasi a voler ricompensare gli abitanti di essere stati “dimenticati” dalla grande storia che passava sopra le loro teste. Pagina dopo pagina vediamo scorrere l’infanzia felice di un bambino, già curioso delle cose del mondo, nella campagna di Floridace, il cui stesso nome sembra parlarci di profumi e suoni, di fiori e raccolti, di un Eden incontaminato dove le brutture del “secolo breve” non sarebbero giunte. Le atmosfere vengono narrate come magiche e soprannaturali, quasi oniriche e ben si conciliano con il temperamento vivace del piccolo “Cicciarello”, con la sua voglia di fare e scherzare, con il sorriso della gente di paese, la sua ancestrale sapienza e con un’allegria d’altri tempi che molto avrebbe da insegnare alle ansie e frenesie della nostra vita attuale.
Il racconto, narrato in prima persona, ci fa sentire il protagonista – che è l’interlocutore della sua stessa storia – molto più vicino, come un destinatario silenzioso che mette alla prova la nostra ingenuità di lettori, che niente hanno visto.
La guerra di nessuno
Appare incredibile come la guerra riesca a far cambiare colore alle cose. Il treno che Francesco guardava passare e che gli faceva sognare viaggi, belle donne, splendidi luoghi lontani, diventa uno strano strumento fischiante verso l’incerto, i valori genuini di lavoro, famiglia e difesa della patria si anneriscono di polvere da sparo, quando la stessa Italia da servire maltratta i suoi figli, mandandoli a morire senza mezzi, senza preparazione militare e soprattutto senza una ragione.
Il libro narra con dovizia di particolari storiografici la cosiddetta “Operazione Barbarossa”, con la quale la Germania nazista tentava di piegare alla propria conquista il fronte orientale per scopi economici e ideologici: l’Italia segue impulsivamente e obbligata dal Duce la folle impresa, a dispetto di ogni previsione militare che avrebbe visto una clamorosa sconfitta a causa della povertà di mezzi.
Il tono si fa gradualmente cupo nelle tappe di passaggio dal Nord Italia, il protagonista era stato arruolato come alpino, fino in Russia e colpiscono momenti quali gli incontri che i soldati fanno con le popolazioni dei diversi stati d’Europa, tutte devastate da un’unica guerra. Fa tristemente capolino in qualche pagina l’Olocausto, file di uomini marchiati da una stella gialla, che i militari dell’Armir (Armata italiana in Russia) non potevano conoscere, e torturati brutalmente dai soldati tedeschi.
La caratteristica peggiore di una guerra del genere è l’ignoranza: giovani da tutta Italia erano condannati a morte certa, dal momento che nessuno aveva insegnato loro gli orrori della vita in trincea; molti erano peraltro impreparati, non sapevano come orientarsi nel mondo e non erano mai usciti dalle frontiere delle loro terre, la loro non era una motivazione ideologica, né politica, ma solo senso del dovere. Il nostro Francesco ha dalla sua una curiosità caratteriale, lo spirito pratico di adattamento che ha imparato sin da bambino, ma una guerra così tremenda richiede una fermezza interiore e un’insensibilità che nessuno, se non personalità storiche tra le peggiori, può avere. Leggiamo di un lungo cammino tra le nevi, di vestiti logori, di fame, di temperature sotto lo zero, di raffiche di spari della katyusha, di pessime condizioni igieniche, di sangue e morti. In un contesto del genere piccoli momenti di condivisione rischiarano l’inferno: solidarietà tra i soldati, cartoline e pensieri alla famiglia e, nel caso di Francesco, piccoli doni e notizie che provenivano dallo zio, anch’egli arruolato poco lontano.
La tragicità di questa esperienza non ha limiti, sembrano dirci gli autori, i quali narrano in modo concitato ogni episodio nel tentativo non facile di testimoniare gli orrori storici che facilmente la memoria umana rimuove.
L’atroce rumore del silenzio
Francesco non sentiva questa guerra come la sua guerra: nessuno dei suoi commilitoni poteva sentirla, così come nessun uomo. La guerra è l’annientamento dell’umano, il suo contrario e presto anche coloro che erano partiti con entusiasmo perdono le forze, fisiche e mentali, perdono ogni sentimento vitale appena si vedono costretti ad abbandonare corpi congelati di compagni durante la ritirata o a vedere il sangue degli stessi sulle loro uniformi. Al silenzio degli uomini fa da contrappeso il fischiare delle armi, il rimbombo degli spari e le urla dei feriti. I capitoli centrali del romanzo, infatti, sembrano una preghiera urlata da chi ha combattuto, dalle madri e famiglie lontane, non da un solo popolo, bensì un urlo collettivo, di un’intera umanità decimata moralmente. Lo stesso grido appartiene a Francesco che rischia più volte di morire sotto le bombe e prega, prega incessantemente il suo dio e i suoi santi, non solo quelli religiosi, ma quelli del proprio mondo, della propria casa. E sembra insegnarci che la prima divinità di ognuno di noi è la madre; quello che si cerca nei momenti in cui il mondo tradisce i suoi figli mettendoli l’uno contro l’altro è il ritorno fetale all’amore materno.
Il congelamento ad arto inferiore, che Francesco riporta dalla guerra, è solo la parte visibile di uno sconvolgimento personale che il nostro protagonista tenta di esorcizzare con il ricordo, non sentendosi mai un eroe, ma un umile e nello stesso tempo orgoglioso servitore dei propri valori, che tramanderà alla famiglia in veste di uomo comune e con un temperamento allegro come reazione quasi paradossale a un grande trauma umano.
Storie da focolare
L’autrice, l’autore e il protagonista sono spinti dalla stessa straordinaria capacità di raccontare. La zampillante curiosità di Francesco bambino lo porta a leggere classici della letteratura, narrare storie al focolare, inventare favole a chi gli sta intorno, come se avesse in testa un mondo di immagini da condividere. Scriverà, da adulto, poesie e memorie per esternare esperienze, per arricchire chi gli sta intorno. Anche durante la guerra Francesco insiste ad inviare alla sua famiglia cartoline – riprodotte in fotografia nel libro – per comunicare piccoli stati d’animo del momento. L’aggrapparsi a questa condivisione di parole e sentimenti per tutta la vita farà di lui una persona speciale, che ha saputo mettere a frutto tristi esperienze. Il tono dell’intero romanzo è un tono “domestico”, fatto di emotività, di pause, quasi una recitazione orale da epica antica che rimarca le nostre radici di giovani aedi e il bisogno spasmodico di comunicare ciò che è stato per capire ciò che sarà.
Anche il ritorno del protagonista a casa – in modo irriconoscibile, tante e tali erano state le privazioni della guerra, e il primo saluto da parte del fratellino che annuncia l’arrivo e della cagnetta che scodinzola riacquistando la gioia di vivere – ha qualcosa di mitico, suona come la metafora di un nostos (ritorno) attraverso cui l’uomo ricerca se stesso e completa la sua crescita per tornare dopo aver varcato i limiti in situazioni estreme, alle proprie radici e ai propri valori, sempre gli stessi, che costruiranno il suo percorso di vita.
La storia, nostalgico racconto di una figlia che assopisce il dolore della perdita del padre attraverso le sue memorie, diventa così il tassello di una vicenda umana globale e ce ne parlano le poesie, le citazioni d’autore, le frasi di canzoni che preparano ogni capitolo concorrendo anch’esse alla testimonianza.
Il romanzo si conclude con la parola “storia”. Quello che all’inizio taceva, ora, attraverso i racconti del protagonista e grazie agli autori, ha voce.
Angela Galloro
(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 34, giugno 2010)