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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno I, n° 3 - Novembre 2007

Zoom immagine Decrescita del Pil
e scambio solidale:
ricette per il futuro

di Giuseppe Licandro
Maurizio Pallante, in un libro stampato
dagli Editori Riuniti, propone nuove vie
per scongiurare la rovina dell’ambiente


Nel 1972 il Club di Roma – uno stimato centro studi italiano, fondato nel 1968 su iniziativa di Aurelio Peccei ­– commissionò al Massachusetts Institute of Tecnology una ricerca sullo stato di salute dell’ambiente terrestre. Ne scaturì il famoso rapporto I limiti dello sviluppo (pubblicato dalla Mondadori), nel quale gli studiosi statunitensi prospettarono l’eventualità che, nel corso di un secolo, le fonti energetiche di origine fossile (carbone, petrolio, ecc.) non sarebbero state più sufficienti a soddisfare i fabbisogni di una popolazione mondiale in continua crescita.

Il documento, inoltre, evidenziava l’aggravarsi dell’inquinamento ambientale per colpa dell’uomo e proponeva un’inversione di rotta nei comportamenti collettivi, auspicando la riduzione dei consumi superflui e l’adozione di una politica energetica mondiale più razionale e sempre meno dipendente dai derivati del petrolio.

 

Le fonti energetiche alternative

Le paure espresse dal Club di Roma si rivelarono motivate: appena un anno dopo, in seguito alla crisi internazionale determinata dall’ennesimo conflitto arabo-israeliano (in quella che fu denominata “Guerra del Kippur”), il prezzo del petrolio triplicò nel giro di pochi mesi, contribuendo ad innescare una lunga fase di recessione economica, che si protrasse fino alla fine degli anni Ottanta del Novecento.

Ai governi degli stati più industrializzati, quindi, si prospettò la necessità di trovare sistemi energetici alternativi a quelli che si fondavano sul consumo degli idrocarburi. Le associazioni e i movimenti ecologisti, che iniziavano ad affacciarsi sulla scena politica, proposero di utilizzare fonti naturali, rinnovabili e non inquinanti, come il sole e il vento.

Su altri fronti, invece, si diffuse il convincimento che soltanto l’energia atomica potesse risolvere definitivamente i problemi energetici dell’umanità. Tuttavia, i gravi incidenti di Three Mile Island in Pennsylvania (1979) e di Chernobyl in Ucraina (1986) posero ben presto seri ostacoli alla proliferazione delle centrali nucleari.

I governi occidentali, pertanto, pur iniziando a sfruttare parzialmente anche le risorse naturali rinnovabili, fecero massicciamente ricorso ai gas combustibili, il cui uso, se da un lato servì a ridurre il consumo del petrolio, dall’altro finì per ampliare il vulnus inferto dall’uomo alla natura (l’“effetto serra”, infatti, è riconducibile in massima parte alla combustione di alcuni gas, come il metano).

Nonostante le raccomandazioni del Club di Roma, la crescita economica dei maggiori paesi industrializzati (valutabile, in termini statistici, attraverso l’andamento del Prodotto interno lordo) continuò incessantemente, senza tener in alcun conto i «limiti dello sviluppo» auspicati da molti scienziati.

Ecco, dunque, che all’inizio del nuovo Millennio, di fronte all’aggravarsi dell’inquinamento terrestre, è esplosa nuovamente la “questione ambientale”: fra gli studiosi si è aperto un acceso dibattito sulle cause e i rimedi del surriscaldamento atmosferico che sta interessando minacciosamente il nostro pianeta (per una trattazione più esauriente dell’argomento rimandiamo all’articolo Il riscaldamento terrestre: un fenomeno naturale o un fatto imputabile all’uomo?, pubblicato sul n. 16 di direfarescrivere).

 

Il Movimento per la decrescita felice

All’interno dell’arcipelago ecologista si è ritagliato uno spazio ben visibile il Movimento per la decrescita felice (Mdf), che porta avanti da tempo la campagna contro l’aumento generalizzato della produzione agroindustriale, battendosi anche contro quello che, eufemisticamente, viene definito lo «sviluppo sostenibile».

Tra i fondatori del Mdf va annoverato Maurizio Pallante, esperto di tecnologie ambientali, che ha recentemente pubblicato il saggio La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal Pil (Editori Riuniti, pp. 136, € 12,00), in cui propone di abbandonare l’attuale modello economico basato sul mercato globale.

L’idea di fondo degli aderenti al Mdf consiste nella tesi secondo cui la crescita economica sia in verità una pericolosa trappola mortale: se, in ambito economico, si considera soltanto l’andamento del Prodotto interno lordo di una nazione, si perde di vista l’effettiva qualità della vita della sua popolazione e non si comprendono le ripercussioni negative sull’ambiente derivanti dallo sfruttamento illimitato delle risorse naturali.   

Nell’Introduzione l’autore si pone le seguenti domande: «Ma cos’è questa crescita? È la crescita dei beni e dei servizi di cui gli esseri umani hanno bisogno per vivere sempre meglio?». Le risposte da lui fornite, come vedremo, risulteranno per molti versi originali e... sconcertanti.

 

Diminuire il Pil

All’inizio del suo scritto Pallante illustra il manifesto programmatico del Mdf, nel quale si sostiene ripetutamente che occorre diminuire il Pil, anziché aumentarlo, sostituendo gradualmente il “libero mercato” delle merci prodotte industrialmente con l’autoproduzione dei beni e il commercio equo e solidale.

I principi basilari del Mdf vengono così delineati dall’autore: «Per aderire al  movimento è sufficiente

– autoprodurre lo yogurt o qualsiasi altro bene primario: la passata di pomodoro, la marmellata, il pane, il succo di frutta, le torte, l’energia termica e l’energia elettrica, oggetti e utensili, le manutenzioni ordinarie;

– fornire i servizi alla persona che in genere vengono delegati a pagamento: assistenza dei figli nei primi anni d’età, degli anziani e dei disabili, dei malati e dei morenti».

Come si può facilmente intuire, si tratta di realizzare una vera e propria “rivoluzione culturale”. Secondo i membri del Mdf, infatti, le popolazioni dei paesi più sviluppati dovrebbero abbandonare le abitudini tipiche della vita metropolitana e recuperare valori e istituzioni (come, ad esempio, la famiglia “allargata” di tipo contadino) da molto tempo caduti in disuso.

L’obiettivo primario è quello di invertire il flusso migratorio che dalle campagne ha portato centinaia di milioni di individui a spostarsi presso i grandi agglomerati urbani, dove ormai, soprattutto nelle periferie degradate, si conduce un’esistenza inautentica, avvilita dal lavoro massacrante, dal traffico caotico, dallo smog, dalla violenza dilagante, dall’incomunicabilità.

La decrescita economica e produttiva appare perciò a Pallante come «un passaggio obbligato nella costruzione di una nuova cultura capace di superare i terribili problemi posti all’umanità e a tutte le specie viventi da un sistema economico fondato sulla crescita illimitata di produzione delle merci».

Sul piano politico, lo scrittore accomuna nella sua critica sia la “destra” che la “sinistra”, assumendo una posizione sicuramente atipica che, comunque avulsa dai soliti luoghi comuni, mette in evidenza la prossimità ideologica che accomuna da tempo i due schieramenti, entrambi condizionati (con qualche eccezione, rappresentata dai partiti ecologisti) dall’esigenza stringente dell’aumento della produttività.

 

Come contenere gli sprechi

Certo, le idee degli aderenti al Mdf possono apparire estremamente radicali e difficilmente attuabili. Anche perché gran parte della popolazione occidentale, educata al consumismo più becero, ha perso (o non ha mai acquisito) le abilità necessarie all’autoproduzione dei beni. E c’è – oggettivamente – il rischio che la riduzione generalizzata del Pil inneschi, almeno in una prima fase, una crisi economica internazionale non indifferente.

Tuttavia, riteniamo ugualmente che sia possibile incamminarsi in parte sui sentieri indicati da Pallante, riducendo, tanto per iniziare, «l’uso di merci che comportano utilità decrescenti e disutilità crescenti, che generano un forte impatto ambientale, che causano ingiustizie sociali».

Si può, in altri termini, vivere più sobriamente, limitando i propri consumi ai beni essenziali, sostenendo la produzione artigianale e boicottando le merci di quelle aziende che palesemente inquinano l’ambiente e violano i diritti dei lavoratori (per informarsi, basta consultare il testo Guida al consumo critico, edito dalla Emi).

Ancora, si possono contenere gli sprechi, eliminando per esempio gli inutili stand by da computer e televisori o sostituendo le lampadine e gli elettrodomestici ad alto consumo con altri prodotti, a più basso dispendio energetico. E qualche cittadino, più facoltoso e intraprendente, potrebbe dotare il proprio appartamento di un piccolo impianto fotovoltaico, in grado di produrre energia elettrica a costi ridotti, che può anche essere eventualmente venduta... 

 

La cultura del dono e dello scambio solidale

Nella parte conclusiva del libro, Pallante rivolge un appello ai lettori, invitandoli non soltanto a potenziare la “raccolta differenziata” (che in sé non risolve del tutto il problema dell’aumento complessivo dei consumi e, quindi, dei rifiuti), quanto soprattutto a «comprare il meno possibile e far durare il più a lungo possibile quello che compri». «Buy nothing» («Compra niente») è il motto inglese da lui adoperato per sottolineare, un po’ provocatoriamente, la necessità di cambiare la forma mentis del consumatore acritico e passivo, soggiogato dalla pubblicità e feticisticamente sottomesso alle merci.

Un elemento essenziale per modificare questa mentalità è il ricorso, oltre che all’autoproduzione, anche «ai doni reciproci all’interno di una rete di legami sociali fondati sulla solidarietà».

La cultura del dono e dello scambio solidale è stata riscoperta in alcune zone del Terzo Mondo, laddove la povertà ha spinto le popolazioni locali a ripristinare antiche forme di mutualità. E anche in Occidente si sono affermati modi alternativi di scambiare i prodotti, come testimoniano le esperienze dei Gas (Gruppi di acquisto solidale) in Italia, dei Lets (Local Exchange Trade System) nei paesi anglosassoni e dei Sel (Système d’échange local) in Francia.

Di questi argomenti si è lungamente occupato il sociologo Serge Latouche, che ha dimostrato in tanti suoi saggi (La Megamacchina, Bollati Boringhieri; La sfida di Minerva, Bollati Boringhieri; Il pensiero creativo contro l’economia dell’assurdo, Emi; Altri mondi, altre menti, altrimenti, Rubbettino) come sia possibile trasmutare i rapporti di scambio meramente mercantili, costruendo un’economia diversa, di tipo “vernacolare”. I vincoli sociali, la mutua assistenza, la cooperazione e il commercio equo possono diventare, infatti, utili strumenti economici, attraverso cui eliminare i guasti derivanti dalla globalizzazione, senza per questo rinunciare completamente ai vantaggi del mercato (che va sottoposto, tuttavia, a regole ben definite).

Ecco perché, in conclusione del suo libro, Pallante si dichiara convinto che «un altro mondo è possibile» e che si può invertire la rotta autodistruttiva dentro cui sembra essersi incanalata l’umanità. E questa è una speranza che, pur essendo consci delle difficoltà insite nella realizzazione del progetto del Mdf, ci sentiamo di sostenere.

 

Giuseppe Licandro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 3, novembre 2007)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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