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Anno IV, n. 33, maggio 2010
Informazione:
la “leggenda”
della censura
di Angela Galloro
Edizioni associate: un saggio
arguto sulla libertà di stampa.
Nella storia la sgradita verità
Nell’affannosa ricerca delle famigerate “cinque w”, la stampa italiana si è lasciata sfuggire troppo spesso l’unica vera “v”, per niente doppia: quella della verità.
A parlarne è Rinaldo Boggiani, docente di Diritto pubblico e collaboratore di prestigiose riviste, nonché da sempre appassionato di storia, in un suo interessante saggio denso di contenuti per lo più storici ma espressi in forma “leggera” così da risultare accessibile ai giovani ai quali è espressamente dedicato. L’autore sfrutta, infatti, la sua preparazione giuridica per addentrarsi in uno degli argomenti più attuali e discussi dei nostri tempi, la libertà di informazione. E lo fa analizzando leggi e decreti che da molti secoli tentano di regolare un diritto indiscutibile, il diritto all’espressione, e i modi in cui esso si manifesta.
Antistoria della libertà di stampa in Italia (Edizioni associate, pp. 150, € 11,00) contiene i dati cronachistici di un libello polemico d’altri tempi e il tono sarcastico di una riflessione attuale portata avanti in maniera dialettica in ogni pagina, a partire dalla copertina, che alterna la descrizione di un episodio autobiografico come invito alla lettura ad un’immagine di gusto chagalliano il cui titolo è Undicesimo: non leggete! Si entra infatti in un argomento che approva e nega contemporaneamente, che afferma tutto e il contrario di tutto, un campo – quello della regolamentazione della libertà di stampa – dove un semplice gesto interpretativo o un connettivo grammaticale possono imbavagliare di colpo fatti e pareri.
Censura sacra e censura profana
Un paese che ospita da tempo immemore la "Santa romana chiesa" deve necessariamente subirne i relativi oneri e tra questi anche la massiccia opera di censura che essa ha operato sin dagli inizi del Cinquecento. E non contenta delle misure preventive sui fronti teologico, morale e politico con controllo sulle tipografie da parte di organi ecclesiastici competenti, impedisce per tutto il periodo controriformistico la diffusione di idee non ortodosse, istituendo l’indice dei libri proibiti, censura repressiva dagli effetti devastanti nel tempo.
Ma quello che principalmente interessa a Boggiani è la vera e propria legislazione sulla stampa che inizia con lo Statuto albertino nel quale tale legge viene limitata da disposizioni speciali poco dopo la sua stessa promulgazione: l’Editto albertino sulla stampa che prevedeva una censura repressiva anziché preventiva e che veniva approvato in seguito a disordini e polemiche in tutte le parti d’Italia. Da questo momento «la stampa sarà libera ma soggetta a leggi repressive» il che, in senso neanche troppo moderno, equivale a dire che “non è libera”, se la struttura di certe espressioni giuridiche non fanno della grammatica un’opinione.
E seguendo questo alternarsi di poteri si arriva all’integralismo settario dei gesuiti i quali optano per strumentalizzare il giornalismo, fino ad allora considerato una delle piaghe della società, fucina di idee diaboliche, a favore dei loro scopi al punto da scrivere che «il popolo propriamente detto […] non opererà mai, forse neppure non penserà mai da sé». L’opinione pubblica viene considerata nulla, da sottovalutare perché pettegolezzo da donnette, sintomo di «mollezza morale».
Sarà per questo che in Italia, allo stato attuale, si legge di meno che negli altri paesi? Sarà perché un organo secolare ha accuratamente selezionato il nostro sapere tenendolo lontano da “elementi di disturbo” quali il giornalismo, affidandolo così all’omelia domenicale ed annullando in tal modo lo spirito critico, la libertà di giudizio e l’arbitrio nel pensiero di un intero popolo?
Non solo. L’antisemitismo che regna nell’ambiente gesuitico ai primi del Novecento, per cui la tanto mefistofelica stampa capace di influenzare la pubblica opinione è – guarda caso – in mano ai giudei di tutta Europa, lascia spazio così al regime fascista che ne completa l’opera sferrando alla stampa italiana il colpo di grazia, con la chiusura di numerose testate attraverso sequestri, condanne capillari e atti di violenza così noti che a ricordarli si rischierebbe di offrire nuove idee di repressione alla censura più o meno legalizzata dei nostri tempi.
La legge di natura o la legge del popolo?
Uno dei problemi fondamentali che Boggiani si pone è se debba esistere una regolamentazione della libertà di stampa. Il diritto di espressione del proprio pensiero è insito nella stessa condizione di esseri pensanti; a che pro dunque legiferare in merito a questo? Tutte le leggi che proclamano la stampa “libera” sin dal 1848 contengono un’avversativa, una caduta quindi nel regime repressivo della censura. Si tratta di limitazioni soggette ad ogni possibile interpretazione da parte di giudici, avvocati, magistrati, re, polizia e qualunque altro organo in grado di gestire il potere della censura. «È l’arbitrio codificato e reso legale».
Il grande giornalista Enzo Biagi sosteneva che «la libertà è uno dei beni che gli uomini dovrebbero apprezzare di più. La libertà è come la poesia, non deve avere aggettivi. È libertà»
Boggiani, similmente, afferma che la stampa dovrebbe essere libera senza se e senza ma, e che nessuna autorità dovrebbe stilare una casistica precisa sottoposta a interventi repressivi. Il giornalista dunque, o chiunque esprima pubblicamente un pensiero, dovrebbe avere a cuore il proprio dovere, considerare come unica regolamentazione il buon senso e come unica limitazione giuridica il codice penale. Piuttosto dovrebbero essere proprio le limitazioni alla libertà di espressione ad essere giuridicamente controllate, così come avviene con la Costituzione federale degli Stati Uniti o con la costituzione (non scritta) inglese.
Persino la Francia, patria della rivoluzione, dopo il 1789 innalza il popolo allo stato di sovrano anche in materia di libertà di stampa che non deve quindi turbare “l’ordine pubblico”: nazione, legge, popolo diventano entità trascendenti in grado di limitare – anziché garantire, in molti casi – alcuni dei diritti inviolabili della natura umana.
A giudicare dalle documentazioni raccolte dall’autore, la recente abitudine, tutta italiana, di voler modificare la Costituzione o di violarla, è un retaggio dei tempi passati quando la legislazione speciale consentiva alla maggioranza di approvare leggi senza rispettare il comune iter democratico e il decreto legge permetteva all’esecutivo di legiferare liberamente a dispetto delle decisioni parlamentari. Lo stesso articolo 21 della Costituzione, come ricorda l’autore, ci parla in modo estremamente vago di «intervento dell’autorità giudiziaria», «censura» e «buon costume», lasciando intendere che sarà il potere costituito a decidere caso per caso quello che è giusto si sappia. Tutto ciò non suona troppo lontano dalla nostra realtà quotidiana nella quale i media, da “mezzi” di informazione diventano “strumenti”, risentono cioè di una forte manipolazione da parte di vertici economici, aziendali, politici trasformandosi quindi in un’arma a doppio taglio che rischia di omologare i fatti sopprimendo la pluralità di informazione, occultando la verità, travisandola o giocando con effimere opinioni da sostituire agli accadimenti reali.
Fin dove un organismo istituzionale può arrivare nel controllo della libertà di stampa, dal momento che “controllo” e “libertà” sono due concetti incompatibili nonostante tutta l’ermeneutica giuridica possibile? Anche l’albo dei giornalisti, istituito dal regime fascista aveva all’occorrenza una funzione di controllo, e successivamente si è dibattuto a lungo sull’utilità di un organismo che “ufficializzi” la professione del giornalista.
Sono questi alcuni degli interrogativi che il saggio di Boggiani propone in modo diretto al lettore testimoniando come uno dei punti nevralgici della nostra attualità sia in realtà lo strascico di una situazione storica che nel nostro paese ha permesso al potere di interferire troppo frequentemente nell’informazione pubblica.
Ma se giornali e tv sono monopolizzati in modo palese dagli interessi, resta fortunatamente per le ultime generazioni la “sesta w”, il web, zona franca dell’informazione e della comunicazione libera, ragnatela della quale non si possono comandare i movimenti, e così capillare da coinvolgere un ampio spettro di persone senza bisogno di regolamentazioni esterne.
Angela Galloro
Agata Garofalo, Francesca Rinaldi, Antonietta Zaccaro
Giulia Adamo, Maria Elisa Albanese, Mirko Altimari, Simona Antonelli, Yael Artom, Claudia Barbarino, Maddalena Beretta, Marina Bisogno, Anna Borrelli, Valentina Burchianti, Elisa Calabrò, Giacomo Callari, Maria Assunta Carlucci, Paola Cicardi, Guglielmo Colombero, Marina Del Duca, Maria Rosaria Ferrara, Elisabetta Feruglio, Vilma Formigoni, Manuela Gatta, Barbara Gimigliano, Eliana Grande, Patrizia Ieraci, Giuseppe Licandro, Stefania Marchitelli, Paola Mazza, Valentina Miduri, Elena Montemaggi, Sara Moretti, Valentina Pagano, Chiara Pennacchi, Anna Picci, Serena Poppi, Mariastella Rango, Alessia Rocco, Roberta Santoro, Maria Saporito, Valentina Stocchi, Sara Storione, Pasquina Tassone, Alba Terranova, Laura Tullio, Monica Viganò, Andrea Vulpitta, Carmine Zaccaro, Paola Zagami, Ida Zicari
Elisa Calabrò, Giulia De Concilio, Maria Franzè, Annalice Furfari, Anna Guglielmi, Angela Potente, Francesca Rinaldi, Marilena Rodi, Fulvia Scopelliti, Piero Vespari, Antonietta Zaccaro