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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Analogie tra
arte e scienza
di Rita Benigno
Raccolta di saggi,
da Politi editore:
nessi logici inattesi
Scienza ed arte iniziano il loro divorzio a partire da Galileo ed è proprio con la nascita della scienza moderna che il soggetto è messo fuori gioco. Lo scienziato, per essere tale, deve essere neutro: non deve avere un’individualità.
Ma è proprio vero che le scienze possono fare a meno del soggetto? E che cosa è una scienza che si comporta come se il soggetto non esistesse? Ed ancora, è davvero esatto affermare che da una parte stia soltanto il regno della razionalità e dell’oggettivazione e dall’altra quello della pura intuizione artistica? Se è vero – come è vero – che questo ormai antichissimo dissidio si è storicamente delineato secondo prospettive di volta in volta assai diverse, allora si possono ancora immaginare e cogliere connessioni un po’ impensate, incroci, legami, relazioni e contaminazioni, atti a svelarci il luogo dell’incontro fra Dionisio ed Apollo?
Connessioni inattese. Crossing tra arte e scienza, (Aa. Vv., Politi editore, pp. 192, € 30,00) è il racconto polifonico e poliedrico di una esplorazione delle possibili regioni in cui questo incontro può avvenire e, di fatto, avviene.
Dis-velando l’uomo ed il mondo
In apertura, il saggio di Ignazio Licata – che è anche il curatore del volume – rapisce ed ammalia fin dal titolo: Osservando la resistenza del mondo. Scienza ed arte come giochi cognitivi tra metafore e modelli, ci rivela sin da subito quel fraintendimento ideologico che ha visto la scienza oggettivizzarsi ed isolarsi dal sentire umano. Invitando allo stupore della resistenza del mondo alle nostre narrazioni, Licata “ri-parte” e “ri-prende” la «riflessione sulle caratteristiche cognitive dell’arte e della scienza che esplora i confini sottili fra oggetto e soggetto, rivelando alcuni aspetti cruciali dell’“arte della scienza”, intesa come “eresia del fare” contro ogni visione ideologica del “metodo”», già da egli stesso presentata in L’arte della scienza.
Il movimento teorico di Licata – “dis-velando” la complessità dell’uomo e del suo mondo, in un universo in cui la fisica quantistica ha riscoperto l’infinito – inaugura una di quelle grandi narrazioni che Lyotard pretendeva inesorabilmente estinte: una tesi che tenta di affrancare la storia parallela dell’arte e della scienza dalle proprie ipoteche culturali, per affermarle come «“eresie del fare”, basate su un preciso rapporto con il mondo», in quanto «in entrambe lo strumento formale, guidato dall’intuizione, è la condizione essenziale per l’incontro con le cose, ed in quel “fare” risiede l’autentico “pensiero” della scienza e dell’arte».
Fra arte e scienza
Ad illustrare – nel “particolare” delle differenti discipline – questa complessità efficacemente riferita dal curatore del volume, gli interventi di altri scienziati, ma anche di filosofi e critici dell’arte che sostanziano dal punto di vista di ciascuno le “connessioni inattese” dell’arte e della scienza. In questo quadro variegato, a prendere subito la parola sono due critici dell’arte. Achille Bonito Oliva (che è anche docente di Storia dell’arte contemporanea alla facoltà di Architettura dell’Università "
Proseguendo in questo viaggio all’interno delle relazioni e dei legami fra arte e scienza, la giornalista Adriana Polveroni – analizzando le due discipline, intese come La coppia semantica – riconosce alla scienza una componente “divergente” ed imprevedibile, quale è l’immaginazione da “rimotivare”, ed all’arte «un potenziale immaginativo, a volte addirittura prefigurante il futuro della stessa scienza, notevolmente superiore». Nel successivo ed interessante saggio di Brunella Antomarini (docente di Estetica e Filosofia contemporanea alla John Cabot University) – I teatri dell’occhio. L’alternarsi non-lineare delle teorie dei colori – ritorna, in qualche modo, l’impostazione organicistica. Esso offre, infatti, gli strumenti per indagare il rapporto arte-scienza attraverso l’analisi della teoria dei colori di Goethe – il quale ha fortemente contrastato i principi della fisica di Newton – messi poi profondamente in discussione proprio dai protagonisti della rivoluzione quantistica. E se è vero che «l’ultima parola insomma va al tintore», meglio si comprende in questo senso la posizione di un filosofo della scienza quale fu Paul Feyerabend, per il quale la scienza stessa non è data solo da fatti bensì da errori, interpretazioni, impulsi e fantasie. Per lo psicanalista Antonello Sciacchitano (Una struttura, molti modelli), invece, la questione va riportata nei termini lacaniani della priorità del linguaggio, individuando una modalità non categorica del rapporto tra rappresentazione ed oggetto in cui l’oggetto è uno e le rappresentazioni molteplici e non equivalenti fra di esse.
L’arte studiata scientificamente, la scienza interpretata artisticamente
Pier Luigi Capucci (docente all’Università degli Studi di Urbino), in Arte della scienza e scienza dell’arte, ci parla essenzialmente delle forme artistiche studiate ed analizzate con metodi scientifici e dei fenomeni naturali e scientifici interpretati in chiave artistica, soffermandosi poi in particolare sulla dimensione sociale dell’arte che non può mai essere ignorata e sulla potenzialità che essa possiede – utilizzando le nanotecnologie e la robotica – «per produrre visioni, nuove metafore, concetti innovativi, utili per affrontare sia i nanomondi che il cosmo». Suggestivo il contributo di Nicola Setari – filosofo e mediologo – che nella rappresentazione di Edison vs. Houdini varca quel labile confine fra realtà ed immaginazione oltre il quale «l’arte diviene magia e la scienza sperimentale fantascienza».
Con Toy Models, Siriana Sgavicchia (docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università per stranieri di Perugia) disegna «un itinerario elastico in cui l’arte sconfina e dilaga verso la scienza […] per proporre nuovi modelli d’immagine del mondo». Protagonista del testo è la pittura di Teresa Iaria, che ha concepito un nuovo spazio-tempo dell’immagine coniugando arte, scienza e filosofia. Il lavoro della Iaria, che negli ultimi anni si interessa di fisica teorica, si ispira alle idee di David Bohm, Ignazio Licata e Brian Greene, evidenziando – secondo
Benedetta Di Loreto (critica d’arte), in Processi di conoscenza. Scienza e contesto, si sofferma quindi sui dispositivi sperimentali che verificano l’intuizione, costruiti dalla scienza e dall’arte. Poi, in un intervento di Luca Francesco Ticini, una riflessione su La neuroestetica: un passo verso la comprensione della creatività umana? proprio grazie alle ricerche della moderna neurologia, l’uomo ha iniziato a conoscere le aree del cervello coinvolte nella percezione delle forme e dei colori. Tale circostanza apre più di uno spiraglio sull’essenza intima dell’esperienza estetica e sulla definizione del concetto di bellezza, pur non concedendo ancora la possibilità «di aprire lo scrigno che contiene i segreti più arcani, e inviolati della conoscenza, su cui filosofi e scienziati dibattono da millenni: i misteri della mente umana»; segue un intervento di Alessandro Giuliani, dell’Istituto superiore di Sanità di Roma, e Joseph P. Zbilut della Rush University di Chicago, che riflettono su La scienza come forma d’arte: nozioni di base per un approccio estetico al lavoro scientifico.
Conclusione nietzschiana
Ciò che, alla fine di questo lungo ed intenso excursus sembra risaltare in primo piano è la circostanza – già chiaramente indicata da Ignazio Licata – che sia oggi corretto affermare che «ciò che dobbiamo cogliere è l’intera connessione strutturale delle cose». Eppure, sorprendentemente, il volume – che contiene anche una prefazione dello stesso Licata – chiude con un salto all’indietro che richiama l’ormai obsoleta separazione nietzschiana fra l’uomo sensibile e l’uomo razionale: Tic-Tac-Tic-Tac… Questa è la scienza per Elio Grazioli (critico d’arte e docente di storia dell’arte contemporanea e comunicazione visiva all’Università di Bergamo): «l’efficacia inumana delle convenzioni e l’esistenza inesorabile del reale», di contro ad un’arte che sembrerebbe essere visione caotica ed incosciente.
Riusciranno mai a riappacificarsi per davvero, l’uomo dell’orologio e l’uomo di Pascal?
Rita Benigno
(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 33, maggio 2010)
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