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Anno I, n° 3 - Novembre 2007
La violenza del fascismo:
un assassinio legalizzato
di Luisa Grieco e Mariangela Rotili
Il “caso” dell’anarchico Schirru. Un denso volume
edito da Galzerano racconta la sua tragica storia
A molti dei nostri lettori il nome Michele Schirru non dirà molto, e questa ci sembra, lasciatecelo dire, una delle solite “dimenticanze” che la storia del nostro paese ci offre da ormai troppo tempo. Per conoscere a fondo le tristi vicende legate a questo coraggioso personaggio ci sarebbe bisogno di una lunga e appassionata ricerca storica, archivistica e giornalistica, ma anche fotografica, possibilmente, o addirittura epistolare.
È quello che ha pensato di fare Giuseppe Galzerano, con il ponderoso volume intitolato Michele Schirru. Vita, viaggi, arresto, carcere, processo e morte dell’anarchico italo-americano fucilato per l’«intenzione» di uccidere Mussolini (Galzerano editore, pp. 1.088, € 35,00), uno studio minuzioso e ricchissimo sulla figura di un “rivoluzionario” che ha pagato con la vita la sua bramosa voglia di libertà in un’Italia che gemeva sotto il giogo del fascismo.
Michele Schirru, chi era costui?
Proviamo a fare un piccolo excursus sulla vita e sulle vicende legate all’anarchico Michele Luigi Schirru. Nasce a Padria in provincia di Sassari il 19 ottobre del 1899 da una famiglia agiata. Emigra da giovane negli Stati Uniti dove mette su famiglia e prende la cittadinanza americana.
Schirru (che in sardo significa “scoiattolo”) torna in Italia il 12 gennaio del 1931.
Segnalato in Italia come “anarchico”, la notte del 3 febbraio dello stesso anno viene arrestato a Roma mentre si intratteneva in una stanza dell’Albergo Colonna con una ballerina ungherese.
Viene portato in commissariato, dove viene interrogato – senza nessuna garanzia di difesa – in merito a due ordigni trovati all’interno di una valigetta di sua proprietà e di una pistola. Viene pestato (oltretutto le drammatiche foto del giovane ferito sono pubblicate all’interno del volume nell’ampia parte dedicata alle fotografie e ai documenti), come da prassi, e secondo i verbali della polizia, a nostro avviso abbastanza fantasiosi, il giovane italo-americano avrebbe tentato di uccidere, sparando e creando subbuglio nell’ufficio.
Ma il momento cruciale è quando Michele Schirru, seriamente convalescente per l’interrogatorio subito, afferma con fierezza: «Il piano che mi ero prefissato […] era quello di compiere un attentato alla vita di S. E. il Capo del Governo, mediante un lancio di bombe. Uscivo la mattina alle
La vicenda suscita clamore e sgomento: il padre, la sorella – segretaria del fascio femminile – e il fratello sacerdote lo rinnegano; le lettere indirizzate ai familiari dal carcere non arrivano ai destinatari. Schirru è solo, contro tutti.
I gruppi anarchici, soprattutto all’estero, invece lo innalzano a eroe e simbolo contro la repressione del regime, la stampa antifascista sostiene la sua causa, il “combattente sardo” diventa un emblema di libertà e sicuramente di coraggio.
Viene abbandonato, inoltre, dal governo statunitense pur essendo anche cittadino americano.
Dopo il processo del 28 maggio del 1931 il giovane viene condannato a morte; una condanna salutata da applausi e da urla di gioia, urla che si ritrovano anche nei titoli della stampa piegata al regime.
Un atto indegno e vigliacco di cui solo i “regimi” sono capaci: viene condannato a morte un uomo che non ha compiuto niente, non ha attentato a niente e a nessuno, viene ucciso per volontà del Duce in persona per mezzo di una fucilazione alla schiena da ventiquattro volontari volutamente sardi, un atto di una crudeltà che ci fa rabbrividire, che sintetizza al meglio (o al peggio, sarebbe il caso di dire) cosa sono state le atrocità del regime fascista italiano.
Mussolini stesso dirà di ammirare Michele Schirru, lo dirà ufficialmente, un giudizio che sottolinea ancora una volta la “grandezza d’animo” del Duce nascosta, come spesso avvenuto, dietro un’atroce uccisione.
Le parole di Schirru, poco prima dell’esecuzione («Abbasso il fascismo! Viva
La ricerca storica, i documenti, le foto.
Il lavoro di Galzerano è un lavoro serio, professionale, carico di passione e di grande valenza storica. La scrittura dell’autore è precisa e comprensibile, alterna le sue parole a quella dei documenti, spiegandoli al lettore con amorevole cura.
L’autore sa, e ci ricorda, un elemento drammatico della sua ricerca: forse i materiali che egli ha potuto consultare non sono, probabilmente, mai stati toccati dalla difesa di Schirru.
Il lavoro storiografico, a detta dello stesso Galzerano, è senza dubbio filtrato dal regime. I rapporti della polizia, i referti medici, le schede sono sporcate dagli assertori del fascismo. La verità così sembra non poter più arrivare a noi.
Un volume arricchito da un inserto fotografico dove i volti del “racconto della vita” del giovane anarchico prendono forma, dove possiamo leggere i documenti originali, vedere le spietate pagine dei giornali fascisti e quelle dure delle testate che il regime lo condannavano; guardare in faccia gli anarchici che stanno dalla sua stessa parte e infine la sua casa natale, così com’è oggi.
È una “passione”, quella dell’autore per la causa degli anarchici italiani: a essi (si ricordino Gaetano Bresci, Giovanni Passannante, Angelo Sbardellotto) ha dedicato studi e ricerche, sostenendo che l’anarchico è mosso da atti di «abnegazione disinteressata e altruista perché gli anarchici – nella loro azione – non si prefiggono di sostituire un potere con un altro potere e tantomeno con il “loro” potere, non vogliono eliminare un tiranno per salire sul trono al suo posto, ma si battono esclusivamente per la liberazione del popolo dalle dure catene della tirannia e della dittatura».
A noi piace ricordarlo così e ringraziarlo, Michele Luigi Schirru, coraggioso difensore della sua libertà e anche di quella di tutti noi.
Carmine De Fazio
(www.bottegascriptamanent.it anno I, n. 3, novembre 2007)