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Direttore editoriale: Natalia Bloise
Anno IV, n. 31, marzo 2010
Un viaggio tra uomini e donne
del passato remoto o recente
e in differenti ambienti sociali
di Simona Corrente
Il libro edito Terre di mezzo editore:
romanzo-verità sulla Città dei diari
Ogni uomo ha una sua storia ed ogni storia è sicuramente degna di essere raccontata. Talvolta il veicolo di diffusione resta l’oralità, che affida la conservazione dei ricordi esclusivamente alla capacità di esercitare la memoria. Per quanto semplice ed immediato possa apparire, il processo mnemonico può talvolta rivelarsi non molto affidabile soprattutto con lo scorrere del tempo che può erodere, scolorire, se non addirittura cancellare, i dettagli di ciò che è stato, conservandone nella mente solo uno sbiadito ricordo. Occorre non «smemorarsi di sé» , imprimendo riflessioni e accadimenti del vivere quotidiano magari su carta, cosicché un diario, per quanto ingiallito, consumato e stralciato possa essere, si trasforma in custode di ricordi indelebili conservando il segno tangibile della vita trascorsa.
La necessità di ricordare, il raccontare vicende intime e personali apparentemente banali, è il cardine di un libro che parla di un’esperienza assolutamente senza eguali, un’idea che tramutatasi in realtà offre un viaggio tra storie di uomini e donne di un passato remoto o un presente ancora molto vicino, epoche diverse e differenti contesti sociali. Il testo dal titolo Il paese dei diari, frutto della penna dell’autore e regista Mario Perrotta (Terre di mezzo editore, pp. 195, € 15,00), va alla scoperta del luogo in cui le memorie trovano asilo e si raccontano, una casa in cui riposare per il tempo avvenire. Si badi, il luogo in questione non è uno spazio immaginario, ma trova i suoi natali nel piccolo Comune di Pieve Santo Stefano, al confine tra Toscana, Umbria e Romagna. Il borgo, che vanta l’appellativo di Città del diario, ospita l’Archivio nazionale diari–memorie epistolari e raccoglie scritti di gente comune: cronache, carteggi, racconti autobiografici.
Il romanzo-verità di Perrotta si apre con la Prefazione dell’artista Ascanio Celestini che introduce il concetto di memoria, una memoria che prima d’essere collettiva è anzitutto «individuale, personale, è duttile e si fa guidare dall’esperienza» poiché senza l’esperienza personale, «senza i ricordi personali l’effimero della memoria non transita da nessuna parte».
L’archivio: come nasce l’idea e come si sviluppa il progetto
L'Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano (Arezzo) viene fondato nel 1984 dal giornalista internazionale Saverio Tutino e trova alloggio nel palazzo comunale – uno dei pochissimi edifici rimasti in piedi dopo la furia distruttiva che aveva colpito duramente il piccolo paese dell’Appennino tosco emiliano, durante la Seconda guerra mondiale. Il Palazzo-diario, così ribattezzato, rappresenta una tra le più belle testimonianze del borgo antico, alle cui pareti è adornato di stemmi delle casate e «con la sua forma ad “L” ricorda quasi un libro aperto sul leggio».
L’idea di Tutino nasce dalla presa di coscienza che la storia non parte da un concetto universale, ma particolare, poiché sono i singoli uomini a fare la Storia con la esse maiuscola, quella stessa storia che egli, come cronista, aveva rincorso per tutto il mondo e cercato di imprimere nei suoi articoli.
Saverio realizza che ogni uomo ha il compito di raccontare la propria avventura e si pone la missione di ricercare un posto in cui poter dar voce e dignità a tutte queste memorie di vita quotidiana. Dopo vani tentativi, Tutino arriva a Pieve, espone il suo progetto al sindaco il quale entusiasta gli affida una stanza del Palazzo pretorio. Trovato il “contenitore”, resta da recuperare i diari da custodirci, e proprio con l’obiettivo di raccogliere quanto più materiale possibile, nasce il concorso letterario, il Premio appunto, volto a gratificare la memoria più bella o il diario più affascinante con una pubblicazione. A costituire la giuria sarebbe stata proprio la popolazione del piccolo borgo. L’iniziativa riscuote tanto di quel successo che in poco più di vent’anni di edizioni porta al Palazzo-diario oltre seimila manoscritti, mentre il numero delle memorie continua a crescere di anno in anno.
La creazione dell’archivio rappresenta un segno di rinascita per il piccolo borgo pievano, quasi un risarcimento per non essersi dimenticato di ciò che fu prima di venire raso al suolo. La stessa comunità è attivamente coinvolta non solo nell’organizzazione del Premio ma soprattutto nella presenza alle commissioni di lettura, per individuare gli scritti partecipanti alla rassegna.
L’avventura di Mario: l’incontro con Saverio e la conquista dei sedici gradini
Narratore è Mario il quale, durante una visita, rimane inavvertitamente chiuso per una notte nel Palazzo-diario di Pieve. Inizia così un viaggio dal tramonto all’alba che lo porta ad incontrare e conoscere le storie degli abitanti di questo edificio "magico", animato ogni notte dai diari.
Il protagonista, sotto la guida di Saverio, proprio come Dante accompagnato dal suo maestro Virgilio, intraprende la conquista dei sedici scalini, che rappresentano «la messa in pratica dell’ascesa verso l’equilibrio. Devi conquistarli ad uno ad uno per poter arrivare a sedici. Costa fatica ma alla fine ne vale la pena». Scalino dopo scalino e stanza dopo stanza, Mario si ritrova catapultato in migliaia di vite-diari che raccontano, o per meglio dire “confessano” l’una all’altra, ciò che sono stati per non dimenticare. Superato il primo e secondo gradino, che rappresentano l’incontro con Saverio e la presentazione dell’iniziativa archivistica, il protagonista prosegue nella scalata: su per il terzo, ove viene ammaliato dal lenzuolo matrimoniale – vera opera d’arte – dell’anziana vedova Clelia la quale, prendendo spunto dall’abitudine etrusca di avvolgere i morti in un lenzuolo pieno di scritte, inizia ad imprimervi la propria storia. Procedendo su per il quarto e il quinto, Mario si scontra-incontra con il partigiano Alberto e con il fascista Paolino; seguono: il sesto, ove apprende la storia di Bettina e la sua devozione alla scrittura, e il settimo con la travagliata storia di Vincenzo e la sfida letteraria che si è posto. Conquistando l’ottavo, il nono e il decimo, il narratore fa la conoscenza dei diari silenziosi, sia quelli che non vogliono categoricamente essere letti, sia delle memorie a cui gli autori hanno posto veti temporali e che perciò potranno essere letti solo dopo una certa data. Su e ancora più su, in un procedere che diviene per certi versi sofferto ma, mano a mano, più intenso, Mario conquista l’undicesimo, il dodicesimo e il tredicesimo gradino in un crescendo di consapevolezza che vi è «il rischio di smemorarsi di se stessi» e che è perciò necessario «opporre resistenza alla dimenticanza. Dunque è avere la certezza di essere esistiti a spingere le persone a depositare i loro diari […] nel palazzo-diario». Il quattordicesimo scalino dà voce al giovane Orlando, morto per mano tedesca, che grazie al suo ingegno riesce a lasciare traccia della sua breve vita attraverso «fogliettini miracolosamente transitati per le mani delle feroci SS che non s’accorsero di nulla, quei fogliettini che la mamma conservò a lungo», fogliettini testimoni «di un passato da non dimenticare». Superato il quindicesimo scalino, Mario si avvia verso la fine del viaggio, il sedicesimo annuncia l’arrivo del giorno e l’addio di Saverio, il quale scompare misteriosamente così come era apparso. Tutino gli ha mostrato «la sua piccola rivoluzione – compiuta attraverso – quel lavoro incessante di raccolta, catalogazione, scoperta, pubblicazione e mantenimento in vita di storie apparentemente anonime e particolari». Mario ha assistito a qualcosa di straordinario, «ogni gradino è un nuovo soprassalto di immagini ed emozioni […] storie che s’affastellano e illuminano pensieri».
«Il rischio è quello di smemorarsi – non solo degli altri e di ciò che sono stati ma anche - di se stessi», l’unico rimedio che si oppone alla dimenticanza è scrivere, scrivere quanto più possibile al fine di ricostruire come in un mosaico tutti i momenti di un’intera vita e non solo stralci di ciò che è stato.
Simona Corrente
(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 31, marzo 2010)
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