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Anno IV, n. 31, marzo 2010
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Problemi e riflessioni (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno IV, n. 31, marzo 2010

Zoom immagine Evasione forse possibile:
il pallone entra in carcere

di Paola Mazza
Per Laruffa editore storie di vita comuni regolate
e segnate da tempi e ritmi in un’istituzione totale


Carcere e calcio sono due temi che possono apparire molto distanti. Il loro intreccio, però, può svilupparsi in un unico grande motivo. Lo sport all’interno dei penitenziari si pone, infatti, come un importante momento all’interno della difficile vita delle persone recluse.

Esemplare è il caso del Free Opera, la squadra di calcio composta da persone detenute che, unica in Europa, ha partecipato dal 2003 al 2005 a un regolare campionato dilettantistico.

L’evoluzione di questa particolare iniziativa ci viene raccontata dal giornalista de La Gazzetta dello Sport Francesco Ceniti nel suo Un carcere nel pallone (Laruffa editore, pp. 224, € 15,00).

Il libro, nel quale l’autore narra le vicende della squadra e ripercorre le vite dei suoi giocatori, ha vinto il terzo posto al Premio “Bancarella Sport 2009”.

 

Da avversario a compagno di allenamenti

Ceniti apprende e ricostruisce la storia del gruppo di sportivi attraverso un allenamento quotidiano che, in una sorta di osservazione partecipante, effettua per cinque mesi all’interno della sezione maschile del carcere di Opera, nella provincia milanese.

Il primo incontro dell’autore con i calciatori dalla maglia nero-verde – quando l’idea di scriverne un libro non ancora era sbocciata – non avviene, in realtà, sotto le vesti di giornalista bensì di avversario. Ceniti infatti, che giocava nell’Ausonia, si trova a dover disputare una partita insolita: all’interno di un penitenziario e contro una squadra formata da persone detenute.

È in questa occasione che inizia a nascere un interesse verso la particolare storia del Free Opera.

L’autore ritorna così una seconda volta all’interno del penitenziario, questa volta però come giornalista. Incontra cinque membri della squadra e riporta in un articolo sulla sua Gazzetta dello Sport i loro racconti.

Nel frattempo avviene la pubblicazione del libro Libertà dietro le sbarre dello storico direttore della Gazzetta, lo scomparso Candido Cannavò. L’interesse e la passione che emergono dalla narrazione degli incontri di Cannavò con le persone detenute nel penitenziario di San Vittore contagiano anche Ceniti.

Il proposito di raccontare le vicende del Free Opera diviene così realtà. Seguendo il consiglio entusiasta del direttore dell’Istituto penitenziario, Alberto Fragomeni – al quale, più volte elogiato all’interno del testo per la sua umanità e correttezza, va il merito della formazione della squadra di calcio ufficiale – inizia così l’allenamento all’interno della struttura carceraria.

 

Storie di una squadra ma, soprattutto, storie di vita

Il calcio si presenta nel testo come un gancio fondamentale per entrare in contatto con il mondo recluso. Come infatti afferma Candido Cannavò, che scrive la Prefazione al libro, «nella costruzione del lavoro di Ceniti c’è un tramite singolare, prodigioso, magico: il pallone. Mister Ball, questa sorta di tesoro d’infanzia, di divinità pagana, di collettore universale di passioni, lui il Signor Pallone è stato il mezzo prezioso di collegamento, ma forse anche una finzione, un alibi per raggiungere un luogo proibito e raccontare qualcosa di molto diverso da una pura e semplice storia di pedate».

Il libro si apre con due citazioni, al primo sguardo così lontane tra loro, riferite ai diversi argomenti chiave: La leva calcistica della classe ’68 di Francesco de Gregori e L’ultimo giorno di un condannato a morte di Victor Hugo. Afferma l’autore nella sua Introduzione: «Mantenere un contatto, anche esile, tra i detenuti e la vita che scorre lontano da loro, è un passo indispensabile. Lo sport riesce in questo piccolo miracolo».

La narrazione si presenta sotto forma di diario sull’esperienza di Ceniti all’interno della struttura e si evolve fra le dettagliate descrizioni di partite e allenamenti dai termini tecnici del giornalista sportivo e, soprattutto, i racconti personali della vita dei giocatori e di altre persone detenute. Sono storie di miseria, droga, criminalità, sfortuna, ingiustizia, dolore, rimpianto, rassegnazione. Ma anche di speranza, affetti, propositi, riscatto, passione, come quella per una squadra di calcio che permette una, seppure momentanea, evasione da una vita dietro le sbarre.

Le persone incontrate dall’autore – più o meno giovani, dalle lunghe o brevi pene, che si considerano colpevoli o meno – si raccontano, spesso in uno sfogo, consegnando alle parole di un libro il loro passato. Come Audi de Maj, calciatore professionista, condannato, mentre si è sempre dichiarato innocente, a otto anni di carcere per traffico di droga. E Mario Bianchi, con la sua infanzia sfortunata, le prime rapine, la condanna a trent’anni di carcere, la depressione, la lontananza dalla moglie e dai figli, le speranze per il futuro. O Alessis, che racconta la bizzarra e felice storia di un rapporto avuto con la compagna, di nascosto dai secondini, durante una visita e la successiva nascita di un bambino frutto di quell’incontro proibito. E tanti altri ancora.

Il pallone appare come protagonista, ma prima di lui lo sono le persone, i loro vissuti, in un racconto coinvolgente delle vicende calcistiche e personali. Il testo, inoltre, è arricchito dalle fotografie di Stefano Mariga che, mostrandoci attraverso i suoi scatti i luoghi degli avvenimenti, i volti delle persone o i momenti della vita sul campo, ci rendono ancora più partecipi delle vicende della squadra e dei suoi componenti.

Purtroppo, però, non è un lieto fine che conclude il lavoro di Ceniti. Nel 2005 infatti la squadra si è sciolta, come risposta dei giocatori del Free Opera al trasferimento del suo presidente e fondatore, il direttore Fragomeni.

 

Un’importante testimonianza

L’autore si sofferma spesso sulle difficoltà che riempiono l’esistenza nel carcere, così come sulla rilevanza della proliferazione di iniziative che facilitino il reinserimento nella società, una volta terminato il periodo della detenzione. Avremmo però gradito leggere nel testo anche una critica strutturale dell’attuale incivile sistema penitenziario, nonché una reale denuncia delle condizioni che caratterizzano la vita delle persone recluse.

Il lavoro si presenta, in ogni caso, come un’interessante testimonianza dell’importanza di iniziative diverse che si inseriscono divenendo fondamentali per coloro che sono condannati alla reclusione, «persone – come afferma Cannavò – che vivono l’eternità di una cella alla quale non si abitueranno mai, perché la mancanza di libertà è una punizione molto più forte dell’adattabilità dell’uomo».

Un racconto costruito con passione e sincero coinvolgimento dell’autore nelle vicende di quegli uomini con cui ha condiviso allenamenti, emozioni e sentimenti.

Rimaniamo, dunque, nella speranza di una sempre maggiore proliferazione di iniziative come quella, esemplare, del Free Opera, nonché di una crescente diffusione dell’interesse dei giornalisti – anche provenienti da settori differenti, come nel caso di Ceniti – verso il mondo, troppo spesso giudicato nonché dimenticato, che vivono le persone private della propria libertà.

 

Paola Mazza

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 31, marzo 2010)

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