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Comunicazione e Sociologia (a cura di Marilena Rodi) . Anno IV, n. 30, febbraio 2010

Zoom immagine La polis nell’antica Grecia:
lo sviluppo e la decadenza,
dalle guerre contro la Persia
alla dominazione macedone

di Giuseppe Licandro
In un volume pubblicato da Il Ventaglio
si traccia il profilo della civiltà ellenica


Aristotele, nella Politica, indica tre forme tipiche di governo: la «monarchia», l’«aristocrazia» e la «politia», a seconda se a esercitare il potere siano un individuo, poche persone o la moltitudine. Se, però, chi governa, difende interessi di parte e non persegue il bene comune, le tre forme possono corrompersi, degenerando, rispettivamente, in «tirannide», «oligarchia» e «democrazia». Con quest’ultimo termine il filosofo stagirita definisce un sistema politico particolare, in cui s’instaura la piena uguaglianza sociale tra i cittadini, che, a suo parere, finisce per favorire demagogicamente i più poveri e i meno abili.

Le riflessioni aristoteliche rispecchiano le esperienze maturate all’interno della civiltà greca tra il X e il IV secolo a.C., allorché si affermò il sistema delle poleis.

Per conoscere il mondo greco antico e l’evoluzione delle sue forme di governo, consigliamo di leggere Il teorema di Pitagora. Politica e partiti nella polis (Il Ventaglio, pp. 284, € 20,65) di Pasquale Amato, docente di Storia dei partiti e dei movimenti politici presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Messina.

 

Un’indagine storico-politica

L’autore, nella Premessa, spiega così gli obiettivi della sua ricerca: «1. offrire un’introduzione inconsueta alla storia dei partiti e dei movimenti politici [...]; 2. esporre fatti e avvenimenti di duemila e cinquecento anni fa usando il linguaggio e le immagini della società contemporanea [...]; 3. sostenere la tesi che anche la storia dei partiti fa parte della grande storia almeno da quando la polis greca s’è inventata ed ha inventato la civiltà europea». Si tratta, in sostanza, di un saggio che coniuga l’indagine storica con la riflessione politica e delinea, in modo chiaro e approfondito, il profilo della civiltà ellenica dalle origini fino ad Alessandro Magno.

 

La scuola pitagorica

All’inizio del volume, Amato si sofferma sulla figura di Pitagora, uno dei grandi filosofi e scienziati dell’antichità, che creò «una forma ancora incerta, embrionale di partito». Nel 530 a.C., Pitagora, originario di Samo in Asia Minore, si trasferì in Magna Grecia e si stabilì nella città di Crotone, dove, in virtù dell’eloquenza di cui era dotato, divenne ben presto il capo della polis, fondando la scuola filosofica – riservata a pochi adepti – che da lui prese il nome.

Secondo Amato, «si venne così formando a Crotone un vero e proprio “partito” di eletti che conquistò ed esercitò ben presto l’egemonia nella vita culturale, sociale, civile e politica della polis». Si trattò, in sostanza, di una «oligarchia illuminata», dedita allo studio della matematica, che praticava la comunione dei beni e che governò per circa venticinque anni, finché una rivolta popolare non la destituì.

Mentre in Magna Grecia fioriva il pitagorismo, nell’Ellade si assisteva al consolidarsi del sistema delle poleis, che ruotava attorno a due principali città, Sparta e Atene, di opposte tendenze politiche e destinate inesorabilmente a scontrarsi.

 

Il sistema spartano

Riguardo a Sparta, Amato afferma che «si può a ragione sostenere di trovarci di fronte ad un primo lungo esperimento di “partito unico” aristocratico-militare».

La città lacedemone, infatti, ebbe i tratti di una società chiusa e oppressiva, retta da un’oligarchia e rigidamente divisa in tre classi sociali: gli spartiati, i perieci e gli iloti. I primi discendevano direttamente dai ghenos dorici che avevano invaso la Laconia e la Messenia nell’VIII secolo e costituivano l’élite al potere, cui erano riservati i diritti politici, la proprietà terriera e l’uso delle armi. I secondi erano i discendenti dei Laconi e dei Messeni che si erano sottomessi senza opporre resistenza all’invasione dei Dori: essi disponevano di piccole proprietà agricole e si dedicavano al commercio, ma non godevano dei diritti politici e non potevano portare armi, se non in caso di guerra.

Gli iloti, infine, vivevano in stato di schiavitù ed erano costituiti dai prigionieri di guerra e dai discendenti di quella parte della popolazione del Peloponneso che si era opposta strenuamente alla conquista spartana.

Sparta era formalmente governata da due re che fungevano da capi militari. Essi erano affiancati nell’amministrazione dello stato dagli efori (cinque membri scelti tra gli spartiati) e dalla Gherusia, un senato formato da ventotto anziani, cui spettava il potere legislativo e giudiziario. Esisteva, poi, l’Apella, l’assemblea dei cittadini maggiorenni, che tuttavia non svolgeva una funzione politica significativa, limitandosi solo ad approvare o a respingere le leggi proposte dalla Gherusia.

Gli Spartani odiavano il lusso, curavano poco le scienze e le arti (tranne la musica) e venivano allevati in una sorta di collegi militari dove praticavano la ginnastica e imparavano le arti marziali, abituandosi a parlare poco, in modo molto “laconico”.

La loro attività principale era la guerra, perciò disponevano di un disciplinato e ben addestrato esercito, che era formato in prevalenza da opliti, ossia da fanti armati pesantemente. Fondamentale nell’educazione dei giovani era una prova cui dovevano sottoporsi per essere ammessi tra gli adulti, detta krypteia, che consisteva nel vivere per qualche tempo alla macchia, proprio come banditi.

 

Atene nel VI secolo a.C.

Molto diverso da quello spartano fu il sistema politico-sociale affermatosi a partire dal VI secolo a.C. ad Atene. Dopo una prima fase caratterizzata da un regime monarchico, la città attica fu governata per qualche tempo dall’aristocrazia, finché i ceti medi non iniziarono a rivendicare maggiori diritti in campo economico-politico.

Fu Solone, intorno al 593 a.C., a mediare tra le classi in conflitto, creando una prima forma di democrazia che, pur basata sul censo, definì la struttura portante del sistema politico ateniese. Come ricorda Amato, la «costituzione venne organizzata su basi timocratiche, confermando la divisione dei cittadini in quattro classi secondo il censo, calcolato sulle rendite agrarie».

Le quattro classi erano costituite dai pentacosiomedimni (gli aristocratici che percepivano almeno cinquecento medimni di rendita), dagli hippeis (il ceto medio alto, con una rendita annua superiore a trecento medimni), dagli zeugiti (il ceto medio basso, cioè coloro che guadagnavano più di duecento medimni) e dai teti (lavoratori salariati o nullatenenti). Solone, onde evitare che il potere si concentrasse nelle mani di pochi, creò una serie di organismi istituzionali che si controllavano a vicenda.

Il potere legislativo fu affidato alla Boulé (o Consiglio dei quattrocento) e all’Ekklesìa (l’assemblea popolare): la prima aveva il compito di proporre le leggi, mentre la seconda, formata da tutti i cittadini maggiorenni, aveva il potere di approvarle o respingerle e di nominare i magistrati.

Il potere esecutivo fu affidato a nove arconti, magistrati supremi scelti tra i membri della sola prima classe; il potere giudiziario invece venne suddiviso tra due tribunali, l’Aeropago (formato da aristocratici) e l’Elièa (eletta dal popolo), che rappresentavano due diversi gradi di giudizio nei processi.

 

L’avvento della democrazia

Dopo la parentesi della tirannide “illuminata” di Pisistrato, Atene attraversò un periodo alquanto convulso, conclusosi nel 508 a.C. con l’affermazione del partito democratico guidato da Clistene, che operò una riforma della società ateniese in senso progressista. La popolazione dell’Attica fu suddivisa in cento “demi” (circoscrizioni territoriali formate da dieci tribù), mentre il peso politico degli aristocratici fu notevolmente ridimensionato. L’Ekklesìa divenne l’istituzione più importante, dotata del potere di eleggere i dieci strateghi, cioè i comandanti dell’esercito. I membri della Boulé furono portati a cinquecento, mentre agli arconti – il cui numero fu elevato a dieci – furono affiancati i pritani, i quali, eletti direttamente dai cittadini, presiedevano le riunioni dell’assemblea popolare.

Onde scongiurare l’affermazione di dittatori, fu introdotto l’istituto dell’“ostracismo”, ossia la facoltà di mandare in esilio per dieci anni chi avesse attentato all’ordine politico vigente. Il sistema predisposto da Clistene prevedeva il ricorso al sorteggio per designare, insieme ad alcuni magistrati, i membri della Boulé. Non si trattava, però, di una riforma particolarmente radicale, perché, come sottolinea Amato, «Clistene lasciò intatte le suddivisioni censitarie tra i cittadini delineate da Solone».

Durante le Guerre persiane (490-478 a.C.) si delineò all’interno di Atene un sistema politico di tipo bipolare, fondato sull’antagonismo tra due partiti, uno aristocratico-conservatore, l’altro democratico-progressista. Da principio fu il primo a prevalere, grazie alla personalità di Milziade che guidò l’esercito nella vittoriosa battaglia di Maratona (490 a.C.). In seguito, però, fu il leader democratico Temistocle a egemonizzare la scena politica, nonostante l’opposizione dell’abile capo dei conservatori, Aristide. Temistocle comandò la flotta che sconfisse al largo dell’isola di Salamina le navi dell’imperatore persiano Serse (480 a.C.), spianando così la strada al predominio di Atene sulle altre poleis.

 

L’età di Pericle

La contesa tra i partiti ateniesi continuò anche dopo le Guerre persiane e si risolse con la vittoria del leader democratico Efialte, che prevalse sul conservatore Cimone e riformò l’Aeropago, riducendone drasticamente i poteri. Efialte cadde vittima di una congiura, ma la sua eredità politica fu raccolta da Pericle, pronipote di Clistene, che portò al massimo splendore la democrazia ateniese.

Pericle governò quasi ininterrottamente dal 461 a.C. al 428 a.C., venendo ripetutamente eletto nel collegio degli strateghi e prescelto dall’Ekklesia quale prostàtes (una sorta di Primo ministro). Egli si circondò di «un vero e proprio laboratorio di cervelli che di fatto costituì il vertice del Partito e del governo agendo in stretto rapporto col leader». Di questa sorta di brain trust pericleo facevano parte, oltre alla moglie Aspasia Milesia, i filosofi Anassagora e Protagora, il musico Damone, lo storico Erodoto, lo scultore Fidia, il poeta Sofocle.

Pericle creò una “società aperta”, nella quale fu incentivato il dinamismo economico delle classi medie e fu garantito un tenore di vita migliore a tutti gli abitanti della polis, compresi gli stranieri e gli schiavi (che, però, non godevano di diritti).

Gli zeugiti ebbero la possibilità di accedere alla carica di arconte e fu introdotto un indennizzo in denaro per coloro che, ricoprendo incarichi pubblici, perdevano il posto di lavoro. Si estese, inoltre, il numero delle cariche assegnate per sorteggio tra tutti i cittadini, senza distinzione di censo. Tuttavia, per metter a tacere l’opposizione aristocratica e blandire le tendenze xenofobe di una parte del demos, Pericle fece varare una legge restrittiva sul diritto di cittadinanza, che ne limitava l’attribuzione solo a chi avesse entrambi i genitori ateniesi.

La politica espansionistica e imperialistica di Atene portò nel 431 a.C. a uno scontro con Corinto, da cui scaturì la Guerra del Peloponneso. Sparta, infatti, scese in campo contro gli storici rivali e, approfittando della morte di Pericle durante una pestilenza, mise in difficoltà Atene, che comunque riuscì a difendersi e a contrattaccare.

La prima fase della guerra si concluse nel 421 a.C., senza vinti né vincitori.

 

Il tramonto delle poleis greche

Negli anni seguenti, i democratici al potere si divisero tra chi, come Nicia, voleva mantenere la pace con Sparta e chi, come Alcibiade, era fautore di una politica estera aggressiva. La fazione più radicale ebbe il sopravvento e, intorno al 420 a.C., le ostilità con Sparta ripresero. Fu organizzata dagli Ateniesi una spedizione militare contro Siracusa, alleata degli Spartani, ma l’avventura siciliana si concluse con una disfatta; la guerra prese una brutta piega per la città attica, la cui flotta fu infine sconfitta nella battaglia navale di Egospotami (404 a.C.).

Ad Atene s’insediarono al potere i Trenta tiranni, capeggiati dall’aristocratico Crizia, ma ben presto una rivolta popolare, guidata da Trasibulo, ripristinò le istituzioni democratiche. La rinata democrazia ateniese presentò tratti molto diversi da quelli dell’età periclea: infatti, come ricorda Amato, «il bipartitismo [...] era stato di fatto sostituito da un sistema tripartitico». Tra la destra oligarchica e la sinistra democratica si formò un terzo partito “centrista”, costituito dalla fazione della Pàtrios politeìa, che mirava a restaurare il sistema istituzionale creato a suo tempo da Solone. Il mutato clima politico determinò minore libertà e fu alla base della condanna a morte nel 399 a.C. di Socrate, il filosofo che attraverso la “maieutica” aveva provato a educare i cittadini, stigmatizzando l’operato dei cattivi governanti.

Atene iniziò così la sua lenta decadenza, ma neppure Sparta riuscì a evitare la rovina. Incapaci di mantenere con la diplomazia l’egemonia acquisita con le armi, gli Spartani finirono per scontrarsi con la Lega beotica capeggiata da Tebe. Due abili generali tebani, Pelopida ed Epaminonda, inflissero agli opliti lacedemoni le sconfitte di Leuttra (371 a.C.) e Mantinea (362 a.C.), ponendo fine alla supremazia di Sparta, che perse persino il controllo del Peloponneso. Tebe, tuttavia, non riuscì a egemonizzare le altre poleis, e il mondo ellenico, dilaniato dai conflitti, s’indebolì.

 

La conquista macedone

Filippo II, re della Macedonia, approfittò della crisi delle poleis e, intorno al 350 a.C., s’inserì nelle lotte intestine dell’Ellade, espandendosi in Tessaglia, grazie a una nuova tattica militare: il suo esercito, infatti, utilizzava la cavalleria e faceva leva sulla “falange macedone”, un corpo formidabile di fanti, dotato di scudi, corazze e “sarisse” (lunghe lance di varia grandezza). Ad Atene si formò addirittura un partito monarchico filomacedone, guidato da Eschine, che auspicava l’unificazione greca e la fine delle guerre fratricide. Ad esso si contrappose una fazione antimacedone, che raccolse l’eredità dei democratici, sotto la guida dell’oratore Demostene. Quest’ultimo, declamando le famose “Filippiche”, riuscì a creare una lega militare tra varie città elleniche per sbarrare la strada ai “barbari”. A Cheronea, nel 338 a.C., la “falange macedone” annientò gli avversari e Filippo II diventò di fatto il sovrano di tutta la Grecia, in qualità di hegemon di una Lega ellenica costituita a Corinto.

Sedici anni dopo, morto il suo successore Alessandro Magno, Atene tentò di ribellarsi al dominio macedone, ma il reggente Antipatro riuscì a reprimere la rivolta, e Demostene, braccato dai Macedoni, preferì darsi la morte con la cicuta (esattamente come aveva fatto Socrate, settantasette anni prima).

In precedenza, però, Alessandro Magno si era reso protagonista di un’impresa eccezionale, che lo aveva portato a sconfiggere i Persiani e a creare uno dei più vasti imperi dell’antichità, che dall’Egitto si estendeva fino al fiume Indo.

Quindi, come dice Amato nella parte finale del libro, «mentre si realizzò in maniera definitiva la caduta della polis [...], la cultura greca si diffuse fino alle porte dell’India e si fuse con quelle dell’Oriente per dar vita alla raffinata civiltà ellenistica».

 

Giuseppe Licandro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 30 , febbraio 2010)

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