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Anno III, n. 28, Dicembre 2009
Lotta alla mafia: i migranti
come esempio per i locali
di Paola Mazza
Da Terrelibere, la rivolta della comunità africana
all’ennesima aggressione del sistema criminale
Mafia e migrazioni. Paura e ribellione. Accettazione e protesta. E un contesto, come quello calabrese, oppresso dall’organizzazione mafiosa, dove «non sono i cittadini italiani a trovare il coraggio della rivolta civile, ma “clandestini” senza diritti e documenti» e in cui «la comunità africana ha dimostrato un senso dello Stato maggiore a quello degli stessi rosarnesi». Questi sono gli elementi che fanno da sfondo al libro Gli africani salveranno Rosarno. E, probabilmente, anche l’Italia (Terrelibere, pp. 104, € 8,00), a cura di Antonello Mangano.
«Un canto a più voci» in cui a quella del curatore, che ha pubblicato numerosi lavori sulle tematiche dell’immigrazione e dell’antimafia, si aggiungono la Prefazione di Valentina Loiero, giornalista del Tg5 e autrice del libro Sale nero, e la Postfazione di Tonio Dell’Olio, responsabile di Libera internazionale. Troviamo poi gli interventi di Giuseppe Lavorato, sindaco del Comune di Rosarno dal 1994 al 2003; Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto di asilo e componente dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione); Fortress Europe, la rassegna stampa sulle vittime della frontiera fondata da Gabriele Del Grande.
Due sono i temi principali intorno a cui si sviluppa il testo: l’immigrazione e l’organizzazione criminale mafiosa, argomenti che vengono attentamente analizzati sotto molteplici aspetti – storico, socioeconomico e giuridico – e nelle loro peculiarità più strettamente riconducibili al territorio rosarnese, o al più generale contesto calabrese e nazionale.
La protesta della comunità africana
Tutto ha avuto inizio col ferimento di due uomini della Costa d’Avorio da parte di ragazzi italiani che hanno sparato colpi di pistola da un’auto.
è il 12 dicembre 2008. Il luogo della vicenda è Rosarno, cittadina calabrese in provincia di Reggio Calabria, che vede dal 1992 la presenza di numerosi immigrati che lavorano come braccianti agricoli stagionali per la raccolta delle arance. Sono persone che si ritrovano a sommare agli svantaggi determinati dalla precarietà, che caratterizza la loro condizione di migranti, le preoccupazioni che scaturiscono da un contesto gravato dalla piaga della mafia. Vittime, dunque, di ripetute aggressioni e violenze da parte dell’organizzazione criminale, i cui esponenti si scagliano subdolamente contro i più deboli, rivolgendo le proprie prevaricazioni a danno di persone che difficilmente sporgerebbero denuncia, in quanto molto spesso irregolari e prive di una famiglia che possa mettere in atto azioni di vendetta.
Il tutto è favorito dal nostro apparato legislativo. «Esistono cattive leggi, ed esistono leggi cattive. Oggi la legislazione non esprime il rifiuto dell’immigrazione, ma il desiderio di sottomettere: vengano pure a lavorare, ma in condizioni servili»; il migrante è sempre più precario, «e la mafia ringrazia».
Gli immigrati di Rosarno, tra l’altro, appaiono oppressi da particolari condizioni di disagio. La maggior parte di essi appartiene, infatti, alle categorie più svantaggiate degli stessi migranti. Come si è accennato, sono persone prive di regolare permesso di soggiorno o in attesa del riconoscimento di asilo politico, che lavorano come braccianti e per lavori stagionali. Gente che vive in situazioni di estrema precarietà, in accampamenti dalle condizioni disumane, vittime di sfruttamento nel lavorare le terre i cui proprietari, oltretutto, sono gli stessi che le occuparono alcuni anni fa.
Questa, ennesima, aggressione subita dai due lavoratori ivoriani non doveva, tuttavia, nuovamente passare in silenzio. E gli immigrati, così, si sono ribellati: «Una notte di rivolta, la corale partecipazione alle indagini, l’arresto del colpevole sono la risposta dell’intera comunità africana». Pochi giorni dopo, infatti, evento raro da quelle parti, grazie alla partecipazione degli stessi africani sono stati rivelati i nomi dei colpevoli.
Si è assistito quindi – come avvenuto qualche mese prima nella triste e nota vicenda di Castel Volturno, dove la camorra aveva ucciso sei uomini africani – a una rivolta che ha visto come protagonisti gli immigrati.
Un esempio dunque per grande parte della popolazione locale, che si mostra invece spettatrice passiva di fronte alle prevaricazioni di stampo mafioso che troppo spesso caratterizzano la vita del luogo.
Razzismo mafioso
E purtroppo non si è trattato di un evento straordinario per i migranti che abitano la cittadina, soggetti quotidianamente a prepotenze e intimidazioni volte a incutere timore oppure a effettuare estorsioni. Essi sono, inoltre, vittime di episodi di violenza più o meno gratuita, come essere percossi a sangue, essere colpiti con bastoni da ragazzini che sfrecciano sui motorini, divenire bersagli del lancio di sassi dai cavalcavia dell’autostrada.
Il contesto è quello di un luogo dove le intimidazioni sono all’ordine del giorno e in cui l’organizzazione criminale, anche nelle sue famiglie portanti, è solita cimentarsi in episodi quali derubare della giacca un camionista, rapinare una fabbrica di fuochi d’artificio, rapire la propria fidanzata, tramortire di botte uomini di origine straniera mentre camminano per la strada. «Sono i rampolli dei clan che dominano il narcotraffico internazionale, sono modelli vincenti per troppi giovani».
Ma gli africani, con la loro rivolta, ci hanno mostrato come si possa e si debba reagire. La speranza è dunque quella della diffusione della protesta che, partita dai migranti, possa contagiare tutti, stranieri e italiani, accomunati nel destino di oppressi dal sistema mafioso e dunque nella necessità di reazione a esso.
Paola Mazza
(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 28, dicembre 2009)
Natalia Bloise, Agata Garofalo, Anna Guglielmi, Antonietta Zaccaro
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Pierpaolo Buzza, Elisa Calabrò, Maria Franzè, Annalice Furfari, Angela Potente, Francesca Rinaldi, Cecilia Rutigliano, Fulvia Scopelliti, Antonietta Zaccaro, Elisabetta Zicchinella