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Anno III, n. 26, Ottobre 2009
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Problemi e riflessioni (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno III, n. 26, Ottobre 2009

Zoom immagine Una storia intensa
di intrecci, desideri,
voci e personaggi,
proprio come la vita

di Laura Tullio
Un romanzo d’esordio affronta il tema
dell’Alzheimer, per Neri Pozza editore


A volte a rafforzare l’identità personale di qualcuno nei cuori degli altri giunge l’oblio, diciamo. A volte la malattia serve per lasciare spazio al racconto, sottraendolo all’incombere della quotidianità. Quando non ci sono più gradi di parentela a dare la misura degli affetti, quando non è per i sacrifici sostenuti che una relazione ha significato, quando resta solo il nucleo, vivo e vibrante, di una persona amata, allora resta l’amore nudo. A volte leggi un libro che parla della tua famiglia, o ne scrivi uno, come ha fatto, con incedere sicuro e a cuore aperto, Stefan Merrill Block in quella affascinante opera prima che porta il titolo Io non ricordo (Neri Pozza editore, pp. 350, € 17,00).

Il romanzo d’esordio del promettente scrittore venticinquenne, nato a Plato, Texas, e laureatosi alla Washington University di Saint Louis, Missouri, è la storia di due protagonisti, Seth e Abel. Seth è un ragazzino introverso, pieno di brufoli, troppo intelligente per il contesto in cui si trova a vivere e quindi inadeguato per gli standard minimi che la società attuale richiede. Un giorno, mentre tutto scorre nella regolarità della provincia americana, arriva la malattia della madre, Jamie, a distruggere ogni possibile futura normalità. Jamie è affetta da EOA-23, variante – inventata dall’autore – del morbo di Alzheimer, patologia ereditaria, tanto che tutti i malati sono legati tra loro da vincoli di parentela di tredicesimo o quattordicesimo grado. Il ragazzino studierà, indagherà, si spremerà le meningi alla ricerca forsennata di una guarigione, di una possibilità di salvezza o quanto meno dell’origine certa di una tale deflagrazione. Seth si mette sulle tracce degli altri malati per cercare delle analogie tra loro e Jamie. Egli combatte l’Alzheimer che prende a devastare la mente di sua madre e insieme la vita di tutta la famiglia, da solo contro tutto, contro i suoi stessi limiti. Seth, come ogni adolescente, come ogni uomo, vuole capire perché, spera che la comprensione faccia da argine all’inarrestabile esplosione del caos.

Suo padre reagisce in altro modo, affondando nella sua poltrona personale, stordendosi di gin e televisione, negandosi ogni espressione di dolore. Seth si aggrappa alla scienza e alla medicina, legge libri, saggi, documenti, tutto ciò che spera possa fornirgli una possibile chiave d’accesso alla mente stravolta della madre che non ricorda più, semplicemente non ricorda più, non sa, non si rende conto. Il ragazzino si convince che ci deve essere una spiegazione genetica a tanta distruzione e decide di rintracciare le origini familiari della madre, che gli sono sempre state tenute nascoste da entrambi i genitori, in un folle desiderio di annullamento del rischio, nell’estremo tentativo di rinascere a nuova vita cancellando per sempre il passato e con esso la malattia.

 

Storie diverse, non troppo distanti

Allo stesso tempo, non molto lontano dal luogo in cui la vita di Seth va cambiando assieme a quella della madre, il vecchio Abel, gobbo e malandato, assolutamente solo, trascina avanti gli anni in compagnia di Iona, la sua cavalla, in ciò che resta della fattoria di famiglia. Attorno a lui tutto cambia, il quartiere è stato completamente riedificato nel giro di poco tempo e ogni cosa è nuova, efficiente, perfetta. Solo Abel resta come baluardo di un passato che ormai è un peso per tutti; soltanto la sua fattoria fa da ostacolo all’inesorabile avanzata della modernità; solo la sua terra segue ancora le regole antiche. Il vicinato lo vuole lontano da lì prima possibile ma lui si ostina a restare, sentinella sbilenca in attesa di qualcuno che ha amato più di ogni cosa, il cui ricordo lo ha tenuto in vita nonostante i terribili lutti che ha dovuto affrontare; qualcuno che una volta ha lasciato sperare che un giorno sarebbe tornato e per cui lui vuole esserci, ad ogni costo.

Lo svolgersi di queste due vicende è intervallato dalla storia di un luogo magico, dal nome fantastico: Isidora. Isidora è la terra in cui «Non avrai più alcuna preoccupazione», «L’opposto di qualsiasi luogo, in realtà». Isidora è il posto incantato le cui storie vengono tramandate da genitore a figlio per secoli, in quell’antico e sempre nuovo metodo di trasmissione della conoscenza che è il racconto orale. Isidora è la terra della salvezza, dove non c’è niente da ricordare e perciò non è possibile dimenticare, dove non si comunica con le parole bensì con i gesti: quelli sapranno parlare fino alla fine.

 

Quello che conta e le parole giuste per scriverlo

La narrazione è fluida e leggera e allo stesso tempo densa e pregnante. I personaggi sono tutti vivi, definiti, anche quelli secondari e quelli malati, con i loro dialoghi surreali e i loro monologhi squinternati. Spesso s’incontrano contenuti scientifici che potrebbero stridere in un’opera di narrativa e invece no, tali passaggi sono quasi magia poiché in essi geni, mutazioni ed eliche ruotano, si mescolano e cambiano in un turbine che è l’essenza della vita stessa. La tragedia che pervade la storia è stemperata dalla scrittura ironica, poetica e simbolica. Lo stile si fa strumento del contenuto e gli conferisce una struttura del tutto particolare; il risultato è che le lacrime si alternano ai sorrisi in un ritmo vitale e sostenuto.

Io non ricordo è la storia dei grandi snodi, delle eterne domande dell’esistenza umana e nello stesso tempo è la storia dei particolari, perché gli amori si annidano proprio lì, nelle piccole cose, nelle lacrime che cadono dal naso e non dagli occhi, nelle dita storte dei piedi, nel ritornello di una canzone che è il passpartout di famiglia.

Quindi, questa è la storia del giovane Seth, del vecchio Abel e di Isidora. Sì. Ma è anche la storia di due educazioni sentimentali, una raccontata in presa diretta, l’altra attraverso il filtro del tempo che passa. È una storia tragica? Sì, lo è, tragica come la malattia di cui tratta, tragica come la consapevolezza, ma ancor di più tragica come la vita, quella scossa che ti tiene in fibrillazione fino alla fine, che ti porta mille volte il cuore in gola, che ti sveglia di notte e non ti lascia dormire. È la storia di una passione, di mille passioni e di mille amori. Tutti diversi, eppure simili. È una storia drammatica, certo, ma forte e appassionata, accesa e lucida. Emozionante e mai melensa.

Stefan Merrill Block, quasi come se ci tenesse una mano sulla spalla sorridendo, ci sussurra che a volte «Se non ricordi niente non hai niente di cui avere paura».

 

Laura Tullio

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 26, ottobre 2009)

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