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Anno III, n. 26, Ottobre 2009
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Biografie (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno III, n. 26, Ottobre 2009

Zoom immagine In un diario di bordo
la spiacevole verità
sui bombardamenti
delle città calabresi

di Elisabetta Zicchinella
Da Laruffa editore il saggio che svela
i drammatici eventi bellici del lontano
1943: morte, odio, paura e distruzioni


Esistono pagine di Storia che raccontano di gesta eccelse universalmente riconosciute. Ce ne sono altre – ahinoi – marchiate dall’inchiostro indelebile delle più disumane delle aberrazioni. Vi sono, poi, quelle ricostruzioni che, apportate dalla penna monopolizzante dei vincitori, rivelano realtà parziali e autoreferenziali. In ultimo, ma non per importanza, sopravvive un passato senza traccia, i cui esempi di verità taciute affondano le radici in una tradizione metodologica lacunosa ed eclissata dall’indifferenza. Nel libro di Filippo Bartuli, Le incursioni aeree anglo-americane del 1943 su 60 città e località calabresi, (Laruffa editore, pp. 128, € 10,00), molti drammatici avvenimenti relativi alla Seconda guerra mondiale, sfuggiti alla presa dell’analisi storiografica locale e nazionale, trovano una via privilegiata attraverso la quale rintracciare la propria identità smarrita e ricongiungersi nell’abbraccio della memoria. Siamo di fronte a un testo che, sostenuto dallo sforzo dell’autore, lungo due anni, di reperire materiale sepolto tra gli archivi statunitensi, inglesi e italiani, si presta ad essere sfogliato con un approccio che non può prescindere da considerazioni di natura morale, né, tanto meno, risparmia il lettore dal confronto con la propria emotività. Sebbene, infatti, si tratti di un lavoro caratterizzato da un’impostazione documentaristica sistematica e organica – corredata da note esplicative e bibliografiche, da resoconti militari in lingua originale (opportunamente tradotti), da supporti fotografici e da una struttura che ricorda un vero e proprio diario di guerra – il testo soggiace a un proposito sentimentale, esplicitato nell’Introduzione curata dallo stesso Bartuli, teso a stabilire una verità per troppo tempo negata. Il taglio tecnico-informativo, dunque, intimamente legato a una funzione pedagogica, è chiaramente sottomesso alla volontà dell’autore di costruire un ponte col passato sul quale procedere a ritroso e far riemergere, con i dovuti accorgimenti, frammenti di un passato che aspetta ancora silenzioso di poter raccontare la propria storia. Una storia – quella che riguarda da vicino cittadine come Bova Marina, Gioia Tauro, Mileto, Vibo Valentia e tantissime altre distribuite su tutto il territorio calabro – che conserva le cicatrici di una guerra la cui dimensione conflittuale si è consumata sullo sfondo di scelte personalistiche motivate più dalla furia cieca della “caccia libera” – come ha avuto modo di accertarsene lo scrittore – che da calcoli militari logici (per quanto “logica” possa essere una strategia bellica in genere). Angoli “innocenti” popolati da civili disarmati – tra donne, bambini e semplici contadini – colpiti da bombardamenti aerei e sorpresi da incursioni che, non avendo niente di tattico ed essendo stati concepiti solo per seminare terrore e distruzione, possono essere iscritti nell’indegna lista dei crimini di guerra. Scrive Bartuli a proposito dell’attacco subìto da Mileto il 16 luglio del 1943: «Scavando nella cronaca di quel giorno, si scopre come killers, in divisa di piloti, assassinavano consapevolmente civili indifesi, macchiando il loro onore di soldati. Anche in tempo di guerra, non c’è onore e dignità per chi usa le armi contro inermi». E poi, riferendosi all’attacco del 20 luglio 1943 al campo di aviazione di Vibo Valentia (su cui l’autore focalizza un’attenzione privilegiata), commenta così la condotta dei soldati angloamericani: «Una loro caratteristica fu di considerarsi veri e propri carnefici, cinici esecutori di ordini superiori e spesso essi stessi vittime del Bomber Command. Chi si rifiutava di partecipare ad oltre 30 missioni veniva bollato con l’accusa di mancanza di tempra morale».

 

La Calabria e la verità storica

Il percorso in retrospettiva ricreato dallo scrittore non è, così come è chiaramente deducibile, dei più confortevoli. L’unico sollievo – che coincide con la volontà di Bartuli – sembrerebbe derivare da un dato che, lontano da essere una magra consolazione, si fonde con un’idea di giustizia riscattata nel solco del tempo: le morti, inflitte in un clima rimasto a lungo impunito, vengono ora consegnate alla memoria collettiva, conquistando quel “posto” tra la storia di cui, per troppo tempo, ne sono state estromesse da chi ha deliberatamente preferito rimuoverle. L’autore, nella puntuale ricostruzione dei bombardamenti angloamericani, riferisce che le incursioni nella nostra regione, nel solo periodo circoscritto al 1943, furono almeno centocinquanta e interessarono ben sessanta località: «La distruzione di beni, il danno economico e morale di quelle incursioni non hanno confronti con nessuna delle invasioni che la Calabria ha subito nei secoli».

Se esiste una diffusa e radicata consapevolezza riguardo, ad esempio, le crudeltà legate ai regimi fascisti, nazisti o comunisti, permane un vuoto conoscitivo e una generale indifferenza nei confronti di quei “micromondi” che, schiacciati da carneficine senza senso, diventarono bersagli umani e, come tali, legittimati dai nemici solo perché appartenenti alle nazioni avversarie.

Alla luce di tali considerazioni è, dunque, visibile il tentativo operato dall’autore di offrire un’altra prospettiva: non quella dei perdenti, ma quella relativa ai lutti, alle angherie e ai soprusi, anche di natura psicologica (specialmente se si pensa alla propaganda di “falsificazione ideologica” esercitata dagli Alleati), che indussero le civiltà calabresi a fare i conti con danni collaterali, ai quali – a quanto pare – non ha fatto caso nessuno, se non chi è sopravvissuto. Lungi dal voler criminalizzare in modo feroce ed esasperato la condotta assunta dagli eserciti angloamericani, Bartuli si limita a fornire, con metodica accuratezza, le coordinate storico-militari destinate a far breccia in una rinnovata consapevolezza del lettore. Al fine di imprimere al testo quella verità soffocata dall’incedere distratto del tempo, lo scrittore – come già si era accennato in precedenza – arricchisce il suo lavoro con supporti fotografici. Questi ultimi, nell’angosciante liturgia degli scatti post bellici, catturano l’essenza stessa della follia militare e, di conseguenza, la materializzazione visuale degli autentici crimini di guerra.

 

Le vittime ignote della guerra

L’ultima parte del libro – senza voler per questo svilire la valenza umana delle pagine precedenti – sembra essere quella più emotivamente influente. Il lettore, infatti, potrà conoscere i nomi di molte delle vittime, tra militari e civili, di quel tragico 1943. Una lista lunga, e impietosa per chi legge, che, sebbene non restituirà il volto a centinaia di vittime (molte, bambini e adolescenti), evoca tutta la potenza alienatrice della guerra. Un conflitto – sembra suggerire Bartuli – che, conservando solo sfumature evanescenti della sua portata mondiale, rimanda a tutti coloro che l’hanno vissuto come un dolore così profondamente intimo e personale da non poter essere scisso da un senso di inesplorata e sconosciuta solitudine.

 

Elisabetta Zicchinella

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 26, ottobre 2009)

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