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Anno III, n.25, Settembre 2009
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Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno III, n.25, Settembre 2009

Zoom immagine Investigazioni
su una vita tra
potere e delirio

di Agata Garofalo
Un giallo che si tinge di noir
confondendo ipotesi e realtà,
vittime e colpevoli. Da Tespi


Nella sua opera prima, collocabile a metà strada tra il romanzo giallo e quello psicologico, Cristiano Della Bella racconta le indagini relative al suicidio di Carlo Battisti, avvenuto in circostanze poco chiare.

La struttura generale è quella classica di un poliziesco: una morte misteriosa è il pretesto per indagare una vita, attraverso  testimonianze che si intrecciano in una matassa dal difficile scioglimento, i cui fili interminabili sembra non portino ad alcuna soluzione, e spesso si spezzano bruscamente.

Vangelo secondo Carlo (Tespi editore, pp. 144, € 10,00) racconta «una storia squallida che si è consumata poco per volta, in punta di piedi, ai margini dorati della città». La città di Torino, che l’autore conosce bene e attraverso le cui notti ambigue e misteriose ci accompagna per mano, tra i locali notturni e le feste private, animate dagli eccessi della gioventù più sfrenata e benestante.

Della Bella, nato a Cuneo nel 1972, esprime dapprima in musica le sue inclinazioni artistiche, e poi nelle parole che, sotto forma di racconti, trovano spazio su antologie e siti web. Parole crude e irriverenti, che conservano il ritmo indiavolato della musica che ama. Vangelo secondo Carlo viene pubblicato in seguito alla vittoria del concorso letterario per opere inedite promosso dalla stessa casa editrice.

In una storia in cui vittime e carnefici si confondono spesso tra loro, si chiariscono fin da subito alcuni aspetti essenziali della personalità della vittima, attraverso le parole deliranti di un tema da lui scritto ai tempi del ginnasio. Parole blasfeme, autocelebrative e dissacranti che, però, «per quanto ne sappiamo noi su questa terra, sono inconfutabili».

 

Divinità del se stesso

«Carlo è giovane, ricco e bello. Ha tutto ciò che si possa desiderare» e proprio per questo, paradossalmente, non lo apprezza. Circondato da beni e bellezze materiali, ha una percezione distorta di se stesso e degli altri: ha imparato solo a disprezzare. La sua è una personalità forte e risolutiva, sa quello che vuole ed è così folle da essere certo di poterlo ottenere, a tutti i costi.

Facciamo del male agli altri nella misura in cui consideriamo di poca importanza la loro esistenza e, quindi, la vita in generale. Chi non rispetta gli altri – siamo portati a pensare – innanzitutto non rispetta e non ama se stesso. Ma per Carlo è diverso.

Lui è dio.

E se la vita fosse solo un’illusione, una creazione della nostra mente? Se esistesse solo quello che vediamo noi, proprio perché lo vediamo noi? È un pensiero folle che probabilmente abbiamo avuto tutti almeno una volta nella vita, lo abbiamo assaporato, ponderato e poi messo da parte, in un angolino della nostra mente, o del nostro inconscio, tornando alla realtà. Carlo è andato oltre, ne ha fatto una ragione di vita, ed è arrivato a pensare che l’unica motivazione logica dell’esistenza di un universo che appare solo agli occhi di chi lo vede sia che costui ne è il padrone e dio. Egli è l’unico abitante di un mondo che esiste solo come proiezione della sua mente e svanirà alla sua morte.

Ne deriva un carattere cinico e senza pietà che, in fondo, è solo un modo di esorcizzare la paura della morte. È una maniera come un’altra per edulcorarla, mitizzarla, dimenticarla per un po’. Noi ci arrabbiamo, amiamo, soffriamo, doniamo e riceviamo… Carlo no, lui è superiore. Egli vive come se stesse guardando un film, recitando o giocando a un videogame: sa che è tutto finto, che è lui a decidere ciò che accade, a stabilire le regole di un gioco che non ha nessuno scopo, se non il divertimento del giocatore.

 

Essenziale come un articolo di cronaca ed evocativo come una fiaba

«Carlo è giovane, ricco e bello».

È una frase che ricorre spesso nel testo, ripetuta come una preghiera o una formula magica, come il ritornello di una filastrocca o di una canzone. L’autore, in questo modo, ci ricorda continuamente la fortuna del protagonista, ma la frase non è quasi mai collocata all’interno del discorso tramite l’uso di congiunzioni, poiché sta a noi contestualizzarla e darle un senso. A volte suona come una colpa, a volte come una disgrazia, in ogni caso contribuisce a conferire un carattere mitico al soggetto, e ci ricorda che la storia che leggiamo è tutta una finzione. Sembra quasi si narrino le gesta di un personaggio mitico, di un eroe, del protagonista di una fiaba.

La stessa funzione straniante hanno alcune pagine che, opportunamente posizionate nei punti critici del romanzo, si differenziano per una chiara diversità di stile ed intenzioni: il ritmo serrato e incalzante della narrazione è intervallato dall’inserimento di brevi frammenti che rallentano la tensione e danno un’interpretazione mistica degli eventi. Le parole dei testimoni, all’interno del testo, sono riportate in maniera rapida, ambigua e caotica, cruda ed essenziale, mentre in questi frammenti il narratore assume un tono biblico, uno stile evocativo, e sembra rivelarci, proprio come in un vangelo, la verità dei fatti.

Della Bella, da narratore estraneo agli avvenimenti descritti e per nulla onnisciente, dà vita, in perfetto stile lucarelliano, ad un noir che fa il verso all’inchiesta giornalistica.

Vangelo secondo Carlo è un racconto veloce e diretto, che scende nei dettagli ma non si sofferma in spiegazioni erudite o descrizioni prolisse, piuttosto sceglie con cura parole forti ed evocative. Parole di violenza cruda e quotidiana, somministrate senza alcun edulcorante, con uno stile giornalistico asciutto e conciso, quasi telegrafico.

L’impressione, a volte, è quella di leggere i verbali degli interrogatori di chi conosceva la vittima, però in modo assolutamente casuale e disordinato: al lettore-investigatore il compito di ricostruire gli eventi. Gli indizi sono disseminati e nascosti tra le righe di un resoconto caotico di testimonianze, incursioni a casaccio che raccontano e rispecchiano una vita breve, intensa e violenta. Non solo il lettore fatica a capire chi mente, ma pare non lo sappia neanche il narratore.

 

Giudizi universali

«Carlo è giovane, ricco e bello», è un pazzo lucido che ama disperatamente la vita.

Le cause della sua morte possono essere varie: suicidio, omicidio per vendetta, invidia, amore, soldi… o forse solo la sua presunzione di superiorità che lo porta a morire da stupido, a perdere miseramente l’ennesima sfida contro una vita che tanto è solo una finzione.

«Incarnazione del mito della gioventù bruciata, Carlo brucia. E lo fa in fretta», e la sua ostinata e sprezzante superbia ci ricorda il modo di affrontare la vita dei grandi artisti della beat generation. Come loro, egli «rompe il sentiero stabilito per seguire il sentiero destinato» (Gregory Corso).

Indagando nell’infanzia del protagonista scopriamo un ragazzo intelligente, ma con gravi carenze affettive. È forse il pericoloso accostamento di questi due fattori che determina la formazione dentro di lui di sentimenti di odio (o addirittura indifferenza) e rifiuto verso la vita?

Il lettore è lasciato libero di interpretare e decidere chi sono le vittime e chi i carnefici di questa storia, o meglio, di assegnare ad ognuno la sua percentuale di colpa, e stabilire se Carlo sia un dio, un pazzo criminale o solo un povero illuso, vittima di questo mondo.

Della Bella crea un aggrovigliato intreccio narrativo, che si rivela un romanzo circolare in cui realtà e congetture, innocenti e peccatori si scambiano spesso i ruoli, quasi a prendersi gioco del lettore. E alla fine, dopo tutte le scoperte e le riflessioni proposte sull’esistenza, forse non importa più tanto dare un senso ad una morte. Perché ancora una volta l’importante è il viaggio, non la meta, e la fine è in realtà di nuovo l’inizio.

 

Agata Garofalo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 25, settembre 2009)

Redazione:
Agata Garofalo, Anna Guglielmi, Antonietta Zaccaro
Collaboratori di redazione:
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