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Biografie (a cura di Luisa Grieco e Mariangela Rotili) . Anno III, n. 23, Luglio 2009

Zoom immagine Un’attenta indagine
storica e sociologica
su un tema attuale,
controverso: la jihad

di Valentina Burchianti
Rubbettino editore sul significato del
termine, e le molteplici interpretazioni
di come “combattere in nome di Dio”


La jihad, espressione quanto mai attuale nella nostra epoca, è un termine e un concetto che, proprio per il largo uso con cui è entrata a far parte della storia e degli eventi odierni, risulta essere uno dei più abusati e, a causa delle sue sfumature e sfaccettature di significato, uno dei più incompresi anche dagli stessi musulmani, per non parlare poi dei non musulmani, che spesso identificano ormai questa religione con gli episodi di terrorismo tristemente noti.

Nel testo Jihad-Teoria e pratica (Rubbettino, pp. 254, € 14,00), Michael Bonner, professore di Storia islamica medievale all’Università del Michigan, ci conduce, attraverso un’attenta e scrupolosa analisi storica e sociologica, fin nel cuore stesso della questione, mostrandoci l’origine, i vari significati umani e religiosi e i percorsi fattuali che la pratica della jihad ha assunto e di cui si è tinta, anche foscamente, nel corso dei secoli e periodi storici.

L’indagine di Bonner prende le mosse dalla domanda su cosa sia la jihad, per passare quindi ad una ricerca del suo significato etimologico.

La parola che spesso anche sui media è erroneamente tradotta con “guerra santa”, è un termine arabo che significa più propriamente e letteralmente “lo sforzo” e “lo sforzarsi”.

«Quando è accompagnata dalla frase fi sabil Allah, “sulla via di Dio”, o quando, come succede spesso, questa frase è assente ma sottintesa, jihad significa più precisamente “combattere in nome di Dio” (indipendentemente da quello che intendiamo con questa frase)», puntualizza Bonner.

Inoltre essa presenta un aspetto “esterno” e uno “interno” che si contraddistinguono dall’essere la prima un’attività rivolta alle cose terrene, che quindi comprende l’ingaggiare un combattimento con nemici veri, in carne ed ossa, oppure per quanto riguarda la seconda, chiamata anche “jihad maggiore”, dall’essere essenzialmente e principalmente una lotta contro il proprio io, avviluppato e confuso dal corpo e dai suoi bassi istinti, attraverso la quale l’uomo si purifica elevandosi verso una vita superiore, più vicina a Dio e ai suoi dettami. Bonner sostiene che, nonostante il punto di vista musulmano oggi prevalente, il quale vorrebbe prima la “jihad maggiore” sia in termini temporali che d’importanza, si può affermare che la jihad è stata fin dall’inizio, anche per quel che ne dice il Corano, un composto, in egual misura, di entrambi gli aspetti di questo fenomeno.

Le differenziazioni e le diversità che si possono riscontrare poi all’interno di questa nozione, trovano la loro origine e spiegazione nel fatto che “jihad” è e si riferisce soprattutto ad un corpus di dottrine giuridiche, riscontrabile nel fatto che ogni manuale completo di diritto islamico classico comprende una parte intitolata Il libro della jihad. Quindi «le divergenze che notiamo su questo tema seguono in alcuni casi le linee di demarcazione che dividono l’universo giuridico dei musulmani sunniti in quattro scuole classiche (madhhab), e quelle che dividono l’Islam in varie sette: i sunniti, gli sciiti, i kharijiti, ecc.». Lo storico dunque si ritrova così a dover fare i conti, per analizzare compiutamente e con professionalità il fenomeno, non solo con questioni che hanno a che vedere con la religione, la civiltà e la civilizzazione, ma anche con lo scontro di fazioni diverse che operano all’interno della stessa società islamica.

Le origini storiche e storiografiche

Parlare delle origini storiche della jihad e dello stesso Islam coincide con quella che in base ai precetti di questa religione è la Rivelazione divina ricevuta da Maometto alla Mecca, avvenuta all’inizio del VII secolo, fino a raggiungere l’apice con la fondazione della comunità musulmana a Medina nel 622 d. C., l’anno I dell’Egira, per poi proseguire con le imprese belliche del gruppo formatosi intorno a lui, che portarono l’Islam a trasformarsi, in parte attraverso le conquiste, in una grande potenza mondiale.

Ciò sta a dimostrare come questa religione «nacque in un contesto sociale in cui la guerra – o almeno la pratica della violenza armata più o meno organizzata e pianificata – era un aspetto normale della vita quotidiana.»

È naturale quindi, poiché la nascita della jihad corrisponde dunque con la Rivelazione a Maometto, che la fonte più importante da cui deriva gran parte della dottrina e della pratica sia il Corano. Nonostante questo però, fa notare Bonner, non è l’unica. Nel libro infatti ci sono sì dei passaggi dedicati al tema della guerra e riferimenti al termine, ma non sono di fatto, anche se significativi, sufficienti a costituire una dottrina coerente ed unitaria ma, anzi, leggendoli attentamente si possono addirittura riscontrare dei punti di vista contradditori che vanno perciò interpretati utilizzando delle fonti che non fanno parte del libro sacro. Per questo motivo, per avere una visione più coerente e completa dell’argomento è utile e, anzi, indispensabile, studiare e approfondire il Corano con testi di vario genere, come ad esempio i maghazi (le campagne militari), la sira (la biografia del Profeta) e soprattutto l’hadith (i resoconti storici in genere).

 

Varie forme di lotta

«Nel Corano la jihad esiste, ma non esattamente nella forma e nel senso più familiari a noi oggi. Per cominciare, là dove troviamo menzionato il termine jihad, esso si riferisce non tanto alla guerra, quanto al discutere e allo sforzarsi in nome di Dio e della sua causa».

È importante dunque a questo punto fare una netta distinzione tra due tipi di guerra religiosa armata nell’Islam: la jihad difensiva e quella offensiva. Quindi non è una guerra, anche se in determinate circostanze può assumerne la forma. Pur essendo una religione di pace, l’Islam permette ai suoi fedeli la reazione ai soprusi, alle offese e alle ingiustizie. Esso non chiede passività e remissione incondizionata, anzi, l’azione in certi contesti diventa importantissima, anche se raccomanda sempre e comunque di fare il possibile per lottare contro il male con mezzi non violenti e di evitare lo scontro con ogni metodo ragionevole. La guerra è permessa, ma essa è essenzialmente, di difesa. Per questo molti versi del Corano appaiono incoerenti e in contraddizione tra loro.

Può essere difficile, ad esempio, conciliare questo versetto: «Chiama gli uomini a seguire la via del tuo Signore con saggezza e con buone esortazioni e discuti con loro [i tuoi avversari] nel modo migliore! […] Se punite, punite in proporzione all’offesa ricevuta […] Abbi dunque pazienza!» (Nahl (6), vv. 125-128), con il seguente: «Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete gli idolatri ovunque li troviate. Prendeteli, assediateli e tendete loro ogni sorta d’insidie» (Tawba (9), v. 5).

Bonner fa notare comunque che nel Corano i termini che derivano dalla radice jhd compaiono quarantuno volte e solo dieci si riferiscono chiaramente alla condotta della guerra. Ciò sembra suggerire quantomeno che, nonostante l’interpretabilità dei passaggi, nella maggior parte di essi predomina la nozione di jihad intesa in senso interiore e della lotta soprattutto spirituale del fedele.

Il testo di Bonner mostra, in modo analitico ed estremamente esauriente, tutti i lati e le sfaccettature di questa questione alle volte spinosa. Attraverso un’attenta e molto documentata analisi storica dei vari periodi, fasi e guerre che hanno coinvolto i musulmani, e che qui sarebbe eccessivamente lungo e inutile riportare, l’autore conduce il lettore nel merito della questione, offrendo un quadro oggettivo (anche se problematico) e che rende giustizia ad un argomento troppo spesso frainteso, più o meno consapevolmente, e sicuramente alle volte strumentalizzato per fini politici o di potere.

Lo sguardo imparziale dello storico restituisce, anche ai “non addetti ai lavori”, una visione più vasta e più completa del panorama entro cui si svolge l’azione della jihad, cosa di cui ognuno, nell’epoca attuale, ha bisogno per non banalizzare o giudicare certi fatti sull’onda di un facile e ingenuo, quanto pregiudizievole, propagandismo.

 

Valentina Burchianti

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 23, luglio 2009)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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