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Direttore editoriale: Maria Ausilia Gulino
Anno III, n. 21, Maggio 2009
Immaginazione e ironia:
ingredienti di un viaggio
di Mariarosa Paratore
Sei passeggeri e lo scompartimento di un treno;
Edizioni associate propone rivelazioni e bizzarrie
Una parentesi dietro l’altra. Prima graffa, poi quadra, quindi tonda. Un lunghissimo susseguirsi di segni matematici che si aprono e si chiudono con inarrestabile e misurata sveltezza. Semplice, meravigliosa sintesi di espressione algebrica. Non ce ne voglia l’autore per l’accostamento quantomeno stravagante, né il lettore più tradizionale che, dalla nostra fantasiosa visione, potrebbe restarne forse un tantino turbato. Eppure così ci appare il testo.
Sul treno di Babele. Sognando Broadway di Vittorio Salvati (Edizioni associate, pp. 284, € 18,00) è sostanzialmente questo, un contenitore di contenitori che si costruiscono e si sviluppano ad incastro, con una tale dovizia di particolari da apparire quasi del tutto frutto di pura illusione. Ma, fin dove arriva tale illusione? E qual è il confine tra sogno e realtà? Salvati (e mai come in questo caso nome di autore appare più “opportuno” del suo) ci viene incontro per rendere comprensibile fino in fondo il senso di questo percorso. Decide così di far precedere al Prologo necessario un brevissimo, illuminante messaggio che, divertito, rivela: «L’agenzia turistica della mente / regala all’uomo due meravigliose / compagne di viaggio: / L’IMMAGINAZIONE / per compensarlo di ciò che non è / L’IRONIA / per consolarlo di ciò che è».
Quelle affezionate e deliziose compagne di viaggio...
Ironia e immaginazione. Sono dunque questi, innanzitutto, gli ingredienti indispensabili per la nostra lettura. Capaci sempre – come si addice a certi buoni dispensatori di consigli – di illuminare al meglio la via, anche quando i numerosi personaggi, che popolano il racconto dal primo all’ultimo capitolo, si ritrovano avvinghiati nello slalom inebriante e insidioso della realtà-illusione. E a proposito di quest’ultima, piace molto lo stralcio di Arlecchino educato dall’amore di Pierre de Marivaux, preso in prestito dall’autore e lasciato cadere, per nulla casualmente, sulle prime pagine del romanzo. Leggiamo: «L’illusione, se ben vissuta e resa credibile, è più dolce e reale di una vita impossibile e mal vissuta senza spazio d’immaginazione». Eppure... conforto o tormento? Sollievo infinito, frutto delle nostre scelte coraggiose o rigorosa scansione di un’esistenza umana pallida? Con questo atteggiamento proviamo a scivolare, prima timorosi poi sempre più sicuri, dentro le storie. E sono tante. Tanti racconti all’interno di un unico grande filo conduttore che ne fa da cornice e quadro al tempo stesso. Per acquistare via via certezze, impariamo anche a stare al gioco e a partecipare attivamente alle bizzarre avventure del protagonista, come suggerito da Marco Gatto nella sua puntuale Prefazione. Grazie a questa, scopriamo pure, non più paurosi, quella «suggestione intertestuale», di cui è permeato il romanzo rendendolo più vicino alla sapiente tradizione letteraria, e quella caratteristica «multiformità della materia», che rispecchia in qualche modo la difficoltà di classificare il testo in una forma ben precisa.
Una, dieci, cento storie
In primo piano un viaggio in treno. Quello che riporta, dopo molti anni di lontananza, il protagonista narratore dalla «Grande Città» verso Manpell, suo paese natale. Tra sogno e realtà, il viaggio lo mette ben presto nella condizione di fare una serie di incontri assolutamente strabilianti. A partire dal misterioso passeggero seduto di fronte, vicino al finestrino, con un gran numero di giornali al seguito, il quale possiede un inquietante potere e un segreto, che solo sul finire deciderà di rivelare. Prima che questo accada, però, è un alternarsi di personaggi tutt’altro che banali, che salgono e scendono alle stazioni intermedie, per occupare i restanti posti dello scompartimento e raccontare di altrettante storie parallele, talvolta da loro direttamente vissute, talaltra frutto di ulteriori precedenti incontri. È così che il narratore, sempre sospeso tra realtà sognante e sogno reale, resterà coinvolto in nuove e inattese emozioni. E allora, fra i compagni di viaggio spunta prima un impresario teatrale, che riferisce di una fantomatica bottega in cui si possono comprare e vendere pensieri usati, poi un vecchio dirigente in pensione, che presenta la sua originalissima collezione di sogni altrui, quindi un giovane scrittore, che racconta le vicende di un “approssimativo” ladro di romanzi, infine una spigliata studentessa, innamorata della filosofia arguta di un eccentrico zio.
L’autore colloca un personaggio dietro l’altro senza soluzione di continuità e con una capacità narrativa tale da catturare completamente la nostra attenzione. Come quando il protagonista, tra confidenze con i compagni di viaggio, si ritrova a descrivere il mondo con gli occhi del suo papà, per il quale la terra era paragonabile a una foresta insidiosa e quattro i metodi per affrontarla. A cominciare dal «metodo del guerriero», che, partendo dal convincimento che la foresta è cattiva, considera unico modo per sopravvivere armarsi, combattere e, se necessario, essere il più cattivo di tutti. Quindi il «metodo di Cappuccetto rosso», per il quale la foresta non è poi così terribile come sembra e, anche qualora lo fosse, non conviene mai armarsi perché ci sarebbe sempre qualcuno più forte e armato di te; unica soluzione: procedere con ingenuità e fiducia. Nel «metodo del camaleonte», poi, qualunque cosa ci riservi la foresta, è bene procedere mimetizzandosi sempre al meglio per non farsi scorgere e, se scoperti, allearsi col più forte cambiando bandiera. Infine, col «metodo del saggio», il consiglio è di salire sull’albero più alto della foresta e starsene lì a guardare quello che accade di sotto; tra la difficoltà però di arrampicarsi sull’albero – quello della saggezza, considerato più liscio – e il rischio che nella giungla ci sia qualcuno che si diverte a sparare dal basso a quelli al sicuro sulle cime...
Proprio una singolare visione quella appena descritta!
Ancora quante sorprese prima della fine
Quando il viaggio sembra volgere ormai al termine, è nuovamente il primo misterioso passeggero a prendere la parola. Così, pur avendone quasi fatto perdere le tracce, l’autore riesce con poche righe a ristabilire quella giusta tensione emotiva e a costruire un rinnovato senso di curiosità e interesse. Egli racconterà al narratore un’antica e sconosciuta storia d’amore rivelando, in ultimo, il suo incredibile segreto. A questo segreto e alla splendida donna, che di lì a poco il protagonista troverà sul suo cammino, è legata un’altra inattesa rivelazione, in una chiave completamente nuova e sconvolgente per la sua stessa vita.
Non ci lasceremo certo vincere dalla tentazione di svelare le battute finali di questo “curiosissimo” testo. Solo vorremmo concludere sottolineando, del libro, la sua semplicità, piacevolezza e leggerezza. Doti che Vittorio Salvati riesce a mettere in luce con tale gustosa sobrietà da lasciarci volontariamente rapire dal viaggio. Del resto, per dirla come i suoi personaggi, l’augurio più bello da consegnare a qualunque scrittore, è «di scrivere con la “semplicità” suggerita da Seneca, la “piacevolezza” raccomandata da Sant’Agostino e la “leggerezza”, non frivola ma pensosa, perorata da Italo Calvino».
Mariarosa Paratore
(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 21, maggio 2009)
Elisa Calabrò, Agata Garofalo, Eliana Grande, Mariangela Monaco, Maria Paola Selvaggi, Tiziana Selvaggi, Antonietta Zaccaro
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