Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
Iscrizione al Roc n. 21969.
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza
n. 817 del 22/11/2007.
Issn 2035-7370.
ANNO I, n° 0 - Agosto 2007
L’attacco alla “Gentiloni”.
E riflessioni sui manager
di Luisa Grieco e Mariangela Rotili
Due libri per comprendere meglio la vita economica
e imprenditoriale italiana. E le idee di Debenedetti
Questa nostra breve incursione nel mondo imprenditoriale nazionale, grazie alla recensione di tre validissimi libri, si apre analizzando un tema strettamente attuale che è quello riguardante il disegno di legge “Gentiloni”, attualmente al vaglio del Parlamento. È un progetto di legge presentato appunto dal ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni che prevede la riforma del sistema televisivo nazionale. Si può riassumere essenzialmente in cinque punti. Il primo riguarda l’abrogazione di due direttive presenti nella precedente legge in materia (la discussa legge “Gasparri”): rispettivamente quella che eliminerebbe il Sic (Sistema integrato delle comunicazioni), che fissava il duopolio Rai e Mediaset anche nella frontiera del digitale chiudendo, di fatto, le porte a nuovi concorrenti; e la disposizione legata alla privatizzazione della rete pubblica (cosa che peraltro verrà regolamentata da un apposito Ddl). Il secondo punto riguarda la regolamentazione del passaggio alla Tv digitale, che dovrebbe avvenire nel 2012. Il terzo punto sancisce che dopo quindici mesi dall’approvazione della legge una rete Rai e una Mediaset vadano in onda solo su digitale terrestre eliminando le frequenze analogiche. Il quarto punto stabilisce la divisione in due società tra chi fornisce i contenuti e gli operatori di rete. Il quinto e ultimo punto di questo nostro piccolo excursus su questa legge è quello che ha creato molti malumori anche tra i sostenitori del governo: è il famoso tetto del 45% posto al mercato televisivo (e quindi alla pubblicità). Chi supererà questo limite dovrà diminuire la propria quota di pubblicità dal 18 al 16 per cento.
Quarantacinque per cento sì, quarantacinque per cento no
Come in tutte le leggi che si rispettino c’è chi è a favore e chi è contrario. Quest’ultima norma del Ddl “Gentiloni” che abbiamo appena descritto ha però fatto storcere il naso a molti. Uno di questi è l’ex senatore ulivista Franco Debenedetti, imprenditore, ingegnere e manager che nel suo libro Quarantacinque percento. Una critica liberale al progetto Gentiloni sulla Tv (Rubbettino, pp. 156, € 10,00) descrive le motivazioni di questa sua critica al disegno di legge in modo spassionato e autorevole inserendo, tra l’altro, due saggi di esperti del settore del calibro di Paolo Buccirossi ed Emilio Pucci (Critica economica) e di Vincenzo Zeno-Zencovich (Vizi costituzionali e comunitari). Il libro presenta anche il testo del disegno di legge “Gentiloni”, e le relazioni di Antonio Catricalà (presidente dell’Antitrust) e di Corrado Calabrò (presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni).
Così, una voce autorevole come quella di Debenedetti esce fuori dal coro del centrosinistra, un’azione forte, certamente, ma anche motivata da un ragionamento politico-ideologico spiegato e analizzato, senza peli sulla lingua, in questo libro di indubbio valore.
Debenedetti riapre la spinosa pagina del conflitto d’interessi che coinvolge Silvio Berlusconi, e lo fa prendendo paradossalmente le difese di quest’ultimo, anche solo a livello ideologico, pur essendo apertamente un “anti-berlusconiano”. La critica che l’ex senatore muove a Gentiloni riguarda l’aspetto illiberale della legge: «Mettere per legge un tetto al fatturato di un’impresa è cosa davvero singolare per chi riconosce nella concorrenza tra le imprese un propulsore della crescita del sistema economico, una garanzia di libertà per gli imprenditori, un vantaggio per i consumatori. Che concorrenza c’è se la si limita ponendo un tetto alla crescita? Se poi il tetto è retroattivo, e impone di ridurre il proprio fatturato, la cosa appare ancora più singolare. Se riguarda una sola azienda, assume connotazioni politiche che sollevano preoccupanti interrogativi. Se infine questa azienda è quotata, le conseguenze reputazionali del non garantire i diritti di proprietà investono tutto il sistema economico».
In effetti è proprio in questo punto che si tocca il problema di fondo: il capo dell’opposizione in Italia è, di fatto, il proprietario dell’azienda televisiva concorrente dell’emittente nazionale; di conseguenza l’analisi della legge non può che essere allo stesso tempo sia economica che politica.
Per Berlusconi la legge è «ammazza Mediaset... vogliono rovinarmi» e da parte sua Gentiloni replica: «Berlusconi fa vittimismo a orologeria, è un testo troppo moderato» (entrambi gli interventi nel Corriere della sera del 7 maggio 2007).
Così in questo libro Debenedetti analizza gli aspetti di una legge che non condivide, e la sua posizione è sin troppo chiara sebbene a volte il linguaggio usato per esprimerla sia carico di espressioni per soli “specialisti del settore” che necessita di conoscenze più approfondite nel campo tecnico ma che riesce, comunque, a essere piacevole alla lettura. Un libro certamente consigliato per chi vuole osservare questa importante riforma attraverso un’analisi seria e spassionata e un occhio critico “fuori dal coro”.
Monopoli tutti italiani
Il problema affrontato da Debenedetti è dunque strettamente legato al mercato e alle leggi che regolamentano la giusta concorrenza al suo interno, un argomento spinoso (giuridicamente parlando) che Antonio Capobianco, avvocato e legale internazionale, e Rossella Creatini, economista, affrontano sapientemente nel volume Antitrust. Lezione e casi dell’esperienza italiana (Rubbettino, pp. XII-782, € 59,00) prima opera della collana saggistica del Cerm (Autorità garante della concorrenza e del mercato). Il libro analizza, attraverso l’approfondimento di casi specifici, il percorso storico che si è avviato in Italia con la legge n. 287 del 10 ottobre 1990, tutt’oggi ricordata come «il primo strumento normativo organico per la tutela della concorrenza in Italia». L’argomento antitrust è quindi un argomento relativamente “giovane” nel nostro paese, un problema che è consequenziale all’apertura del mercato secondo ottiche più liberali.
Questo testo, in particolare, rientra nell’ottica della salvaguardia della concorrenza, anima del moderno mercato che però continua a portarsi dietro contraddizioni e molti spunti critici. Proprio a questi ultimi si rivolge il lavoro dei due giovani autori che hanno analizzato «attraverso la lente dei casi concreti, le principali fattispecie del diritto antitrust (gli abusi, le intese e le concentrazioni) al fine di analizzarne le fondamenta giuridiche e soprattutto economiche».
È un libro strettamente legato a quello presentato qualche riga più su ma che ha delle caratteristiche molto diverse: di questo volume si apprezza la mole di nozioni giuridiche e la struttura chiara e schematica grazie alla quale vengono affrontati tutti i temi pertinenti alla materia del “monopolio”. Un libro elegante per “addetti ai lavori”, per un lettore che possa sentirsi a suo agio nella lettura di saggi che spiegano, con chiarezza manualistica, aspetti giuridici ma anche economici in materia di antitrust.
I manager italiani tra scandali e (presunte) verità
Sembra sfuggire (a noi “comuni mortali”) come il mercato spesso venga gestito da poche persone che, con il loro potere e le loro decisioni, influenzano i prezzi e indirettamente le nostre vite. Così Eduth Levi (pseudonimo di un noto manager italiano) ci apre le porte dell’universo degli imprenditori italiani attraverso il libro Società a irresponsabilità illimitata. Tutta la verità sui manager italiani (Rubbettino, pp. 204, € 15,00), un libro che con sottile ironia riesce a mostrare al lettore il mondo imprenditoriale italiano guardandolo dal didentro, sviscerandolo, mostrandone meccanismi e contraddizioni.
Contraddizioni che si manifestano nello stravolgimento, in pratica, dei principi etici ai quali ormai ogni azienda dice di far riferimento: i casi italiani di Cirio, Parmalat, Telecom Italia (solo per citarne alcuni) sono esempi molto evidenti di questo genere di contrasti.
Quindi, come ricorda il titolo, è l’“irresponsabilità” che rende il gioco sporco, sono la sete di ricchezza e la voglia di “profitto a tutti i costi” a far sì che si manifesti questa mancanza di etica: «È come se, nelle aziende, oggi esistessero due piani paralleli: il primo quello dei desiderata, delle dichiarazioni di principio e delle linee giuda, del dove dobbiamo andare e del come ci andremo. È il piano dei valori attesi: integrazione, trasparenza, comunicazione, professionalità, attenzione alle persone, centralità del cliente esterno ed interno. Il secondo è invece quello della dura realtà, del ciò che siamo».
Le società, ci spiega Levi, possono così passare da Srl (Società a responsabilità limitata) a Sii (Società a irresponsabilità illimitata) con conseguenze che, come al solito, ricadranno sui piccoli azionisti che non sapranno con chi prendersela: in effetti, in questo meccanismo, proprio i manager sembrano avere una “illimitata irresponsabilità” nel gestire il loro patrimonio, non curandosi dell’effetto che questa gestione, magari sciagurata, può avere su molte persone (dagli azionisti ai soci, dal semplice assunto fino al cliente).
Un’opera che riesce concretamente ad offrire un servizio a chi ha intenzione di giocare in borsa, anzi, mette in guardia chi si avvicina al mondo della finanza istruendolo su molti tipi di trappole che qualche manager è pronto a nascondere.
Carmine De Fazio