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Anno III, n° 19, Marzo 2009
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno III, n° 19, Marzo 2009

Zoom immagine Libertà, unità,
un inganno?

di Marika Guido
Storia dell’Italia
“emancipata”,
di Città del sole


In genere le tesi di laurea non sono testi fortunati, tranne alcuni casi, finiscono, dopo il percorso di studi, nel dimenticatoio: ma possono avere un diverso destino se l’autore è uno scrittore del valore di Mario La Cava. In questo caso la cosa appare più che positiva, in quanto si tratta di un testo che ricostruisce la formazione della coscienza unitaria degli italiani, rileggendo gli spunti di ricerca in maniera del tutto personale e sperimentando una redazione originale del lavoro, senza per questo inficiare il valore scientifico dello studio; la sua argomentazione svela senza indugio uno stile letterario tipico, tale da annunciare quelle specificità stilistiche che lo contraddistingueranno nella sua carriera di scrittore. Come non ricordarlo dunque nel centenario della sua nascita? Inedita, la sua tesi di laurea, La Repubblica Cisalpina. Appunti sulla costituzione e sull’attività legislativa (Prefazione di Gaetano Briguglio, pp. 128, € 10,00) viene proposta da Città del sole, a cura del figlio Rocco La Cava, che per i suoi contenuti non scontati, di alto valore civico e storico, è inserita nella collana I Tempi della storia diretta da Pasquale Amato. Lo studio si rivela, come accennato più sopra, già da una prima lettura, innegabilmente uno scritto anticipatore del suo futuro gusto letterario, lavoro che lui stesso considera l’autentico esordio narrativo. In una sua lettera indirizzata all’amico Ernesto Bonaiuti del 1931, lo stesso autore scrive: «Non posso negare ch’io mi proponessi con la tesi di laurea tante cose: fra le quali metto in prima l’onore di inaugurare ufficialmente la carriera di scrittore».

La casa editrice reggina permette così la celebrazione della sua memoria, presentandolo in una veste inedita, quella di “saggista”, che evidenzia la sua prima formazione di narratore dai tratti sobri e concisi, dallo stile chiaro, che gli fu proprio e che Leonardo Sciascia apprezzava: «Le cose di La Cava costituivano per me esempio e modello del come scrivere: della semplicità, essenzialità e rapidità cui aspiravo», incisivo nel raccontare la realtà e gli uomini, così come quando discute di diritto. Lo scrittore e amico Gaetano Briguglio pone in evidenza che il giovane studente di Bovalino aveva fin dall’inizio aspirazione alla letteratura e rileva che «non si sentiva fino in fondo un giurista perché gli avvocati cercano la verità attraverso l’interpretazione delle leggi, mentre lo scrittore la insegue con l’ermeneutica della vita» e aggiunge che «uno scrittore lo si riconosce dal linguaggio», lo stesso che agli occhi della commissione di laurea rappresentò il punctum dolens della sua tesi, pur non avendo nulla da obiettare quanto al contenuto. L’operazione che si era prefisso lo scrittore calabrese, stava proprio nel presentare una nuova dimensione del linguaggio dal carattere “pluridiscorsivo”, capace di «trasmettere emozioni, pur scrivendo di argomenti per lui aridi e poco stimolanti». Questa, dunque, la prima significativa caratteristica della breve opera di La Cava, che si accompagna a un altrettanto significativo se non più importante risultato, che sta tutto nel suo contenuto.

 

La presa di coscienza unitaria degli italiani

La tesi nel complesso si rivela «molto in sintonia con l’Accademia dei Lincei», fonte privilegiata della sua ricerca. Essa si divide in tre parti. Il capitolo introduttivo, sulla coscienza politica italiana, rileva che in Italia manca un’idea unitaria di nazione, soprattutto sotto il profilo giuridico, accogliendo con facilità il modello di ordinamento francese del 1791, senza neanche sentire il bisogno di elaborare dei nuclei propri da sottoporre al comitato costituente e da adattare alla specifica sensibilità culturale e storica del territorio. In tal senso, se la norma fondamentale della Repubblica Cisalpina è la copia conforme di quella transalpina, non lo è di meno quella coeva proposta nel Regno di Napoli. Nel secondo capitolo il lavoro del giovane scrittore si scopre ancora più indagativo ed esplorativo. Secondo il prefatore l’intento era quello di andare al fondo dei fatti, ma a nostro avviso era anche quello di rendere ragione di un disagio politico, poiché con Napoleone i Lombardi da dominati non passarono certo al rango di dominanti, neanche di se stessi, erano solo in apparenza liberi, come bene spiega l’autore nell’analizzare la portata del potere legislativo della neonata repubblica. Per i cisalpini la questione della sovranità, per quanto paventata nelle costituzioni rivoluzionarie francesi, era una mera illusione. E in effetti il potere, il diritto, la libertà nel prosieguo del suo lavoro letterario saranno una questione di popolo, prima ancora che di stato, e l’attenzione dello scrittore calabrese sarà sovente per i deboli della gerarchia sociale, come lui stesso ha detto di sé parlando del suo stile: «Spero di aver pure dato una voce ai più umili della mia terra...», ed Elio Vittorini, sulla sua specifica attenzione alla società come unico luogo legittimo dello stato di diritto, ha scritto: «Coltiva un suo genere speciale di brevissimi racconti in cui fonde il gusto dell’imitazione dei classici e lo studio naturalistico del prossimo», elementi che rileviamo in nuce anche nell’andamento stilistico della tesi. Il terzo capitolo è il cuore della sua dissertazione e suggerisce il titolo al lavoro; affiora un giudizio positivo dello stratega francese, definito come «talento organizzatore della società civile»; rileva di contro l’indifferenza del popolo lombardo, insieme con i nobili, alle innovazioni napoleoniche. Le classi sociali faticavano a comprendere il cambiamento storico, si occupavano, piuttosto, di discussioni oziose su abiti o cibi, dimenticando i problemi reali. Ciò rivelava un drammatico ritardo culturale in generale, rispetto pure a una classe intellettuale informata dei nuovi venti illuministici (e testimoniati dall’impegno di Vittorio Alfieri, Vincenzo Cuoco, Pietro Verri o Giambattista Vico, dei quali l’autore riporta fonti e riferimenti in tutto lo sviluppo del saggio), altresì rendeva nota una sorta di pigrizia mentale che ostacolava l’avvento di nuove idee. La contraddizione è indicativa quanto più si tiene conto del fatto che il tricolore italiano, vessillo di libertà per il futuro Risorgimento, nasce proprio in concomitanza della Costituzione della Repubblica Cisalpina, sulla scorta delle idee napoleoniche, esattamente nel 1797. Le riflessioni dello scrittore calabrese dimostrano così uno spessore antropologico parallelo a quello giuridico. Il suo lavoro assume valore quanto più si tiene conto del momento storico in cui scrive. Presentare una tesi su riflessioni democratiche in pieno Fascismo significava impegnarsi a difesa di una sensibilità, per quanto umiliata, mai assopita nell’anima umana: la libertà. Nel suo ultimo romanzo autobiografico, Una stagione a Siena, scrive che si sente incoraggiato a «sperare nella carriera di scrittore, purché la dittatura non ci distrugga la fantasia». Da qui l’osservazione dell’amico Briguglio riguardo al fatto che l’assegnazione dell’argomento della tesi, da parte del professor De Vergottini a La Cava, significava stima e fiducia nelle idee di questo giovane pieno di gaie speranze: un lavoro inserito in un preciso progetto di ricerca, che il suo stesso docente avrebbe portato a compimento con l’esame della Costituzione della Repubblica Cispadana. L’opera prima dello scrittore calabrese va dunque letta e compresa con un duplice occhio della storia: di quella che racconta nel suo lavoro e di quella che rappresenta, “non solo letterariamente parlando”, la sua esistenza; una voce del passato che indaga la verità con gli strumenti interpretativi del presente. Un autore che fa parte del patrimonio collettivo culturale italiano e che ancora una volta nel terzo millennio avvicina, attraverso se stesso e i suoi lavori, sempre di più la Calabria all’Italia; un piccolo scritto estremamente attuale, che riafferma ex novo la necessità di una più forte e rinnovata coscienza unitaria degli italiani e sollecita, oggi più che mai, uno spirito democratico che abbia una vera e sincera forza probante.

 

Marika Guido

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 19, marzo 2009)
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