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ANNO I, n° 0 - Agosto 2007
La vita, la morte,
ma soprattutto,
la resurrezione
di Raffaella Ateniese
Ritrovare il senso delle cose
tramite l’esperienza di chi
vede la paura e il coraggio
Leggere il romanzo di Nicola Modafferi I segreti di Franci non mi appartengono, (Città del sole, pp. 150, € 12,00), è simile ad un atto di coraggio, di cui tutti necessitiamo per poter scoprire e combattere il “cancro” che si annida, radicato sin dai primordi, nelle pieghe più recondite dell’anima: la paura; la paura di morire e ancor di più la paura di vivere, di affrontare passo dopo passo gli imprevisti e le difficoltà del quotidiano. Leggere questo libro significa fare un viaggio nel buio della vita, sprofondare nei meandri della notte che nessuno vorrebbe conoscere. Come lo stesso autore afferma, attendere la notte non è avvertire assenza di luce, assistere all’avanzare del crepuscolo della città guardando da una finestra, «bensì è l’odore, si, l’odore della notte, così come ogni cosa ha un odore anche la notte ha la sua puzza è un profumo è un aroma di nuova sorte di rigenerante tremore è paura-che-sa-di-non-paura è il lato che il giorno insegue con avidità e che mai raggiunge...».
Continuando a leggere, il buio è ovunque: «buio fuori e da questa stanza e buio anche dentro, irrigidito con gli occhi spalancati incollati al soffitto, come inchiostro sulla carta, godo il dormiveglia; status ideale nel quale la mancanza del sogno e del pensare mi mette nella possibilità di godere della più desiderata delle condizioni: il vegetare, l’oziare imparagonabile».
Ogni riflessione su questo libro potrebbe risultare banale o addirittura ovvia e visto l’argomento che viene trattato, si resta senza parole di fronte all’antico dramma della malattia, specie quando colpisce un ventenne che ne racconta le vicissitudini. Ma vale comunque sempre la pena di soffermarsi a pensare, nel caos o nella frenesia spesso inconcludente della quotidianità, a quanto sia fondamentale scoprire o rivalutare il vero senso della vita.
Perché il buio fa paura
Franci, menzionata nel titolo del libro, è semplicemente un volto incontrato nella sala d’attesa di un ospedale, «né una parola né un segno né uno sguardo né un pensiero solo uno spazio condiviso per pochi secondi, solo una sedia occupata insieme», una sedicenne con il corpo segnato dalla malattia, ma con un animo e un sorriso serafici e pacati che danno al protagonista, in un breve e fulmineo istante, il ricordo vivo ed eterno della pace interiore e del coraggio di «chi conosce il disegno di dio nella sua totalità, di chi sa che non ci saranno più sorprese, di chi sa che non ‘sarà’, ed era proprio quella tranquillità, che il signore le aveva regalato, che teneva aggrappati i suoi famigliari».
Nicola Modafferi, autore e protagonista della storia, è un ragazzo come tanti altri segnato da un destino immeritato, ma mai inutile. I segreti di Franci non mi appartengono è un romanzo-sfogo a volte spietato, da cui si evince uno stile letterario necessariamente barocco, ma assolutamente spontaneo. Tra le righe, si avverte un dolore che porta addirittura a non tollerare neanche chi condivide con l’autore-protagonista questo viaggio verso l’annullamento di se stessi, che si sa quando comincia, ma non se ne conosce la fine.
Come non comprendere, dunque, ogni espressione che mette a nudo la particolare sensibilità dell’autore, che sa cogliere e “confidare” al lettore tutto ciò che “passa per la mente” di chi, all’improvviso, scopre la possibilità di morire presto, da un istante all’altro, di un giorno qualsiasi della vita. Le parole sgorgano come da una sorgente zampillante e inesauribile di sensazioni, emozioni e sentimenti contrastanti, straordinariamente sinceri e ricchi di stupefacente vitalità, che potrebbero dissetare quelle anime irrequiete e annoiate in cerca di chissà cosa e che non sanno intuire che hanno già tutto.
Nicola, profondamente inasprito e rinchiuso in un dolore che porta a diventare a volte cinici e solitari, ci fa pensare che ogni uomo è condannato a soffrire di una propria “malattia”: l’indifferenza, l’insofferenza, l’insoddisfazione perenne, l’avidità di volere sempre di più, l’egoismo, la superbia, la presunzione di credere di essere immortali, possono essere definiti come i mali dell’animo umano. Paradossalmente il racconto di Nicola ci insegna il giusto valore della vita perché lui sa come potrebbe essere la felicità; nel tunnel della malattia, lui scopre come apprezzare la quotidianità, la routine, la famiglia, l’amore, lo stress.
È un libro “terapeutico”, da leggere specialmente quando l’apparente banalità di ogni giorno prende il sopravvento: “prevenire è meglio che curare”. L’uomo non è stato creato per essere infelice, ma, stranamente, lo è sempre e stranamente diventa consapevole di tutto ciò che possiede quando sta per perderlo.
Così affiora la rabbia tipicamente umana di essere fragili, perduti, miseramente ultimi, finiti, e nasce l’invidia: «è incredibilmente spaventoso quanto si possa invidiare...».
La salita verso il sole
Ma questo libro è anche un atto di fede: infatti ciò che più disarma e contemporaneamente conforta, è leggere fra le righe, la ritrovata speranza di un tempo per piantare, per guarire, per costruire, per ridere, per ballare, per abbracciare, per cucire, per amare, per la pace. Ci aiuta a vedere la realtà, la verità dell’esistenza umana, e poterne così gustare fino in fondo, e nonostante tutto, la sua preziosità, il suo immenso valore: «nessun male dura per sempre, e neppure molto a lungo». (Epicuro)
Nessun male può colpirci quando si diventa consapevoli che esiste la possibilità di vincerlo e che, in ogni modo, comunque vada, la vita ricomincia.
Auguri di cuore, Nicola, e grazie per aver sentito l’esigenza di confidarci il tuo dolore e di condividere anche con noi, tuoi lettori, il tuo sgomento, la paura, la rabbia, ma anche la tua speranza, il tuo coraggio, la tua forza e la tua gioia di vivere... per sempre.
Raffaella Ateniese