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Anno III, n° 18, Febbraio 2009
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno III, n° 18, Febbraio 2009

Zoom immagine L’immigrazione
negli Stati Uniti
i modi e i tempi

di Clementina Gatto
Le vicende, le cause, gli effetti
di un processo molto articolato
in un saggio edito da il Mulino


Se ci si riferisce alla storia e alla società di certe aree del mondo, è facile osservare come l’immigrazione ne costituisca uno dei tratti caratterizzanti. Questo è il caso, per esempio, degli Stati Uniti, della cui natura «multietnica, multirazziale e multiculturale» racconta un recente saggio di Stefano Luconi e Matteo Pretelli, L’immigrazione negli Stati Uniti (il Mulino, pp. 224, € 13,00). In esso, gli autori sottolineano il ruolo fondamentale giocato da questo fenomeno nella storia nazionale americana e nella formazione della società nei suoi caratteri originali, dandone un profilo cronologico – a nostro avviso efficace nella sua compattezza – che copre l’intero arco della sua storia. Nel saggio inoltre, sono analizzate caratteristiche, dinamiche e tempi delle correnti migratorie, in termini di ragioni e ricadute economiche, politiche e sociali.

Gli autori sono entrambi studiosi nel campo. In particolare, Luconi insegna Storia degli Stati Uniti nelle Università di Pisa, Padova e Roma “Tor Vergata”; Pretelli è lecturer di Italiano presso la “Swinburne University of Technology” di Melbourne.

 

Tante storie dentro una storia

Il testo, articolato in sei capitoli, ripercorre le vicende dei flussi migratori a partire dalla formazione di Jamestown nel 1607 in epoca coloniale, fino alle misure restrittive dell’amministrazione Bush in materia di immigrazione – dopo i fatti dell’11 settembre 2001 – e alla controversia relativa alla riforma della legislazione sull'immigrazione, discussa già prima della campagna per le ultime elezioni presidenziali.

Gli autori spiegano accuratamente i principali fattori d'attrazione della realtà americana, senza trascurare i motivi che hanno portato intere famiglie a lasciare i loro luoghi di provenienza.

Sono trattati anche aspetti legati al modo in cui si sono progressivamente modificati i “parametri” dei nuovi arrivati, vale a dire il loro mutato rapporto con la patria d’origine da un lato e il nuovo atteggiamento, soprattutto delle generazioni successive, con la patria d'adozione dall’altro.

A tal proposito sottolineiamo l’attenzione degli autori a recuperare le posizioni diverse della storiografia, relativa alle vicende dell’immigrazione nel corso del tempo. Gli autori passano in rassegna le posizioni conservative iniziali, che auspicavano e promuovevano l’assimilazione dei nuovi arrivati alla cultura anglosassone – letteratura degli anni a partire dalla metà dell’Ottocento – fino al ribaltamento su posizioni completamente diverse, tese a rivalutare la ricchezza degli apporti dei migranti sulla società d’arrivo, anche e non solo dal punto di vista culturale.

Ciascuno dei filoni di studio, pur presentando i suoi limiti agli occhi della letteratura successiva, è interessante perché mostra come la presenza del dato immigrazione sia stata, e sia tutt’ora, una variabile non indifferente all’interno della costruzione di un quadro della complessa società americana.

 

L’immigrazione come antenata della globalizzazione

Nel testo viene posto l’accento sulla natura eterogenea della società americana, ben lontana dal nostro concetto tutto europeo di società, che ha alle spalle un certo numero di secoli di storia completamente diversa.

Tale eterogeneità ne è uno dei fondamenti ed è dovuta proprio ai flussi di migrazioni, che ne costituiscono, oltretutto, un fattore di propulsione. Gli autori, insieme ad altri studiosi, sostengono infatti che il fenomeno migratorio coinvolge, a vari livelli, non solo la sfera privata, ma anche gli ambiti sociale, economico e politico.

Ne consegue che le indagini sull’immigrazione abbiano fornito − e forniscano − un contributo ad ampliare gli orizzonti della storia nazionale degli Stati Uniti e alla sua internazionalizzazione. È stata perciò conferita una legittimità scientifica alla storia dell’immigrazione, che l’ha inserita a pieno titolo nei libri di storia.

Quanto al dato di internazionalizzazione, infine, alcuni studiosi ritengono che le migrazioni internazionali siano un elemento determinante per retrodatare la nascita della globalizzazione. In altre parole – quelle di Pretelli nelle Conclusioni – «in ogni epoca storica tra i fattori che hanno maggiormente favorito lo scambio fra le culture vi [sono] gli uomini di frontiera, [vale a dire] i mercanti, i missionari, i viaggiatori e i migranti. Secondo questa prospettiva, coloro che lasciavano la propria terra alla ricerca di migliori condizioni economiche si ponevano pienamente in una prospettiva globale».

In base a tale punto di vista, la nascita della comunità globale si dovrebbe inquadrare tra la seconda metà del XVIII secolo e il 1940.

 

Clementina Gatto


(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 18, febbraio 2009)

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