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Anno I, n° 1 - Settembre 2007
Le varie teorie che interpretano l’Unione europea
di Mariangela Monaco
Diverse prospettive che analizzano, attraverso specifici paradigmi,
il processo d’integrazione, illustrate in un saggio edito da Giuffrè
Il veloce sviluppo conosciuto dall’Unione Europea negli ultimi anni (a partire dall’Atto unico del 1986) ha fornito nuovi spunti di teorizzazione agli studiosi di Scienza politica. Se fino a metà degli anni Ottanta erano gli esperti di Relazioni internazionali a dominare la riflessione sull’integrazione europea, successivamente si sono affiancati anche quelli di Politica comparata. Ciò ha senza dubbio contribuito ad arricchire e a rinvigorire il dibattito.
Domande quali: cos’è l’Unione Europea?, l’Ue è un sistema politico?, se sì, di che tipo?, lo si puoi paragonare ad altri sistemi?, quali sono le sue caratteristiche fondanti?, hanno trovato nuove risposte. Con le analisi di Relazioni internazionali che partono dal presupposto che l’Ue è un fenomeno di politica internazionale, e quelle di Politica comparata che invece in essa vedono prima di tutto un nuovo modello di politica interna.
Un recente saggio di Francesca Longo, docente di Politica dell’Unione Europea presso
La concezione neorealista
Come accennavamo, la prima parte si occupa delle teorie sull’integrazione europea. Inevitabilmente – perché tale corrente ha avuto la predominanza negli anni Sessanta e Settanta – ad aprire il capitolo è la concezione realista, e più specificatamente nella sua forma neorealista teorizzata da Kenneth Waltz nel 1979.
Com’è noto, questa prospettiva è statocentrica, e – a differenza del realismo – dà rilevanza anche al sistema, formato dalla rete di interazioni tra gli stati. I paradigmi e le variabili neorealiste hanno dato origine ad una serie di teorie che, dato che intendono l’Unione Europea come una struttura definita dalle relazioni di potere reciproche tra gli stati membri, sono state definite intergovernative.
Nota l’autrice che tali teorie «pur nelle differenze che le caratterizzano, hanno in comune la considerazione che le istituzioni dell’Unione non sono indipendenti, ma guidate dall’azione e dalle scelte degli stati membri e sono proprio questi ultimi che, contrattando i loro interessi, determinano l’evoluzione dell’integrazione in termini di riforme istituzionali e di contenuti delle policies».
Tra queste, ricordiamo in particolare quella di Joseph Grieco, che, conscio delle sfide lanciate al neorealismo dallo sviluppo dell’integrazione, ha rielaborato la teoria concludendo che l’Unione economica e monetaria è il prodotto di un negoziato tra stati concluso con lo scopo di ottenere benefici, con regole decise dagli stati in sede di conferenza intergovernativa al fine di consentire ad ogni governo di esercitare la propria influenza sui contenuti delle politiche (e quindi di perseguire il proprio interesse).
A Simon Bulmer, invece, si deve la domestic politics approach. Punto focale è che lo stato non è considerato un attore unitario: piuttosto si configura come un’arena nella quale agiscono forze sociali e politiche e agenzie di rappresentanza allo scopo di realizzare i propri fini influenzando il processo decisionale. Quindi, scrive
Questo tipo di analisi è stata ulteriormente approfondita da Andrew Moravcsik, il cui modello dell’intergovernativismo liberale si basa su due livelli: il primo è, appunto, quello della formazione delle preferenze interne (dove l’interesse nazionale emerge dal conflitto politico interno), che viene letto mediante la teoria liberale, mentre il secondo è quello europeo delle negoziazioni strategiche interstatali (caratterizzato dalla volontarietà – grazie al fatto che le decisioni fondanti, cioè le riforme dei trattati, sono prese all’unanimità – e l’abbondanza di informazioni di cui dispone il singolo stato). Analizzando i due livelli, Moravcsik conclude che il processo di integrazione ha rafforzato lo stato, sia nei confronti del sistema internazionale sia dell’arena politica nazionale.
La prospettiva neofunzionalista
Un altro filone è quello che fa capo alla teoria pluralista. Tale prospettiva nasce verso la metà degli anni Sessanta, in seguito alla comparsa di due fenomeni nuovi sulla scena internazionale: la nascita di numerose organizzazioni internazionali e la crescita di rilevanza di alcuni attori non statuali nell’elaborazione delle politiche globali. Ciò dimostra la perdita da parte degli stati del monopolio delle decisioni: l’Unione Europea quindi è uno dei soggetti che partecipano all’erosione del potere e dell’autonomia decisionale degli stati.
All’interno di questo filone un posto importante occupa il neofunzionalismo, che, evidenzia l’autrice, ancora oggi è considerato l’approccio teorico che ha guidato la strategia politica dei padri fondatori.
Infatti,
Molto importante in questa teoria è lo spill-over (travaso), un meccanismo che si attiva quando una politica integrata si espande per raggiungere i risultati ottimali che si erano identificati come fine originario. Leon Lindberg ha definito lo spill-over come un processo ove «una data azione, relativa ad un obiettivo specifico, crea una situazione nella quale l’obiettivo originario può essere assicurato solo mediante ulteriori azioni che a loro volta creano la necessità di ulteriori azioni, e così via». Il neofunzionalismo sostiene che, affinché tale meccanismo produca integrazione, deve esserci una specifica domanda in tal senso di gruppi sociali interessati.
Anche le istituzioni sovranazionali che sono state fondate per gestire i settori integrati assumono un ruolo fondamentale in questa analisi: esse, infatti, sviluppano interessi istituzionali sulla base dei quali mirano ad espandere l’integrazione, per poter aumentare il loro potere e il loro ruolo nel contesto istituzionale.
La posizione istituzionalista neoliberale
Il sistema globale contemporaneo è caratterizzato da una forte interdipendenza, che erode l’autonomia degli stati, in quanto questi subiscono le conseguenze dei processi politici ed economici internazionali, e che rende inefficienti le politiche statali. Per questo motivo, gli stati danno vita a forme di cooperazione per fornire risposte collettive ai problemi che interessano tutti gli attori del sistema, e costituiscono i regimi internazionali, definiti da Stephen Krasner «insiemi di principi, norme, regole, procedure decisionali attorno ai quali convergono le aspirazioni degli attori in una data area tematica». È questo il punto centrale del pensiero degli istituzionalisti neoliberali.
Di conseguenza, anche l’Unione Europea è un regime creato dagli stati per rispondere alle sfide del sistema globale.
Il problema – nota
Fritz Sharpf, infatti, sostiene che i modelli e le caratteristiche delle scelte politiche compiute dagli attori che detengono il potere decisionale nell’Ue è determinato dall’assetto istituzionale in cui operano. Per dimostrare questa sua ipotesi, lo studioso effettua un’analisi comparata tra il sistema politico dell’Ue e il sistema federale tedesco, rilevando come in entrambi il particolare tipo di federalismo che li caratterizza crea una relazione tra il livello del governo centrale e quello degli stati federati basato sulla cooperazione costante. Non solo. L’assetto istituzionale è strutturato affinché possa garantire l’equilibrio dei poteri tra i due livelli, grazie a due regole basilari: la diretta dipendenza delle decisioni del livello centrale dall’accordo dei governi membri del sistema e la necessità che questo accordo sia unanime o quasi unanime.
L’autrice evidenzia subito però la debolezza attuale della tesi di Sharpf: «è stata elaborata alla fine degli anni Ottanta in un periodo in cui l’unanimità nelle votazioni del Consiglio dell’Unione era di fatto utilizzata per la maggior parte delle politiche di competenza dell’Unione». Con le successive riforme di Maastricht, Amsterdam e Nizza, la regola dell’unanimità è stata riservata ad un numero limitato di politiche, mentre quella della maggioranza qualificata è diventata la regola generale di voto.
Ma allo stesso tempo, prosegue
In conclusione di questa prima parte del saggio, a cui abbiamo riservato questo nostro articolo, l’autrice si concentra anche sulla prospettiva del regionalismo internazionale e sulla questione della international actorness.