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Anno III, n° 17 - Gennaio 2009
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Civiltà letteraria (a cura di Anna Guglielmi) . Anno III, n° 17 - Gennaio 2009

Zoom immagine Dall’Africa, un canto di dolore carico di speranza
di Anna Foti
Edizioni dell’arco presta i caratteri a una poesia vibrante e coraggiosa
che tramanda e riscatta profonde ferite inferte dal pregiudizio razziale


L’Africa è il cuore di un mondo aggredito dalla Storia e impoverito dall’uomo. Al contempo, essa è un continente sconfinato e immenso in cui, come sottolineò Alberto Moravia, la natura ancora domina l’uomo e non viceversa, in cui si muore di fame e di Aids e dove infuriano tuttora decine di guerre.

La poesia, con il suo coraggio e la sua forza, non si tira indietro e racconta, con i versi e la musicalità che le sono propri, il solco lasciato in eredità dalla schiavitù e dal barbaro colonialismo, il dramma della miseria, la ferocia dell’apartheid e la tenacia del nuovo inizio. «Il 16 giugno a Soweto / l’Apartheid ordina il fuoco / contro i fanciulli armati solo / della loro fratellanza affamata di futuro. / Bilancio: centinaia di morti / e questa poesia insorta!» (Gli arcangeli della mezzanotte australe di Jean-Blaise, Bilombo-Samba – Repubblica popolare del Congo, vol. I). La poesia è, dunque, canto di denuncia e liberazione dall’oppressione, inno di speranza per un futuro di cambiamento, monito per costruire piuttosto che distruggere, unire piuttosto che dividere.

Nel panorama poetico italiano, non avvezzo a liriche ambientate nel mondo cosiddetto in via di sviluppo, ma che forse dovremmo più correttamente definire “defraudato” di tale possibilità, trova spazio la raccolta in cinque volumi – dei quali, in questa sede, si pone attenzione sui primi tre – dal titolo Poeti Africani Anti-Apartheid (Edizioni dell’arco, vol. I, pp. 128, € 6,90; vol. II, pp. 96, € 6,90; vol. III, pp. 112, € 6,90). Uno scrigno che alterna vivaci sprazzi di colore e profondi fasci di ombra per raccontare un dolore che non potrà essere mai completamente guarito, ma solo alleviato. «Sul cammino della lotta / che rinsalda l’Amore // […] Il sacrificio della loro vita / fa sperare la razza nera / che vi sia Amore dopo la morte» (A una madre di Soweto di M. Brigitte Yengo – Repubblica popolare del Congo, vol. I). Il dolore di una terra che ha conosciuto la penetrante spaccatura della segregazione razziale e ha vissuto la lacerante ferita della discriminazione. Piaga, questa, che si ripropone anche ai giorni nostri e nell’Occidente sotto il manto mistificatore del pregiudizio, della paura per la diversità e della sua demonizzazione, laddove si ergono barriere e si costruiscono muri. Una ferita al cospetto della quale la poesia riscopre, attraverso la penna di chi la porta scolpita nel cuore e nell’anima, la propria vocazione consolatoria che mai scade nella mera rassegnazione, ma sempre arde di libertà e speranza. «Sugli aridi sentieri / della dura libertà. / Dal fondo della mia prigione / allungo la mano / per costruire un mondo / solidale, che dica ciò che è essenziale / che porti agli uomini / che esprima l’Uomo» (Ai morti d’Africa di Joseph M. Tala – Camerun, vol. II).

 

Custodi di una memoria dolorosa in nome del riscatto

L’apartheid (“separazione” in lingua afrikaans), politica di segregazione razziale istituita dal governo di etnia bianca del Sudafrica nel dopoguerra e protratta fino al 1990, è stato proclamato crimine internazionale da una convenzione delle Nazioni Unite istituita nel 1973 ed entrata in vigore nel 1976 (International convention on the suppression and punishment of the crime of apartheid). Recentemente è stato inserito nella lista dei crimini contro l’umanità perseguibili dalla Corte penale internazionale.

La raccolta Poeti Africani Anti-Apartheid attesta, dunque, la peculiare capacità della poesia di raccontare la Storia, traducendone in versi anche le pieghe più scomode e nascoste. Un viaggio nelle tensioni solo trasformate col tempo, ma mai autenticamente sopite. E in questo percorso accidentato spicca la figura di Nelson Mandela: presidente del Sudafrica, distintosi per il suo impegno contro l’apartheid e testimone della dignità di un popolo. Condannato da un tribunale segregazionista nel 1963 e recluso per 27 anni, egli fu protagonista della ricostruzione avvenuta anche attraverso la Commissione per la verità e la riconciliazione istituita nel 1995 per volere suo e dell’arcivescovo Desmond Tutu. Tale delegazione, in occasione di centinaia di pubbliche udienze in tutto il territorio del paese, pose 21.800 vittime e 1.163 carnefici le une di fronte agli altri, per denunciare i crimini commessi dal regime in nome dell’apartheid. «Orfano di gioia / di pace, di pazienza / di soddisfazione e di consolazione / Orfano di felicità / La mia anima ed il mio cuore si raggomitolano / languendo nel mio corpo / d’uomo che rivendica la libertà umana e ne sa quanto vale / La libertà dell’uomo / Sono orfano di te Mandela» (Libertà inno d’iniziazione di Djonkounda Niakate – Mali, vol. III). L’ex presidente del Sudafrica e Premio Nobel per la Pace, da poco novantenne, incarna ancora l’ideale di una lotta che il dramma di questi versi dimostra persa per il tanto sangue versato, ma senza la quale ancora oggi si correrebbe il rischio di parlare di apartheid solo come di una tragica parentesi senza traccia nella storia del Sudafrica. Una lotta che, le stesse poesie lo dimostrano, può e deve diventare una risorsa per le nuove generazioni. «Piove sempre la stessa pioggia… / Le lacrime degli schiavi dell’Africa / No è l’Africa degli Antenati / che piange la schiavitù dei suoi figli» (Il pianto dell’Africa di Armand Yampoule – Repubblica Centroafricana, vol. II).

Amarezza e dolcezza, colori e ombre per un racconto fuori dai luoghi comuni di una delle pagine più vergognose del colonialismo. Una produzione poetica di rilievo che, seppur conferma la verità storica e incontrovertibile di un’appropriazione indebita di risorse e ricchezze che impunemente ancora perdura, testimonia anche la resistenza e la rinascita delle coscienze, degli animi e della parola, al servizio dello spirito che intenda librarsi e che, tenace e coraggioso, come un fiore risorge nei versi dei poeti nati e cresciuti in quella terra. «Nel mio paese tutto appartiene ad altri […] / Ed alla fine mi alzo in piedi col pugno rosso di collera / perché mi si dica qual è la mia condizione sociale. / Selvaggio! Mi si grida in faccia. / Scuoto il capo senza odio. / L’ultima parola mi appartiene» (Tempo e sangue di Diallo Faleme – Senegal, vol. III).

 

Anna Foti

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 17, gennaio 2009
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