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Anno I, n° 1 - Settembre 2007
I perché del flop dell’ipertecnologico videofonino
di Clementina Gatto
Teoria e storia del “telefono con le immagini”. Per conoscere meglio
il mezzo più sognato dalla letteratura e meno amato dal pubblico
In un libretto snello e di facile lettura (Il videofonino. Genesi e orizzonti del telefono con le immagini, collana Meltemi.edu della Meltemi, pp. 216, € 18,50), gli autori Luciano Petullà e Davide Borrelli indagano il fenomeno “videofonino” a trecentosessanta gradi, delineando contemporaneamente il panorama attuale dei mezzi di comunicazione di massa, per consentire ai lettori di capire da quali esigenze e per quale pubblico nasce questa nuova generazione di telefonia mobile.
A partire dalla storia del mezzo in questione, che ha visto alternarsi euforie e fallimenti, la riflessione prosegue con un’ampia analisi semiotica e sociologica in cui lo sguardo degli studiosi si proietta in un futuro immaginario, per scoprire quale ruolo potrà ricoprire il (non più) nuovo strumento una volta superate le ultime resistenze opposte da quella fetta di pubblico che sente l’apparecchio troppo invadente.
In una società in cui l’immaginario collettivo è messo in scena da media che, come internet e la televisione, alternano un repertorio preconfezionato di contenuti spettacolari alle immagini ed ai sentimenti rubati direttamente dai luoghi privati e dalle vite della gente comune, si attende di capire se la tendenza al voyeurismo sarà rovesciata, con un decisivo rifiuto del nuovo mezzo, o confermata, con la spettacolarizzazione definitiva dei volti e delle voci dei nostri contatti quotidiani.
Il videofonino dalla fantascienza alla realtà: un esordio difficile
Il mondo occidentale è un gigantesco teatro in cui i collegamenti creati dai mezzi di comunicazione di massa consentono a tal punto l’azzeramento delle distanze da consentirci, senza difficoltà, di condividere eventi e situazioni del quotidiano con le persone lontane e darci l’effettiva possibilità di soddisfare molte esigenze a condizioni impensabili fino a pochi decenni fa. E il quadro, dato il progresso della tecnica e, neanche a dirlo, la rapida circolazione delle idee, si modifica intorno a noi a velocità esponenziale. Questa fetta di umanità, oggi, sorride di fronte alle descrizioni futuristiche di alcuni film, visionari per l’epoca in cui sono usciti; ed è su quelle pellicole che hanno fatto la loro comparsa i progenitori del videotelefono, col “telefonoscopio” di Albert Robida in Ventesimo secolo (1883), il “fonotelefoto” del racconto di Jules Verne La giornata di un giornalista americano (1889) o ancora il “foto-telefono” di cui parla Victor Appleton nel libro Tom Swift and his Photo Telephone (1914), senza dimenticare il ”picturephone” di Stanley Kubrick (2001 Odissea nello spazio).
Ma la vera storia del videofonino inizia quando, in occasione di una fiera internazionale tenutasi a Seattle, l’At&t (American telephone and telegraph company) presenta l’apparecchiatura, effettivamente denominata picturephone, e installata per l’occasione in varie cabine telefoniche distribuite lungo i percorsi della mostra. Era il 1962 e, da quel momento fino alla reale commercializzazione del prodotto, passano solo due anni: sono investite somme da superenalotto per offrire un servizio che prometteva di regalare «un’inestimabile sensazione di vicinanza e intimità». Ma per gli utenti, in realtà, il prezzo sarebbe stato piuttosto alto: quindici anni dopo, il telefono con le immagini registra una prima sconfitta.
Le ragioni del flop rilevate dagli autori non sono riferite solo alla spesa che si richiedeva agli utenti per la nuova tecnologia: come sempre accade, sulla scorta dei primi, pochi ma entusiasti fruitori, i prezzi sarebbero calati e il servizio si sarebbe allargato. Il motivo reale è più profondo e risiede in una dimensione più vicina alle persone, nel contesto quotidiano: il pubblico era pronto per questo modo di comunicare? Così come ogni rivoluzione, in qualunque campo si verifichi, è figlia del suo contesto – perché preparata da precise condizioni culturali, politiche, storiche – allo stesso modo la storia di ogni mezzo di comunicazione di massa si aggancia a quello che l’ha preceduto, di cui rappresenta l’evoluzione, il tassello mancante in risposta a nuove esigenze. Così è stato per la radio, di cui è figlia la televisione o, ancora prima, per la lanterna magica e il cinematografo.
Una situazione del genere si è verificata anche per il cellulare e il videofonino: la rapida circolazione del telefono mobile ha reso necessaria la creazione di protocolli comuni che rendessero possibile l’uso del mezzo in aree a copertura sempre più vasta; i paesi coinvolti hanno predisposto adeguamenti progressivi, per restare al passo con le tecnologie sempre più sofisticate (dal primo telefono analogico, il Dyna-Tac al 2005, anno del pieno decollo delle reti wireless, infatti, sono trascorsi solo 32 anni), passando anche attraverso la creazione di standard di transizione. Il perfezionamento progressivo della tecnologia ha consentito di sviluppare un potenziale sempre più elevato, che ha portato alla creazione dei primi prototipi del telefono con le immagini. Tuttavia, all’ingente spesa dovuta alla creazione delle autostrade dell’informazione, ha fatto seguito quella dovuta alla costruzione delle infrastrutture tecniche per realizzare l’effettivo servizio. E, in questo lasso di tempo, si è creata una grossa forbice tra il traffico mobile e le reti fisse. Queste ultime, infatti, perfezionandosi a loro volta attraverso l’introduzione della fibra ottica, hanno reso possibile lo smaltimento di una grossa fetta del traffico telefonico.
Ai costi di utilizzo, dunque, si è aggiunto un secondo fattore penalizzante: la rapidità con cui si modifica in questi anni il quadro tecnologico non ha trovato un’adeguata corrispondenza nell’evoluzione dei costumi, tale da generare il bisogno del nuovo mezzo nel pubblico dei potenziali acquirenti. Ecco perché, come tutti sappiamo, il videofonino oggi è uno strumento estremamente duttile, protagonista di quella ibridazione multimediale che lo ha reso appetibile ad un pubblico differenziato, che può decidere di acquistarlo e utilizzarlo per soddisfare più di un’esigenza, tra le quali può non essere mai contemplata la videochiamata.
I mass media e la corporeità
Se da un lato la società con i suoi bisogni detta le regole del mercato, d’altro canto la storia delle persone è intimamente legata alle possibilità che i mezzi di comunicazione di massa realizzano, nei termini di una nuova concezione dello spazio e del tempo. La riflessione degli autori, nella seconda parte del libro, ci costringe a rivedere il nostro rapporto con la corporeità, che è esteriorità invadente, predominante, narcisistica e, contemporaneamente, virtualità, immaterialità ricca di simbolismi. Il rapporto spazio-tempo è stato forzato e modificato più volte nel corso della storia grazie ai mezzi di trasporto delle informazioni; inutile ribadire che è sempre crescente il potenziale che si attende di realizzare in tempi sempre più brevi. Ma che ruolo rivestono i nostri corpi in questo scenario? La ricerca tecnologica è tanto più affascinante quanto più riesce a creare attraverso i media delle appendici ai nostri corpi, potenziando il nostro universo sensoriale: il telefono ci regala delle orecchie grandi e, più della radio e della televisione, è quanto mai indispensabile perché consente di scambiare contenuti quotidiani con persone amate e lontane. Nello stesso tempo, finora, il telefono ha salvaguardato la nostra intimità, consentendoci di scambiare informazioni anche con persone “lontane” da un punto di vista affettivo, senza mostrare loro la nostra immagine. L’immagine è sempre stata appannaggio del cinema o della televisione, interfacce ”one-to-many”, come si dice in gergo, in cui il prodotto trasmesso ai destinatari è pianificato, confezionato, lungamente selezionato da quell’unico emittente. L’immagine offerta da questi media, dunque, non è casuale, ingenua, neutrale: è “mediata” ma non immediata.
La faccia dell’interlocutore telefonico tout court, invece, è «sineddoche della persona», in cui ciascuno racchiude la propria identità, la propria interiorità (il “volto”, per il sociologo Erving Goffman) oltre che una «piattaforma esposta alla visibilità pubblica» (e in questo senso detta “viso”).
A fronte di tali considerazioni, gli autori suggeriscono di non sottovalutare la portata innovativa della videocomunicazione, che può invece creare un nuovo linguaggio prodotto dal potenziamento della percezione umana attraverso la tecnologia, un prodotto umano ma anche un grande bacino di conoscenza.
Clementina Gatto