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Anno III, n° 17 - Gennaio 2009
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Problemi e riflessioni (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno III, n° 17 - Gennaio 2009

Zoom immagine La seconda vita del
«chilometro più bello
d’Italia» e la battaglia
politica di Falcomatà

di Alessia Cotroneo
Il sindaco della “Primavera di Reggio”
contro le Ferrovie. Da Città del sole


Nell’immaginario collettivo il Lungomare di Reggio Calabria è sempre stato la splendida balconata sullo Stretto che il poeta Gabriele D’Annunzio definì «il chilometro più bello d’Italia». Ma in realtà pochi sanno che in quei quattro chilometri di passeggiata a mare, tra alberi monumentali e palazzi in stile liberty che guardano verso la sponda messinese, si è giocato un lungo braccio di ferro a distanza tra il sindaco reggino  Italo Falcomatà e i vertici delle Ferrovie dello Stato. La vicenda del risanamento del Lungomare (intitolato oggi proprio alla memoria del compianto sindaco) devastato dal punto di vista ambientale, paesaggistico e architettonico dai lavori per il raddoppiamento del binario sulla tratta Reggio Calabria-Villa San Giovanni, è una pietra miliare degli ultimi trent’anni di storia cittadina, una vera e propria epopea, ricca di colpevoli ritardi. E Pino Toscano ne Il mare rubato. Falcomatà contro il Padrone delle Ferriere (Città del sole edizioni, pp. 110, € 12,00) la racconta con l’ironia che da sempre contraddistingue i celebri articoli di “Pitos” su La Gazzetta del Sud.

Un approccio prettamente giornalistico e uno stile fine e personalissimo, elegante e pungente al tempo stesso, contraddistinguono questo libro in cui il binario dell’inchiesta e quello del ricordo si saldano in un connubio riuscito di poetico e prosaico. Ma Il mare rubato è molto più di un’inchiesta: è l’affresco al vetriolo di uno dei capitoli più controversi degli ultimi anni di storia reggina e conserva intatto il fascino del ricordo e la voglia di riscatto che si respira ancora oggi in città. Sono passati esattamente trent’anni prima che venissero riparati i danni arrecati. Trent’anni di menzogne e accordi siglati per poi essere sconfessati, di gare d’appalto farsa, di corse al ribasso dei finanziamenti e fughe notturne dai cantieri. Nel frattempo la città intera attendeva trepidante l’abbattimento della “cortina di ferro” che la separava dal suo mare, in un clima di risentimento generalizzato che alimentava ancora di più il mito dell’ingiustizia perpetrata dallo stato ai danni della città della Fata Morgana. Dopo il capoluogo regionale, infatti, Reggio perdeva anche il suo celebre affaccio a mare. Dal groviglio di emozioni ed eventi che agitarono quegli anni tormentati è nata la saga del mare “rubato”.

 

Dal «fantasma dell’opera» all’«opera fantasma»: l’arroganza delle Ferrovie e l’inerzia della classe dirigente del tempo

È il 1971 quando le Ferrovie dello Stato deturpano il Lungomare reggino con il raddoppiamento del binario sulla linea ferrata Reggio-Villa. L’opera distrugge la celebre passeggiata a mare, da secoli biglietto da visita della città, e la sostituisce con un fossato che per trent’anni separerà Reggio dallo Stretto. Ma all’immediata assunzione di responsabilità da parte dell’ente non segue alcun tipo di intervento di risanamento e il principio del «chi rompe paga» sembra passare sotto silenzio. Il fantasma dell’incompiuta ha sempre aleggiato su un’opera che per decenni è esistita soltanto sulla carta, tra progetti miliardari e fantomatici fondi, pronti all’occorrenza a sparire e ricomparire rapidamente.

Passano anni, e della riqualificazione del Lungomare non si vede neppure l’ombra. Solo cantieri permanenti semi-abbandonati, belle parole e finanziamenti elargiti col contagocce. E poi il bluff si sgonfia da solo: negli anni Novanta le Ferrovie annunciano che non ritengono la riqualificazione della passeggiata a mare un intervento prioritario e non intendono destinargli fondi, tutt’al più “offriranno” alla città il progetto. Fine della storia. Sarebbe veramente finita così se Italo Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria dal 1993 al 2001, nel bel mezzo del suo secondo mandato, non avesse preso in mano la situazione, scegliendo, nel 1998, di avviare un’azione giudiziaria contro «il Padrone delle Ferriere», come lo ha ribattezzato, con un’ironia intrisa di polemica, l’autore.

C’è voluta la sua fermezza affinché venisse posta la parola fine a una vicenda che si trascinava ormai da troppo tempo. Ancora una volta, dopo la battaglia contro la ’ndrangheta (che gli è valsa minacce di morte recapitate attraverso missive con proiettili e macabri resti di animali abbandonati davanti al portone di casa) e l’impegno per sbloccare i fondi del “Decreto Reggio” (in origine 600 miliardi di lire stanziati dal decreto-legge n°166 dell’8 maggio 1989 dal titolo “Interventi urgenti per il risanamento e lo sviluppo della città di Reggio Calabria”), il sindaco più inquisito e assolto d’Italia ha saputo mettere le ragioni della città davanti agli interessi di terzi, decretando l’inizio della «Primavera di Reggio», la stagione della speranza e del rinnovamento del volto urbano.

Da questo momento inizia la narrazione di Pino Toscano, che ha accompagnato appassionatamente il sindaco nella sua battaglia. Il giornalista mette a nudo con la sua penna pungente la cattiva fede dell’ente ferroviario e la cecità dei politici locali che si sono succeduti fino ad allora. Innanzitutto rivela che il progetto dell’intubata che ha deturpato il Lungomare è stato falsato fin dall’inizio: solo a conclusione dell’opera si scoprirà che il livello della costruzione è ben più alto della via marina. Poi rende note le previsioni di spesa ad andamento altalenante. Le Ferrovie sono partite destinando alla riqualificazione 14 miliardi che, nel corso degli anni, sono saliti a 86, sono scesi a 45, si sono impennati fino a 217, sono stati ritoccati a 131, sono precipitati fino a 40 e si sono assestati definitivamente a quota 13 miliardi. Una girandola di cifre roboanti in cui si è passati in più di un’occasione per lo zero. Senza contare i finanziamenti fasulli, gli incredibili errori progettuali e le gare d’appalto truccate che si sono susseguite in questa incredibile «commedia degli inganni». Di tutto questo e altro ancora l’autore parla per la prima volta nell’inchiesta lunga undici puntate pubblicata da La Gazzetta del Sud, vero e proprio “J’accuse” mediatico contro la sfrontatezza delle Ferrovie dello Stato e la politica sciagurata della vecchia classe dirigente locale debole e disimpegnata, «sempre pronta a porgere l’altra guancia e a tendere la mano in attesa del gesto di generosità del Grande Elemosiniere ferroviario». In questa atmosfera surreale di «allegra indifferenza» o peggio ancora di «complice silenzio» dipinta dall’autore, si è aperta una ferita viva e sanguinante nel volto della città, la cui reale portata si è compresa a pieno solo da qualche anno.

 

«Il francescano di ferro» contro «il Padrone delle Ferriere»: Falcomatà avvia l’azione giudiziaria contro il colosso ferroviario

La vicenda del Lungomare di Reggio Calabria è legata a doppio filo alla personalità politica di Falcomatà, considerato ormai il sindaco per antonomasia dei reggini. L’impegno, la tenacia e il carisma profusi nel corso della guerra dichiarata dalla sua amministrazione al colosso ferroviario gli hanno valso l’affetto incondizionato e apartitico della cittadinanza che, a pochi anni dalla morte, per mano della nuova giunta comunale, ha voluto intitolargli il Lungomare. L’autore lo sa bene, e non è il solo. Walter Veltroni nella Prefazione riconosce la grandezza di quest’uomo, l’unico sindaco reggino ad aver ottenuto la vittoria in tre tornate elettorali. Il leader del Pd lo ricorda come un «professore mite e determinato, che svolse il “mestiere” del Sindaco senza indietreggiare di un passo nella sua battaglia in nome della legalità e del buon governo, nemmeno quando le minacce si fecero più forti, nemmeno quando la stanchezza e la sfiducia avrebbero fatto arrendere tante altre persone». E proprio l’opera encomiabile compiuta con il Lungomare è la testimonianza più alta della sincerità e della bontà del suo impegno. Per rilanciare l’immagine della città, per «innamorarsi di Reggio», come amava dire Falcomatà, occorreva innanzitutto restituirle l’affaccio a mare, abbattendo la linea ferrata e i successivi cantieri che hanno stazionato per decenni nella zona. Oggi come allora non era pensabile uno sviluppo turistico della città che non passasse per il risanamento di quella che i reggini chiamano abitualmente “via marina”. Falcomatà sapeva che il futuro della città si giocava a partire da lì e ha scelto di impegnarsi anima e corpo per costringere le Ferrovie alla riqualificazione, ben consapevole, tra l’altro, che non era più ammissibile che Reggio chinasse la testa davanti all’ennesimo affronto subito. Iniziano così i “pellegrinaggi romani” del sindaco, che ha impostato la sua azione politica su un doppio binario: quello dell’azione giudiziaria del comune contro le Ferrovie dello Stato, e quello della mediazione con i vertici dell’ente nel tentativo di evitare che il riassetto del Lungomare fosse stabilito dai tempi, notoriamente lunghi, della giustizia.

Tanta tenacia paga. Con il nuovo presidente delle Ferrovie dello Stato Claudio Demattè la rinqualificazione finalmente parte e il 20 luglio 2000 si svolge la cerimonia di consegna del primo tratto di Lungomare. Ma il sindaco non potrà godersi a lungo il successo meritato. Agli albori del nuovo millennio una valanga di avvisi di garanzia lo travolge e, non appena la giustizia riconosce ufficialmente la sua estraneità a tutti i fatti contestati, iniziano a manifestarsi i primi sintomi del male che lo strapperà all’affetto della famiglia e della città, ironia della sorte, a pochi mesi dal completamento dei lavori del Lungomare. Quest’opera è diventata il simbolo della sua completa dedizione alla causa di Reggio e il libro di Pino Toscano intende fissarlo nella memoria collettiva. Non a caso, nella nota introduttiva dell’autore si legge: «Ho scritto questo libro perché ritengo giusto che i reggini non dimentichino mai, quando passeggiano per il Lungomare nelle splendide notti d’estate, che sotto quelle piastrelle c’è il sudore e l’amore infinito di Italo per la sua città».

 

Lungomare parte seconda: il Regium Waterfront

L’autore dedica l’ultima parte del libro ai nuovi progetti, perché il rilancio dell’area del Lungomare intrapresa dall’amministrazione Falcomatà è proseguito con la giunta di centro destra capeggiata da Giuseppe Scopelliti che, al pari del defunto sindaco, ha potuto contare su un vastissimo consenso popolare. Nel 2006, dopo un iter di oltre quindici anni, viene approvato in via definitiva il progetto del Parco urbano lineare dell’area sud che prevede il prolungamento del Lungomare fino alla foce del torrente Sant’Agata. Questo tratto assumerà la fisionomia di un parco urbano, con boschi litoranei, giardini tematici e strutture turistiche, ludiche e ricreative. L’intento è quello di consolidare il legame della città con il suo mare, ma anche quello di arrestare l’erosione delle coste che continua nonostante la capillare diffusione di barriere frangiflutti che sfigurano il litorale. Contemporaneamente l’amministrazione comunale bandisce un concorso internazionale per la progettazione del waterfront cittadino. L’esito lascia a bocca aperta: vince il progetto di un architetto di fama mondiale, l’irachena Zaha Hadid, chiamata a ridisegnare il fronte litoraneo per lo sviluppo di attività turistiche, direzionali, terziarie, artigianali, complementari e integrate con le attività del porto di Gioia Tauro.

Il progetto è animato dalla volontà di assecondare e esaltare le bellezze paesaggistiche con edifici dalle linee morbide, che non superino i quindici metri d’altezza per non oscurare il panorama. Ma c’è di più: l’obiettivo è quello di allungare ulteriormente il Lungomare attuale, portandolo dal porto fino alla stazione centrale. A sancire i nuovi confini, ai capi opposti della passeggiata a mare, sorgeranno due opere-simbolo: il Museo del Mediterraneo e il Centro polifunzionale. Il primo avrà una forma che richiama dall’alto una stella marina stilizzata e ospiterà al suo interno anche un acquario; il secondo, invece, sarà realizzato su una darsena artificiale e avrà un ruolo strategico sul versante dei trasporti come stazione per le navette di collegamento veloce via mare, ma sarà anche un centro d’aggregazione con un auditorium, una piazza coperta e vari centri ricreativi e commerciali. Insomma, sembra che ancora una volta il futuro di Reggio passerà per lo Stretto. Certamente il rapporto tra la città e il suo mare è un rapporto complesso, di «amore non consumato» per dirla con Toscano. Chi conosce la sua storia sa quanto del suo fascino e delle sue sventure siano arrivate dalle acque antistanti: dalla cultura greca alle dominazioni straniere, dalla religione cattolica alle incursioni saracene, per non parlare dei maremoti che hanno cancellato le vestigia del suo glorioso passato. Ma nonostante tutto, non è pensabile separare Reggio dal suo mare, perché in questo rapporto secolare di amore-odio è possibile scoprire il volto più intimo e ammaliante di una città unica nel suo genere, esattamente come le acque in cui si specchia che per effetto del fenomeno ottico della Fata Morgana si confondono con terra e cielo in un gioco di specchi e visioni che ha ammaliato e continua ad ammaliare i viaggiatori di tutti i tempi.

 

Alessia Cotroneo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 17, gennaio 2009)

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