Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
Iscrizione al Roc n. 21969.
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza
n. 817 del 22/11/2007.
Issn 2035-7370.
Anno I, n° 1 - Settembre 2007
Sangue su Urbino cinquecentesca
una maledizione o un serial killer?
di Maria Ausilia Gulino
Forte intreccio tra pittura e scrittura:
la paura aleggia in un giallo Neftasia
Se è vero che i pensieri bui, a volte, si vestono di fascino e inquietudine, non può mancare un iter nella Urbino di fine Cinquecento, dove insieme a decadimento e miseria aleggiava nell’aria una strana maledizione che percorreva vicoli e strade. Anime invase nel profondo, sguardi lugubri, terrore trepidante, sospetto, ma non solo, sono inquadrati nel romanzo Rosso cupo di Anna Matteucci (Neftasia editore, pp. 112, € 13,00).
In questo periodo, in conseguenza al trasferimento della sede ducale a Pesaro, a farla da padrone sono decadenza e povertà. In tale clima accadono stranezze inspiegabili (almeno in un primo momento). Cosa inquieta le anime dei personaggi? A causare una serie di omicidi sarà una maledizione o dietro si cela un assassino in carne e ossa?
Partiamo dall’inizio. Le donne, al momento del matrimonio, ricevevano la dote da una confraternita, quella del “Corpus domini”. Essa rivestiva un ruolo importante e autorevole, inoltre, aveva il potere di commissionare per la propria componente religiosa dei lavori ai migliori artisti del tempo.
L’inconoscibile come possibile realtà
L’autrice è un’artista che ha frequentato lo studio d’arte del calcografo Leopoldo Ceccarelli e la bottega di Armando De Santi come decoratrice di maioliche istoriate. Questo lavoro sembra averla formata a tal punto che ha potuto realizzare un intreccio inscindibile di pittura e scrittura. Infatti, i suoi personaggi vivono dentro la trama di un affresco i cui temi sono densi di inquietudine, paura, sospetto e tetraggine.
Il testo è diviso in brevi capitoli caratterizzati da strofe iniziali seguite dalla prosa che descrive i fatti. Alcuni versi riprendono le vecchie filastrocche cantate dalle generazioni di qualche tempo fa, che in questo contesto, però, assumono un significato fosco e angosciante che, pagina dopo pagina, alimenta la curiosità di quell’accaduto.
Una può essere la chiave di lettura, che carpiamo direttamente dal testo: «esistono cose che non conosciamo, e perché non le conosciamo non possiamo dire che non esistono».
Ambiente e personaggi coinvolti nel “malvagio”
I campanili appuntiti delle chiese e delle pievi di color mattone fanno da sfondo all’ambiente conturbante. E tutti i personaggi delle storie e, quindi, le spose che preparandosi per il matrimonio si ritrovano invece pronte per le rispettive bare, si muovono tra gli splendidi dipinti di Federico Barocci e persino tra i capricci “funesti” del duca Guidobaldo.
In un clima dove «anche le cose migliori hanno un risvolto malvagio», il diavolo, che in genere viene visto come un’entità maligna a sé stante, è adesso considerato familiare, parte della vita comune di tutti. Questo, misto alle credenze cristiane e alle celebrazioni rituali, alimenta la lotta tra bene e male, dove a prevalere, questa volta, sarà (forse) il maligno.
Ma la festa del “Corpus domini” insieme a quella del protettore della città (S. Crescentino) rimangono gli avvenimenti più attesi dell’anno, ancor più in quel lontano 1565.
La paura delle cose soprannaturali potrebbe cedere proprio in quegli istanti liturgici…
Maria Gulino