
Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
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Direttore editoriale: Maria Ausilia Gulino
Monica Murano
Anno III, n° 17 - Gennaio 2009

al centro della cronaca
di Elisa Calabrò
Edizioni associate presenta un importante saggio
per parlare della storia del giornalismo impegnato
Il saggio di Letizia Magnani è uno studio approfondito e appassionante della storia di un duplice cambiamento: quello della guerra nell'epoca contemporanea, relativo alle modalità, alla durata, alle motivazioni e al peso politico dei conflitti attuali; alla percezione che si ha della guerra stessa in un'epoca, la nostra, di forte copertura mediatica di ogni aspetto della quotidianità. E poi il cambiamento del giornalismo di guerra, mestiere affascinante esercitato forse dagli «ultimi avventurieri», come Giovanni Gozzini definisce i cronisti inviati al fronte nella Prefazione al volume. Professione, quella del giornalista di guerra, utile e fondamentale per «comprendere» la realtà e disporre di strumenti necessari per vivere il nostro tempo in maniera più consapevole. Secondo l'interpretazione che Marc Bloch da del lavoro dello storico: «una parola domina e illumina i nostri studi: comprendere» e che l’autrice fa propria paragonando il cronista allo storico. C’era una volta la guerra… E chi la raccontava. Da Iraq a Iraq storia di un giornalismo difficile (Edizioni associate, pp. 570, € 26,00), è un libro, come detto, appassionante, e difatti, la parola che più spesso appare tra le motivazioni addotte dall'autrice stessa, come stimolo che l'ha portata ad affrontare un tema così vasto e così nuovo, è “passione”. Passione per la storia, passione per il giornalismo, passione per la conoscenza. Per condurre la sua ricerca sulla storia dei due cambiamenti succitati, l'autrice prende in esame un'epoca fortemente significativa: si va dalla guerra in Iraq del 1991 alla seconda guerra irachena del 2003. Ovviamente, pur restringendo il campo di studio a questo particolare periodo storico, la trattazione non rimane vincolata a ferrei paletti temporali. Come fa notare l'autrice, infatti, sarebbe assurdo iniziare a parlare del giornalismo di guerra in Italia dal 1991 senza considerare tutto quello che è stato scritto e detto prima. L'invio di contingenti militari italiani in Libano nel 1983, primo intervento italiano in un conflitto dopo la Seconda guerra mondiale, coincide con la “data di nascita” del giornalismo di guerra nostrano così come viene conosciuto tutt'oggi. È infatti in quell'occasione che le redazioni dei giornali italiane iniziano ad inviare sul fronte i loro reporter. Questa data rappresenta lo spartiacque per un nuovo modo di raccontare le guerre, per la creazione di una vera e propria macchina organizzativa che, da questo momento in poi, accompagnerà tutte le situazioni di conflitto per garantirne una copertura mediatica adeguata. È pur vero, comunque, che già dalla guerra del Vietnam, alcuni reporter italiani si erano occupati di scrivere reportage e articoli dal fronte.
Spunti scientifici e testimonianze dirette: analisi di una professione
Chi è il reporter di guerra? È colui o colei che conosce i confini del “Territorio Comanche”, il posto «dove non vedi i fucili, ma i fucili vedono te», usando un’immagine di Arturo Pérez-Reverte. Per andare oltre l'idea superficiale e, a volte, mitizzata che gran parte dell'opinione pubblica ha dell'inviato speciale, l'autrice approfondisce, con rigore scientifico e strumenti propri della ricerca sociologica, numerosi aspetti che caratterizzano la professione. Il libro è strutturato in due parti: nella prima, di impianto più strettamente saggistico, viene presentata la figura dell'inviato speciale – come ancora si chiama in alcune redazioni – e si illustra l'impianto metodologico della ricerca. Leggendo i dettagliati capitoli relativi alla descrizione della professione, si ha un identikit del cronista di guerra: chi è, che cosa fa, di cosa si occupa, a che serve, quanto costa, cosa porta in valigia. Viene sottolineata l'importanza di questo tipo di giornalismo come ottima lente di ingrandimento per comprendere non solo il concitato svolgersi degli eventi bellici, ma anche le cause e gli effetti della guerra moderna. I primi interrogativi da risolvere sono: “com’è fatto e a che serve questo tipo di giornalismo?”. All’inizio del volume viene riportata l’opinione di Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della sera, che prova a fare un quadro della situazione: «Il giornalismo di guerra fa parte della logica delle cose, è nella natura dell’uomo, non sta a noi giudicare se le guerre sono giuste o sbagliate, l’importante è raccontarle e dare ai nostri lettori le ragioni delle due parti». Questo tipo di professione ha al giorno d'oggi una funzione etica, oltreché essere veicolo di informazione, e l'autrice non ha timore di sottolineare come il suo stesso lavoro non possa essere scevro di un intento etico-politico. Il dibattito sul ruolo del giornalismo si fa molto interessante leggendo le opinioni di alcuni protagonisti che, nell’ottica anche di “smontare” il mito del giornalista al fronte come eroe, ne riconducono il valore etico all’impegno civico – che dovrebbe essere comune a tutti i cittadini, al di là della professione – di essere onesto, raccontare la verità e permettere ai lettori di formarsi un’opinione che sia il più possibile vicina alla realtà delle cose. La seconda parte del volume raccoglie notevoli testimonianze dirette di trentatré inviati – tra cui nomi di spicco del giornalismo italiano come Giovanna Botteri, Renato Caprile, Giulietto Chiesa, Tiziana Ferrari, Ettore Mo, Ennio Remondino, Bernardo Valli, Pietro Veronese – che hanno costruito la propria carriera come inviati di guerra e che raccontano, attraverso interessanti interviste, il loro punto di vista sulla professione; sui cambiamenti legati alle innovazioni tecnologiche, alla struttura dei media e alla funzione dell'informazione nella società; sulla loro esperienza personale e sul futuro del giornalismo di guerra. Altro prezioso contributo alla ricerca lo hanno dato alcuni esperti della comunicazione, Peppino Ortoleva e Fabrizio Tonello tra gli altri, il cui parere ha permesso di confermare o smentire i dati raccolti con le interviste. La voce di chi il mestiere lo fa veramente da anni permette di conoscerne le varie sfaccettature e di rendere queste figure più concrete e meno legate all’immagine avventurosa che è facile attribuirgli quando li vediamo fare le loro corrispondenze con i carri armati alle spalle o quando leggiamo i loro reportage da zone di conflitto pericolosissime. Su un dato i reporter intervistati sono d’accordo: per fare questo lavoro bisogna essere abbastanza capaci di vivere, anche per lunghi periodi, in condizioni disagiate ed avere l’abilità di affrontare situazioni rischiose. Una rappresentazione un po’ ironica è utile, però, a rapportare il mestiere del giornalista alla nostra vita di tutti i giorni, l’autrice l’ha raccolta da Bernardo Valli: «…anche i muratori che salgono su un’impalcatura rischiano. Anzi, rischiano molto di più. Ma essendo stata la guerra, nei secoli, un grande spunto epico, non del tutto sopito, neppure nell’Europa pacifista in cui viviamo, il cosiddetto corrispondente di guerra gode di un’immagine diversa dal muratore».
Un mestiere in crisi?
L'approccio scientifico del saggio, sviscerando diverse tematiche legate alla realtà giornalistica attuale, permette di comprendere come è cambiato il giornalismo e se è ancora “vivo” e utile. Grazie al contributo di vari cronisti ed esperti di media, l’autrice ha tentato di smentire quel che spesso, oggi, si dice a proposito del giornalismo in generale: con l’avvento delle nuove tecnologie di comunicazione, con la spettacolarizzazione dell’informazione e il flusso continuo di news in cui siamo ormai immersi, “il giornalismo è morto”. L’autrice inizia quindi a definire chi è questo professionista, usando un’immagine di Mimmo Candito secondo cui il giornalista è un mediatore che aiuta ad applicare alla realtà la mitologia, cioè «l’assunzione ideologica della rappresentazione». Ha poi approfondito alcune problematiche legate all’impresa editoriale che sta dietro ogni testata e che influenza, a volte in modo sostanziale, il lavoro dei reporter. Il giornale deve vendere, il telegiornale deve essere seguito dal più alto numero di spettatori possibili e allora il direttore editoriale deve essere in grado di rendere i contenuti di qualità anche contenuti popolari, affinché siano comprensibili ed interessanti per tutti. Un’attenzione particolare viene data ai nuovi media e al fenomeno di spettacolarizzazione del giornalismo che si fa assai evidente nel caso di quello di guerra. Soprattutto in questo settore, infatti, si è arrivati ad una costruzione mediatica degna degli studios hollywoodiani, con tanto di “conduttore della guerra” che direttamente dal fronte aggiorna sugli sviluppi del conflitto. Così capita che intere troupe televisive vengano spostate in zone di guerra e che l’inviato non sia sempre così “speciale”, ma sia semplicemente un buon conduttore, magari di bella presenza, che, però, non è sufficientemente informato sul contesto in cui è costretto a muoversi.
Provando a fare “l’avvocato del diavolo”, Magnani pone nelle sue interviste anche una domanda retorica alquanto “stuzzicante”: «e se il giornalismo di guerra non esistesse?». Si ritorna dunque all’utilità di quest’ultimo come strumento di comprensione sottolineando che il giornalista di guerra non esiste come specialista dei conflitti, ma esiste come esperto di esteri e di politica internazionale. Dal momento che, purtroppo di frequente, la politica estera degenera in conflitti, il giornalista deve coprire eventi di questo genere ed accumula così un’esperienza particolare sul fronte. L'autrice propone, inoltre, un'approfondita analisi dello strumento utilizzato come metodo d'indagine, ovvero l'intervista, presentando le varie forme e le diverse modalità di impiego di questo metodo investigativo.
I punti di forza della ricerca
Due sicuramente sono i tratti peculiari di questo volume: il tema trattato, che unisce in sé varie problematiche e che si pone come punto di partenza interessante per ulteriori approfondimenti; e il metodo di ricerca adottato, quello dell'intervista, che permette di utilizzare uno strumento che è proprio del mestiere del giornalista e che, allo stesso tempo, è il mezzo più utilizzato per la raccolta dati da chi porta avanti ricerche in ambito sociologico. Questi due elementi insieme danno al libro un importante taglio innovativo nell'affrontare un argomento che è stato poco trattato nella manualistica di settore e che è estremamente nuovo se consideriamo il periodo preso in esame. Ottimo strumento di analisi e di studio di una professione e di uno «spicchio di mondo», come l'autrice definisce l'ambito della sua ricerca, il libro va oltre il mero aspetto didascalico grazie alle voci dirette dei protagonisti pur se, a volte, affiora nel linguaggio il taglio accademico del lavoro. Va sottolineato sicuramente il merito della casa editrice Edizioni associate che ha pubblicato questo volume dal titolo eloquente C'era una volta la guerra... E chi la raccontava. Da Iraq a Iraq: storia di un giornalismo difficile, permettendo la diffusione di uno strumento di studio innovativo e completo e fornendo una bella opportunità ad una giovane autrice di proporsi al grande pubblico.
Elisa Calabrò
Elisa Calabrò, Mariangela Monaco, Maria Paola Selvaggi, Tiziana Selvaggi
Giulia Adamo, Lalla Alfano, Mirko Altimari, Valeria Andreozzi, Simona Antonelli, Marta Balzani, Claudia Barbarino, Valentina Burchianti, Paola Cicardi, Guglielmo Colombero, Francesca Commisso, Simona Corrente, Giulia Costa, Alessandro Crupi, Sebastiano Cuscito, Simone De Andreis, Marina Del Duca, Barbara Ferraro, Anna Foti, Maria Franzè, Annalice Furfari, Simona Gerace, Barbara Gimigliano, Valeria La Donna, Giuseppe Licandro, Anna Teresa Lovecchio, Rosella Marasco, Francesca Martino, Francesca Molinaro, Mariflo Multari, Paola Nuzzo, Sara Parmigiani, Anna Picci, Mariastella Rango, Marilena Rodi, Roberta Santoro, Marzia Scafidi, Fulvia Scopelliti, Alessandra Sirianni, Alba Terranova, Raffaella Tione, Filomena Tosi, Laura Tullio, Monica Viganò, Andrea Vulpitta, Carmine Zaccaro
Margherita Amatruda, Natalia Bloise, Pierpaolo Buzza, Elisa Calabrò, Rita Felerico, Daniela Graziotti, Anna Guglielmi, Maria Ausilia Gulino, Luisa Grieco e Mariangela Rotili, Mariangela Monaco, Monica Murano, Angela Potente, Francesca Rinaldi, Maria Paola Selvaggi
Elisa Calabrò, Guglielmo Colombero, Simona Corrente, Alessia Cotroneo, Marina Del Duca, Rita Felerico, Anna Foti, Eliana Grande, Daniela Graziotti, Maria Ausilia Gulino, Carmela Infante, Luigi Innocente, Luisa Grieco e Mariangela Rotili, Francesca Molinaro, Mariangela Monaco, Alessandra Morelli, Mariflo Multari, Monica Murano, Angela Potente, Roberta Santoro, Maria Paola Selvaggi, Silvia Tropea, Andrea Vulpitta