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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno II, n° 16 - Dicembre 2008

Zoom immagine Necessità della politica
e recupero della morale

di Mariangela Monaco
Città del sole pubblica un j’accuse passionale
sul fallimento della classe dirigente calabrese


Quando si vive in una regione arretrata, dove non c’è traccia di un serio sviluppo economico, e quindi non ci sono grandi opportunità di lavoro per i giovani, la maggior parte della gente, sconsolata e rassegnata, dà per scontato che l’unico modo per farsi una vita è andare via. Effettivamente, è difficile dare loro torto, soprattutto quando la classe politica che governa quel territorio non solo non si attiva per porre rimedio a tale drammatica situazione, ma si chiude in se stessa, preda di un istinto di autoconservazione moralmente deprecabile e tessitrice di tele clientelari.

La regione di cui parliamo è la Calabria. E questa è una faccia della medaglia.

Quando si vive in una regione arretrata, dove non c’è traccia di un serio sviluppo economico, e quindi non ci sono grandi opportunità di lavoro per i giovani, la maggior parte della gente, sconsolata e rassegnata, dà per scontato che l’unico modo per farsi una vita è andare via.

Sebbene la libertà di scelta sia un diritto sacrosanto, tale scelta è da considerarsi, perlomeno nella misura in cui implica un totale distaccamento della terra natia, errata: se tutti ragionano così, quella regione sarà condannata all’arretratezza per chissà quanti anni. Bisognerebbe, anziché subire passivamente la situazione, attivarsi, e organizzare il proprio dissenso in forme di partecipazione miranti a tentare di cambiare lo status quo. Naturalmente un’iniziativa di questo genere ha lo scopo primario di spazzare via la principale malattia che condanna all’arretratezza quel territorio: la classe politica autoconservatrice e clientelare.

La regione di cui parliamo è sempre la Calabria. E questa è l’altra faccia della medaglia.

 

La necessità della politica: una regione che non può più aspettare

Si tratta, insomma, di non rassegnarsi: dalla consapevolezza dello stato drammatico in cui versa il proprio territorio deve nascere la forza di reagire. Salvatore Pistoia Reda, 24enne calabrese che conduce studi di Filosofia del Linguaggio presso l’Università di Siena, dopo aver delineato con lucidità la situazione, definita «d’emergenza», della Calabria, nello scritto Lettera ad un politico calabrese (e per conoscenza a tutti gli altri) (Città del sole edizioni, pp. 120, € 10,00) lancia il suo grido: «aver compreso la vera natura dell’arretratezza della Calabria, può costituire una fonte di ispirazione inesauribile ed un richiamo all’impegno irresistibile».

La Calabria non è una terra fuori dal mondo: solo l’ignoranza e la passività possono far credere questo. La Calabria è un sud del mondo: è una regione piena di potenzialità, capaci di dar vita a un vero progresso civile e culturale. Il problema della Calabria è che tali potenzialità – in primis le nuove generazioni – non hanno la possibilità di esprimersi, non riescono a fare sentire la loro voce. Nota Pistoia Reda: ho cercato la società civile calabrese, ma non l’ho trovata; ho scorto “solo” intelligenze vive, ma isolate, e per questo umiliate. Due esempi su tutti: la stagione dei girotondi, che ha animato l’Italia per oltre due anni, ha visto la Calabria assente. E dopo la strage di Duisburg, dopo che i media, specie stranieri, hanno dipinto la regione come una terra di mafiosi, chiunque si sarebbe aspettato una reazione della gente, una protesta, un affermare con forza la propria indignazione. Niente, niente di tutto questo.

Ma c’è un colpevole a ciò: è, come dicevamo, la classe politica.

Eppure, Pistoia Reda rivolge la sua lettera – la riflessione muove sotto forma epistolare, genere di immediata comunicazione, sebbene oggi non più diffuso come un tempo, particolarmente adatto allo scopo – a un politico: perché? Se la politica ha sbagliato, non è riuscita e non riesce a porre rimedio ai malanni regionali, forse dovremmo guardare altrove, si potrebbe pensare. No, sarebbe un errore.

La valvola del cambiamento è proprio la politica. Non si tratta di una contraddizione, come si potrebbe intendere a primo acchito. La politica è necessaria – o meglio: vi è una necessità della politica –, ma urge recuperarne una dimensione morale (e il mondo globalizzato porta con sé una richiesta di moralità), il suo significato genuino: si pensa un’idea, giusta o sbagliata che sia, e la si applica. Non rimane un insieme di parole sperdute nel vento. È questa una delle colpe più grandi della classe dirigente calabrese, ma non l’unica; scrive infatti l’autore: «la storia della nostra politica attesta del gravissimo fallimento cui ha condotto un modo vecchio e lacero di fare attività di governo: assenza assoluta di meritocrazia, clientelismo, immobilismo decisionale, impossibilità di ricambio generazionale delle classi dirigenti, particolarismo, becero campanilismo, incompetenza, incapacità progettuale e propositiva». Tutto quanto di più immorale possa esistere è racchiuso nella classe dirigente calabrese. Eppure «la politica non ha interessi da difendere, non è stata creata in difesa dei suoi averi e del suo potere, in reazione a qualcuno che stava per metterli a repentaglio: potremmo descriverla, invece, come un agente neutro. Nasce per evitare che gli interessi di pochi sovrastino e riducano ai minimi termini le possibilità dei molti».

La politica, poi, è, sostanzialmente, insopprimibile: è l’istituto attraverso il quale si prendono le decisioni di governo, secondo quanto stabilito dalle costituzioni nazionali. E i politici hanno una visibilità – che occasione! – per dimostrare alla cittadinanza che stanno rispettando il mandato elettorale concessogli. Se non lo stanno facendo, viene meno la base essenziale del loro essere in quello specifico ruolo.

Pistoia Reda si rivolge a un politico (e a tutti i politici locali) e mette mano alla sua coscienza: onorevole, la situazione è questa, è drammatica, e pare che non si possa andare oltre; bisogna darsi da fare, e quindi lei deve farsi da parte, se ha a cuore la nostra regione.

Ecco: il punto di partenza del cambiamento è aprire la strada a forme nuove di partecipazione, alle nuove istanze della società: non si tratta tanto di rinnovare la classe dirigente con giovani e donne, quanto di rinnovarla eliminando tutti coloro che hanno demeritato. Cioè quelli che governano adesso. Dopodiché, il mutamento arriverà da sé, quasi come naturale conseguenza. Difatti, la fatidica domanda “come avverrà il cambiamento?” è una questione che non interessa l’autore, perché nasconde in sé i germi della diffidenza, e denota quindi un approccio sbagliato.

Date alle immense potenzialità – culturali, sociali, intellettuali – della Calabria la possibilità di esprimersi. Date alla Calabria e alla sua gente la possibilità di ripensarsi. È questo il messaggio fondamentale del j’accuse, caratterizzato da una lucida e passionale analisi, di Pistoia Reda. Perché la Calabria non può più aspettare.

 

Luigi Grisolia

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 16, dicembre 2008)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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