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Anno II, n° 15 - Novembre 2008
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Civiltà letteraria (a cura di Anna Guglielmi) . Anno II, n° 15 - Novembre 2008

Zoom immagine Kitsch Hamlet, Abramo editore, il teatro come vita
di Simona Corrente
Una rivisitazione dell’opera shakespeariana per raccontare una realtà
fatta di violenze, di soprusi e ignoranza. Stereotipi o brutale attualità?


Una casa qualunque del Sud diventa per Saverio La Ruina, attore-scrittore, lo scenario ideale per narrare una storia fatta di soprusi “inconsciamente legalizzati”, di sottomissione della donna, di culti iconografici e di mera superstizione. Una realtà in cui non vi sono più valori morali, dove si è perso ogni rispetto per l’essere umano e l’interesse primario resta il soddisfacimento dei propri bisogni. In un presente così cupo, l’unico barlume di speranza per ristabilire un equilibrio familiare corrotto, maschilista e superficiale, è rappresentato dal tentativo del singolo, che si sforza ancora di ragionare e mettere tutto in discussione.

L’opera che racconta questo squarcio di un Sud stereotipato è Kitsch Hamlet (Abramo editore, pp. 76, € 5,00), una commedia teatrale portata sul palcoscenico del Teatro Vascello di Roma nell’aprile del 2004 dalla compagnia teatrale di cui lo stesso La Ruina fa parte, Scena verticale. Una pièce che ha sì una forte componente comica scaturita dai rudi dialoghi dei protagonisti, ma al tempo stesso, se non con maggiore risalto, una base assolutamente tragica che si svela quasi al calar di sipario e che lascia il lettore-spettatore con un sorriso amaro sulle labbra.

Partendo dal classico shakespeariano, La Ruina elabora nel suo testo teatrale una storia grottesca e in alcuni aspetti lenta: lenti sono i personaggi, pigri nel loro non far nulla; lenti sono i dialoghi con picchi di discussioni quasi violente che si spengono rapidamente; lento è lo scenario in cui la commedia è ambientata, una casa popolare in un paese indefinito della Calabria dove il tempo sembra essersi fermato.

Una rappresentazione che riprende, sottolinea ed esaspera la desolazione dell’uomo contemporaneo, l’uomo-massa emblema del «degrado dei valori e il trionfo del consumismo alimentato dai falsi miti che la nostra peggiore televisione sputa ogni giorno», per citare le parole di Mariateresa Surianello che ha curato la Prefazione.

 

Fotografia dei vizi umani

Protagonista della commedia, come dell’opera shakespeariana, è Amleto che nel testo di La Ruina però non si palesa mai sulla scena. Il lettore-spettatore ne percepisce la presenza per via dei riferimenti che di volta in volta fanno i personaggi: Amleto rappresenta il “diverso”, la causa del turbamento dell’equilibrio familiare. Non agisce, non parla, non si oppone alla «bestialità» dei fratelli; in questo suo mutismo di apparente rassegnazione, egli grida la sua sofferenza e disperazione e conserva, forse, la sua capacità di ragionare.

Emblema di «bestialità», superficialità e perdita di ogni valore sono Enzo, Giuseppe e Giovanni, i fratelli carnefici, che vegetano sulle spalle della madre invalida. Sono loro a rappresentare il consumismo famelico da cui è affetta la nostra società e che la distrugge voracemente.

Infine c’è Ofelia, che tenta di abbattere il degrado socio-culturale dei tre fratelli, ma che soccombe non riuscendo ad aprire “quella” porta che la divide dall’amato Amleto. Nonostante appaia sulla scena accompagnata da una bara che raffigura la sua morte interiore, Ofelia è sicuramente il personaggio più positivo della rappresentazione: malgrado la «bestialità» del mondo, l’amore resiste e resta l’unica ragione per andare avanti e cercare di reagire al dolore.

 

La lingua e il degrado sociale: un invito a reagire

La Ruina svolge in Kitsch Hamlet una vera e propria indagine sociale che si trasferisce sul piano teatrale e assume caratteri concretamente attuali anche grazie all’impiego della lingua regionale. L’uso del dialetto calabro-lucano, con i suoi suoni aspri (l’autore ha smussato i fonemi più duri), riesce a far immergere completamente il lettore-spettatore nello scenario in cui si svolge l’azione e rappresenta il tentativo, da parte dello scrittore, di elevare l’idioma a lingua teatrale.

Una commedia che non ha né un lieto fine, né un’evoluzione. Non vi è giustizia e ogni tentativo di ribellione è vano, «l’essere e non essere restano concetti inespressi in una visione pessimistica dell’esistente», una rappresentazione teatrale più reale di quanto si possa immaginare.

Una denuncia, quella di La Ruina, del degrado sociale in cui la contemporaneità versa ma anche un invito a ragionare, a liberarsi dal consumismo famelico per riprendersi in virtù di antichi e perduti valori: dignità e vita.

 

Simona Corrente

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 16, dicembre 2008)

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