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Biografie (a cura di Luisa Grieco e Mariangela Rotili) . Anno I, n° 1 - Settembre 2007

Zoom immagine Caduta dello zarismo
e trionfo bolscevico:
trattasi di casi fortuiti
ad opinione di Pipes

di Andrea Trapasso
Inevitabile invece l'ascesa al potere
di Stalin. In un saggio Rubbettino


Perché è avvenuta la caduta dello zarismo? Perché i bolscevichi presero il potere? Perché Stalin fu il successore di Lenin? Sono queste le domande sulla rivoluzione russa a cui Richard Pipes vuole dare una risposta nel suo libro, I tre “perché” della rivoluzione russa (Rubbettino, pp. 98, € 8,00). Questo  pamphlet, già pubblicato negli Stati Uniti nel 1995 col titolo Three “ Whys” of the Russian Revolution, affronta uno degli avvenimenti più importanti del Novecento, tema di cui l’autore è particolarmente esperto. Professore emerito di Storia della Russia e del Comunismo presso l’Università di Harvard, l’autore ha dedicato tutta la sua vita a questi studi, e l’opera in questione è una sintesi di altri volumi già pubblicati in precedenza. Il risultato? Un libro breve ma estremamente intenso, in cui vengono spiegati, in un modo argomentato, quelle che sono le questioni cardine della Rivoluzione russa, permettendoci così di avere una visione d’insieme chiara delle conseguenze che quegli avvenimenti, apparentemente lontani, hanno portato in Europa e nel mondo intero.

 

Rivoluzione russa: caso fortuito o avvenimento predeterminato?

La posizione di Pipes, come egli stesso precisa nell’Introduzione, differisce parecchio da quella degli storici cosiddetti “revisionisti”, dominante, a suo avviso, oggi nelle università, verso cui sferra una dura critica. Secondo tale concezione, la caduta dello zarismo, così come il trionfo del bolscevismo, furono inevitabili e predeterminate (secondo questi storici l’ottobre 1917 fu davvero una rivoluzione popolare in cui i bolscevichi agirono in risposta alla pressione delle masse), mentre la successione di Stalin a Lenin fu una specie di inspiegabile infortunio. Pipes, al contrario, sostiene che non ci fu nulla di predeterminato né nella caduta dello zarismo né nell’ascesa dei bolscevichi. Quest’ultima, in modo particolare, fu, a detta dell’autore, una specie di colpo fortunato in seguito al quale l’ascesa al potere di Stalin divenne una conclusione inevitabile.

Una posizione controcorrente, dunque, quella di Pipes, ma anche largamente giustificabile, in quanto documentata. Come ci dice lo stesso autore, egli ha potuto trarre determinate conclusioni grazie all’apertura, dopo anni di censure, di alcuni archivi sovietici in Russia.

Per lungo tempo, infatti, le autorità responsabili ne hanno riservato l’accesso solamente ad alcuni specialisti approvati dal Partito comunista disponibili a sostenere rigorosamente la sua versione degli eventi. Questa è stata una delle cause principali, ci dice l’autore, delle numerose incomprensioni sulla Rivoluzione russa. Fortunatamente, oggi, questi archivi, con alcune eccezioni, sono aperti a chiunque, rendendo così possibile una fotografia imparziale di quegli anni e la risposta ai vari “perché”. Pipes lo fa in maniera abbastanza precisa, puntualizzando che qualsiasi risposta univoca è sbagliata, in quanto ogni avvenimento è determinato da cause complementari che operano su livelli diversi: la longue durée (processi lentissimi su cui né gli individui né i gruppi hanno controllo), l’ampiezza intermedia (sviluppi a medio termine dove gli individui fanno la differenza) e il breve periodo (i casi accidentali). Egli ci presenta tutte queste cause.

 

L'azione degli intellettuali alla base del collasso zarista

Per quanto riguarda la caduta dello zar, Pipes mostra una serie di elementi che testimoniano come nessuno, all’epoca, si aspettasse tale situazione e che addirittura Lenin, in esilio in Svizzera nel 1917, prevedeva che né lui né la sua generazione avrebbero vissuto abbastanza per vedere una rivoluzione in Russia. Sorge ora la domanda del perché la Russia collassò.

Tutto trae origine da alcune insoddisfazioni dei contadini che domandavano tasse più basse e più terra, poiché essi credevano fermamente che Dio avesse creato la terra per il beneficio di tutti. Essi volevano sì l’abolizione della proprietà privata, ma non come un atto rivoluzionario che spianasse la strada al socialismo, piuttosto come un ritorno alla tradizione in cui tutti avevano diritto ad usare la terra senza possederla. Furono gli intellettuali radicali, mette in evidenza l’autore, ad incanalare deliberatamente tali insoddisfazioni verso un rifiuto totale del sistema politico: ogni piccolo e isolato problema poteva essere risolto, secondo loro, solo con il rovesciamento dell’intero sistema.

In questo contesto assunse particolare rilievo la condizione socioeconomica della Russia zarista dei primi del Novecento. Una parte consistente della popolazione riceveva un’istruzione secondaria superiore acquisendo, allo stesso tempo, degli atteggiamenti occidentali, e tuttavia veniva trattata alla stregua dei contadini analfabeti, senza avere voce in capitolo nella politica del paese.

Nonostante queste tensioni, secondo Pipes, non si può dire che la Russia ribollisse di ardore rivoluzionario. Discriminanti furono invece diverse cause a breve termine che l’autore ci illustra chiaramente e che egli identifica come politiche e non sociali. Quelle principali, secondo lui, furono l’ostilità inesorabile tra il governo e l’opposizione politica e tra il governo e la società istruita, che invece di cooperare si impegnavano in una faida incessante.

 

La presa del potere da parte dei bolscevichi

L’altro grande enigma è come, in tale situazione, i bolscevichi riuscirono a prendere il potere. Anche in questo caso gli studi di  Pipes conducono verso una spiegazione in termini di una serie di circostanze fortunate che resero possibile il colpo di stato di Lenin e dei suoi. Viene così rifiutata categoricamente l’opinione diffusa di un grande coinvolgimento popolare che spinse i bolscevichi verso il potere. Partendo da una attenta analisi di tutte le sfaccettature del partito (un partito totalitario, definito dall’autore come il modello per il nazionalsocialismo tedesco e il fascismo italiano) e degli ideali di Lenin (egli stesso dichiarava che le masse popolari e operaie erano incapaci di fare una rivoluzione e che questa sarebbe stata possibile solo se guidata da professionisti esperti), Pipes elabora tutti gli avvenimenti e le circostanze che giocarono a favore dei bolscevichi: l’insuccesso dell’esercito russo nella Grande Guerra, il rifiuto da parte del governo provvisorio di concedere le elezioni, l’Affare Kornilov, che l’autore spiega chiaramente, ed in particolar modo l’attacco tedesco alla città di Pietrogrado, l’allora capitale russa, che permise ai bolscevichi di creare il cosiddetto “Comitato militare-rivoluzionario”, un organo che avrebbe dovuto difendere la città dai tedeschi e che invece fornì loro un’ottima foglia di fico al loro colpo di stato, visto che fu inserita una clausola per cui tutti gli ordini del governo avrebbero dovuto essere firmati dal comitato, d’accordo con le altre forze politiche. Questa serie di situazioni rese possibile ciò che successe la notte del 24 ottobre 1917. Mentre la città di Pietrogrado dormiva, i bolscevichi presero tutti i centri nevralgici del governo, rimpiazzarono gli ufficiali dell’esercito senza che ci fosse spargimento di sangue. Al mattino anche il Palazzo d’Inverno, sede del governo, fu preso senza particolari problemi. Lenin prese il potere in nome del soviet, per cui inizialmente nessuno si rese conto della gravità di quanto era successo. Soltanto all’inizio del 1918, quando i bolscevichi tennero le elezioni per l’Assemblea costituente e fecero fiasco, si costituirono come regime monopartitico e divisero tra di loro tutte le cariche.

Come ci dice lo stesso Pipes, «quello bolscevico fu un classico colpo di stato moderno, senza il sostegno delle masse. Fu la presa furtiva dei centri nevralgici dello stato moderno, realizzata sotto falsi slogan per neutralizzare la popolazione, il cui vero proposito si rivelò solamente dopo che i nuovi pretendenti al potere furono saldamente in sella».

 

L'ascesa di Stalin come conseguenza necessaria

La tesi della rivoluzione popolare, secondo l’autore, non sta in piedi. Così come non sta in piedi l’opinione diffusa che l’ascesa al potere di Stalin fu un qualcosa di inspiegabile e che egli tradì tutti i valori del leninismo. In questo libro, Pipes spiega il perché una volta che il regime sovietico fu stabilito e che Lenin perseguì il suo programma senza riguardo per il dissenso universale che provocava, l’apparato che egli aveva creato si raccolse naturalmente attorno a Stalin, il più competente e popolare politico comunista. In questo capitolo, intenso e coinvolgente, Pipes riassume le motivazioni del potere di Stalin in tre punti: l’insuccesso dei bolscevichi nell’esportare la rivoluzione nell’Occidente industriale; l’emergere di un’immensa burocrazia di partito necessaria ad amministrare ogni aspetto della vita sovietica; la nascita tra i lavoratori di un’opposizione al fatto di essere governati dagli intellettuali. Pipes dà comunque molta importanza al fattore della personalità, che certamente non mancava a Stalin. Secondo l’autore Lenin aveva davvero fiducia in lui e non sembra che si fosse accorto del tiranno omicida che era in lui. Dal canto suo, Stalin, sempre a detta dell’autore, si considerava sinceramente un discepolo di Lenin. Con un’eccezione (l’uccisione di compagni comunisti, un crimine che Lenin non commise), Stalin realizzò fedelmente i programmi di Lenin sia all’interno che all’estero. La sua presa del potere, dunque, appare tutt’altro che un qualcosa di inspiegabile e misterioso.

 

Andrea Trapasso

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 1, settembre 2007)
Collaboratori di redazione:
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