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Direttore editoriale: Maria Ausilia Gulino
Monica Murano
Anno II, n° 15 - Novembre 2008
Dal bullo “classico”
al cyberbullo: mondi
di violenza giovanile
alimentati dai media
di Annalice Furfari
Nel libro pubblicato da Edizioni magi
una problematica che affligge l’Italia
Il bullismo ai tempi del cyberspazio. È questo lo scenario complesso e articolato analizzato dagli psicologi Loredana Petrone e Mario Troiano nel saggio intitolato Dalla violenza virtuale alle nuove forme di bullismo. Strategie di prevenzione per genitori, insegnanti e operatori (Edizioni magi, pp. 144, € 14,00). Le pagine di cronaca dei giornali abbondano di inquietanti resoconti di episodi di violenza, che hanno come protagonisti ragazzi che frequentano le scuole superiori o addirittura le scuole medie inferiori ed elementari. Tali atti di microcriminalità giovanile, evidenti manifestazioni del “fenomeno bullismo”, assumono contorni sempre più sinistri a causa del loro stretto legame con l’universo di Internet, il mezzo di comunicazione e socializzazione prediletto dalle nuove generazioni. Basti pensare alla miriade di video amatoriali girati dai bulli a testimonianza delle loro “imprese” e immessi nel cyberspazio (celeberrimi i contenuti audiovisivi reperibili nel portale “You Tube”) con il palese obiettivo di primeggiare nella classifica delle sconcezze commesse. Ecco che, di fronte a uno dei nuovi e più preoccupanti problemi del nostro tempo, il saggio di Petrone e Troiano tenta non solo di fornire un quadro chiaro e completo del fenomeno, ma anche e soprattutto di offrire risposte e soluzioni pratiche e concrete, attuabili con immediatezza da genitori, insegnanti e operatori, senza perdersi nelle lungaggini, avverse alla comprensione dei non addetti ai lavori, tipiche dei contributi scientifici eccessivamente specialistici.
Il dramma del bullismo nelle sue molteplici sfaccettature
Il libro pubblicato da Edizioni Magi affronta il fenomeno del bullismo prendendo le mosse dall’illustrazione della sua etimologia ed esplicando le caratteristiche, le modalità e le tipologie del comportamento aggressivo e violento. Ci viene spiegato che, contrariamente a quanto si è soliti pensare, il termine “bullo” ha radici antiche, in quanto risale all’epoca del Rinascimento. Nonostante ciò, bisogna aspettare il 1935 per vedere questa parola registrata per la prima volta in un dizionario (il Panzini). La sua accezione ha subito, con il trascorrere del tempo, un’evoluzione significativa, passando da un’idea di violenza organizzata, isolamento, estraneità, prevaricazione e prepotenza a un concetto più stemperato di semplice arroganza giovanile, quasi a volere, nel corso del Novecento, attenuare la gravità di un fenomeno che, al contrario, si è espanso ed è diventato sempre più complesso, in concomitanza con lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione di massa.
Da un punto di vista scientifico, il bullo – così come ci spiegano gli autori – è colui che «compie degli atti di prepotenza verso un proprio pari sfruttando il fatto di essergli in qualche modo superiore». Inoltre, dobbiamo tenere in considerazione che «queste prepotenze non sono occasionali, ma si ripetono nel tempo, configurandosi come una vera e propria persecuzione». Il bullismo è, quindi, una sottocategoria del comportamento aggressivo, contrassegnato da alcune peculiarità distintive: l’intenzionalità nell’offendere e nell’arrecare danno o disagio, la persistenza nel tempo, l’asimmetria di potere nella relazione bullo-vittima, l’uso moralmente ingiusto del potere, il piacere evidente provato dall’aggressore, la sensazione di oppressione sperimentata dalla vittima.
Sono molteplici anche le sue categorie: il bullo aggressivo (colui che «ha un comportamento caratterizzato da un’aggressività generalizzata sia verso gli adulti che verso i coetanei, con conseguente scarsa empatia verso gli altri»), il bullo passivo («è un soggetto molto ansioso, insicuro, poco popolare, cerca la propria identità e ricopre un ruolo gregario nel branco e ha la funzione di sostenitore di chi agisce le prepotenze») e il bullo ansioso («è spesso sia bullo che vittima, ha una personalità caratterizzata da bassa autostima, ansia e instabilità emotiva, mette in atto comportamenti vessatori nei confronti di compagni più deboli, ma cede spesso al rimorso e ai sensi di colpa»).
Il sensibile approccio psicologico degli autori passa in rassegna anche le tipologie e le caratteristiche comportamentali delle vittime, individui contrassegnati da una bassa autostima e da un’opinione negativa di sé. «I bambini vittimizzati sono quelli molto sensibili, che si offendono facilmente, che lasciano trapelare il proprio disagio. Sono timidi, ansiosi, remissivi, poco sicuri di sé, più silenziosi».
In ogni atto di bullismo un ruolo significativo è svolto dai coetanei, compagni di classe o di gioco dei protagonisti del comportamento violento. Non a caso, il bullo non agisce mai da solo: è sempre attorniato da amichetti che lo incitano, lo sostengono e lo incoraggiano a perseverare nelle aggressioni. Altri approvano le sue modalità relazionali in maniera indiretta, osservando le sue bravate tra risolini e gridolini. Poi vi sono coloro che non vogliono restare invischiati in situazioni ambigue e se ne disinteressano totalmente. Infine, abbiamo i ragazzi che tentano di opporsi alle prepotenze, al fine di sostenere e tutelare la vittima, ma risultano, purtroppo, minoritari. La funzione esercitata dal gruppo di coetanei è fondamentale perché «determina la cristallizzazione del ruolo del prepotente e della vittima, mitizzando e proteggendo il bullo, a cui va la simpatia, e mal tollerando la fragilità delle vittime che evoca le fragilità personali».
L’attenzione dei due psicologi si concentra anche sul fenomeno del “bullismo rosa”, salito recentemente agli onori della cronaca e distintosi per la presenza di modalità di realizzazione differenti da quello maschile. Le ragazze, infatti, sono più inclini alle offese verbali e alle vessazioni subdole e indirette che alle violenze fisiche e all’aggressività diretta tipiche del comportamento maschile.
Petrone, psicologa, psicoterapeuta e collaboratrice della cattedra di Medicina sociale dell’Università “
Il nuovo sconvolgente marchio distintivo delle società attuali è il fenomeno del cyberbullo, cioè colui che utilizza la posta elettronica, i blog, le reti sociali informatiche, i siti personali, i siti di diffusione di immagini o filmati, i telefoni cellulari, gli Sms, le fotografie e i video digitali con l’obiettivo di offendere, molestare, diffamare, appropriarsi di identità altrui, diffondere informazioni riservate, rendere di pubblico dominio foto e video intimi o realizzati senza l’autorizzazione dell’interessato, violare la privacy, escludere e perseguitare. Il fenomeno appare ancora più preoccupante di quello del bullismo tradizionale, in quanto le tecnologie informatiche e digitali garantiscono al carnefice un anonimato difficile da infrangere.
Esiste una correlazione diretta tra la fruizione di spettacoli violenti e il bullismo?
A parere degli autori, i mezzi di comunicazione di massa non costituiscono soltanto lo strumento impiegato dal cyberbullo per colpire le sue vittime, ma sono anche uno dei diretti responsabili del dilagare della violenza nella società contemporanea. A tal proposito, Petrone e Troiano non si limitano ad affrontare l’ormai decennale questione delle conseguenze generate dalla fruizione televisiva sul comportamento dei bambini, ma apportano il loro contributo scientifico anche al tema della violenza dei videogiochi e di nuove forme di spettacolo, particolarmente attraenti per il giovane e giovanissimo pubblico, come il wrestling, una lotta simulata che si fonda su pericolosi colpi bassi e insidiose scorrettezze.
Gli effetti del consumo mediale violento sulla mente dei bambini e degli adolescenti vengono illustrati passando in rassegna le posizioni di vari studiosi e le teorie classiche (come quella dell’apprendimento sociale di Bandura).
La posizione dei due psicologi non è, però, estremizzante. Essi concludono affermando che esiste un’indiscutibile correlazione tra la visione di spettacoli violenti e la messa in atto di condotte aggressive, soprattutto nell’età dello sviluppo. Tuttavia, sostengono anche che la violenza non è generata da un unico fattore predominante, bensì da una molteplicità complessa di cause interagenti: la struttura della personalità individuale, la presenza di disagi e disturbi psicologici, il contesto familiare e sociale in cui si vive, lo stato emotivo preesistente, l’età e il livello di comprensione, la condizione di solitudine durante la fruizione mediale. In definitiva, non esiste un mass medium che sia cattivo o nocivo di per sé: i suoi effetti sul comportamento degli spettatori/fruitori dipendono in larga misura dalle modalità quantitative e qualitative della visione. Qualsiasi contenuto mediale dovrebbe, quindi, essere consumato con parsimonia, contestualizzato e spiegato. A tal proposito, è fondamentale il ruolo dei genitori, chiamati a imporre limiti precisi, che allontanino i loro figli dai pericoli del “videoabuso” e della dipendenza da media. Inoltre, essi hanno il dovere morale di non abbandonare i piccoli spettatori durante la fruizione, in modo tale da discutere e razionalizzare gli eventuali contenuti violenti o diseducativi. È questa l’arma più efficace per contrastare la spinta all’emulazione di comportamenti aggressivi.
Cosa fare per respingere la minaccia del bullismo?
Il contributo più importante di questo saggio sta sicuramente nell’illustrare, con stile di scrittura semplice e diretto, le misure pratiche da intraprendere nel caso in cui si entri in contatto con episodi e manifestazioni di bullismo. Spesso questo fenomeno è coltivato proprio dall’indifferenza e dall’impotenza del contesto di riferimento. È, pertanto, fondamentale essere adeguatamente preparati ad affrontarlo. Tale invito viene rivolto innanzitutto ai genitori, sempre più assenti dalle vite dei loro figli, a causa dei ritmi frenetici della società odierna, e spinti a un’eccessiva indulgenza dal senso di colpa che li attanaglia. Al contrario, secondo gli autori, è necessario che il genitore si proponga come un punto di riferimento autorevole, che sappia comprendere, ascoltare, accettare e amare i propri figli per ciò che sono, ma che sia anche capace di imporre loro regole e limiti chiari e precisi. L’intervento dei genitori è fondamentale perché da un lato «combatte un terreno fertile alla produzione di comportamenti devianti e delinquenziali», dall’altro «interrompe il ciclo vizioso delle violenze subite, che lasciano tracce indelebili nella vittima».
Anche la scuola gioca un ruolo capillare, tanto nell’arginare le manifestazioni di bullismo, che la vedono teatro privilegiato della violenza, quanto nel prevenirle. E, in questi casi, «la migliore prevenzione è l’educazione». Gli insegnanti devono, quindi, educare gli alunni al dialogo e al confronto, promuovere la collaborazione tra compagni, aiutare il bambino e il ragazzo a decodificare e razionalizzare le sue emozioni, educarlo alla cultura del rispetto, coinvolgere le famiglie e, infine, denunciare tutti gli episodi di violenza e aggressività che si svolgono all’interno della classe.
Non dobbiamo dimenticare neppure la funzione svolta dalle istituzioni nella prevenzione e nella lotta al bullismo. A tal proposito, Petrone e Troiano illustrano le caratteristiche del Progetto di educazione e informazione degli studenti al concetto di violenza e legalità, avviato recentemente dall’Istituto di Ortofonologia di Roma, dall’Agenzia di stampa Dire e dalla Scuola “Baccano”. L’iniziativa vede coinvolti gli alunni di cento scuole distribuite su tutto il territorio nazionale, insegnanti, genitori e mass media. La speranza è che fornisca un valido ed efficace strumento di ausilio nella diffusione della consapevolezza dell’esistenza del problema, nonché nella sua definitiva estirpazione.
Annalice Furfari
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 16, dicembre 2008)
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