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Monica Murano
Anno II, n° 15 - Novembre 2008
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno II, n° 15 - Novembre 2008

Zoom immagine Un uomo celebra un secolo di vita
in compagnia dei suoi eccelsi vini

di Monica Murano
Dalla Inedition editrice, un nuovo romanzo di Paolo Bonesso esprime
le felicità mancate, o inconsapevolmente trascurate, del protagonista


Un uomo si avvicina al crepuscolo della sua vita, al compimento dei suoi cento anni, pieno di inquieta volontà e spossata speranza di dimenticare ogni attimo vissuto prima di consegnarsi alla morte, perché non rimanga derubato dei suoi interiori tesori dai sapori agrodolci, che hanno il retrogusto di terre lontane. Decide, così, di celebrare questa prossima e ultima circostanza della vita ritirandosi in solitudine presso la sua dimora, di fronte al mare, dal quale riceve intangibili conferme; che porta e riprende, ascolta, racconta e, infine, accoglie a sé. L’uomo vive tale delicato momento come un prezioso rito, a cui dedica una romantica e malinconica preparazione – linfa stimolante dell’intera narrazione – affidando i suoi pensieri ai vini più significativi, degustati durante il lungo percorso della vita. Il protagonista desidera ardentemente spegnere i suoi ricordi in un nobile e pieno calice, con la voglia di anestetizzare il dolore, di restare svuotato, smembrato, per non essere defraudato neanche di un’emozione. Ma il fato vuole che ogni sorso degustato lo riporti, goccia dopo goccia, a ritroso nel tempo, un tempo così denso di libertà, tanto da urlare il bisogno di espressione.

«Le sue amiche di domani» – le bottiglie, così definite dallo scrittore – gli hanno fatto dono de Le felicità nascoste. Memorie involontarie di un bevitore di vino, di Paolo Bonesso, presentato da un’accurata Introduzione di Rino Tripodi e pubblicato dalla Inedition editrice (pp. 206, € 14,00).

«Le bottiglie – scrive l’autore – mi sono arrivate in cartoni imballati dall’Italia, dalla Francia, dal Cile, dal Libano, dalla Grecia, dall’Ungheria, dall’Argentina e dal Brasile. Sono i vini della mia vita».

Adesso, noi, proveremo ad ascoltarli...

 

Inchiostro e anima

 Aprendo il libro, ci si sente coinvolti fin dalle prime parole che lo scrittore offre. La narrazione del romanzo si distingue per la particolarità dello stile. Come lo stesso Tripodi osserva, ci si trova di fronte a «una scrittura sontuosa, ricamata, [...] capace di suggerire emozioni», oseremmo dire una scrittura nutrita, amata, vissuta.

Il racconto nasce sotto forma di confessione/liberazione, in cui il protagonista è il narratore, il quale gioca elegantemente una partita a due, dove, tra un vino e l’altro, il folle e dolce oblio e la saggia coscienza sono gli unici avversari/alleati dell’incontro.

«Domani compio cento anni. Festeggerò da solo, come la vita ha scelto per me». Queste le prime parole che accolgono nella “dimora” di Bonesso, che, invitandoci nelle sue tante camere, ci accompagna nell’intessuto percorso di un romanzo/biografia affascinante, ricco di elementi, quali la natura con i suoi suggestivi paesaggi, i suoi colori, odori e sapori, ma anche e soprattutto colmo di sostanze imprevedibili, immateriali; respiri, quali la malinconia, la tenerezza, la nostalgia, l’inquietudine, la solitudine, la docilità, i ricordi, i rimpianti, tutto ciò che appartiene all’essere uomo e, per questa propria naturale condizione, limitato e ingabbiato in complessi meccanismi anima-mente. Inconsueto, nell’autore, è il personificare qualsiasi cosa egli racconti. Riferendosi alle sue bottiglie, scrive: «Ora voglio [...] sistemarle per bene, coccolarle un pochino, affinché il loro contenuto possa regalarmi eccitazione, pianto, sorpresa, pace». E ancora: «scintillano alla luna. Sono bellissime, disposte lungo la parete candida dello studio. Sembrano soldati pronti alla battaglia, monaci all’ora della preghiera, navi attraccate, vicine vicine, in uno strettissimo porto. Dentro i loro corpi slanciati si nasconde il significato del loro essere qui, di fronte al mio sguardo. Saranno le mie amiche di domani. Mi faranno sognare, singhiozzare e ridere, sudare e gioire».

Il suo accostarsi alle cose risulta amorevolmente poetico.

Il protagonista (e, forse, anche Bonesso) è un uomo che ha molto viaggiato e che è attratto dalle stranezze delle donne allo sbando, di cui esplora gli animi, e attraverso le quali ritrova se stesso, senza mai completarsi, sempre invaso dall’ossessionante ricerca affannata del senso più vero dell’esistenza, nella quale non mancano mai i suoi vini: «Le bottiglie sono libri pieni di sorprese, avventure, fantasmi, ragazze povere e bellissime». Consapevole delle sue debolezze, della sua codardia, del suo cinismo, ma anche della sua passione, capace di ammaliare e addolcire chi ha sete di sogni. Amante della bellezza, che egli definisce «l’unica virtù di questo mondo» e che, fino all’ultimo sospiro ormai atteso, continua a «cercare dappertutto, volere, possedere, bere, contemplare, divorare».

Ogni capitolo riconduce a una terra, in cui alberga parte del suo vissuto, dove il protagonista assapora diverse specialità di vino, caldo o freddo, bianco o rosso: il Pinot noir Riserva Miolo; l’Egri BiKavér Gal Tibor; il Cabernet Sauvignon John Riddoch; il Prulke Zidarich; il Vinho Branco Quinta Do Carmo; il Sauvignon Blanc Albaclara, lo Champagne Pommery Louise e altri ancora.

I personaggi e le storie del libro vengono proposti come venti passeggeri, che svaniscono, pian piano, in lontananza, quasi sempre incompiuti e infelici. Quanto infelice è la presa di coscienza dell’autore dell’invincibilità del male, che avvicina il protagonista agli altri e lo rende pienamente cosciente delle «felicità nascoste», non vissute per la paura di perdere il magico frammento di se stesso, quella parte intima e fragile che ha difficoltà e paura di mostrare agli altri e, ancor di più, di vivere, quindi difficile da rischiare. Quanto ci sia di “detto” o di “non detto” poco importa. Quanto ci sia di autentico, nell’intero corpo della narrazione, non cambia l’interessante racconto che Bonesso è riuscito a trasmetterci, con la sua capacità emotiva, con la sua fantasia, la sua immaginazione, con un’esperienza interiore singolare e, per questo, coinvolgente.

Ma cosa si potrebbe “sentire” dagli strati più profondi dei suoi calici pieni?

 

«Prima e dopo di lei»

Si mostra imponente la presenza di una donna un po’ nascosta, ma intensamente viva nei suoi ricordi più malinconici e sofferti. L’autore scrive: «Avrei potuto intitolare questa confessione “Prima e dopo di lei”» e, aggiunge, «Ma di ciò vi parlerò più avanti, forse domani».

Ancora, apre un’anticamera, in cui leggiamo: «Bevo il mio vino lentamente, poi torno a casa [...], mi distendo sul letto, amo ancora una volta il viso di lei, così come la ricordo, quando mi guardava di nuovo con dolcezza dopo che il cuore le era sanguinato, e scendo dentro una notte che da parecchio tempo è la caldissima, penultima notte della mia vita».

E nuovamente: «Ogni volta che la sera s’affaccia alla finestra, piena del viso di lei, ecco, in quel preciso istante, che si riproduce da anni uguali, come una profumata quotidianità, neanche il vino può nulla. Tutto, intorno, assume il colore delle sostanze svanite, e soltanto il tremore del cuore mi possiede, una tachicardia lieve, ancora piena di passione, di follia [...], sempre sperando di vederla ancora».

Con tenerezza, Bonesso, continua la descrizione di un’emozione pura, che ancora lo riporta a lei: «Dopo ogni tramonto, puntuale come una stella lei arriva e mi scende sugli occhi».

Il protagonista del romanzo sembrerebbe ossessionato da “lei”, tanto da tradurre in poesia l’unico amore così fervidamente desiderato, ma mancato, che continua a saperlo denudare, nonostante il tempo abbia quasi raggiunto la fine del suo corso: «Per tanti anni ho cercato di scordarmi di tutto e, per un breve periodo, ci sono riuscito. Ma appena la mia anima ritrovava la tempesta, ecco che la tempesta assomigliava a lei».

Prima dell’ultimo capitolo, l’Epilogo alcolico, lo scrittore esorcizza con forza un sentimento che cerca “ascolto”, che assume intime sembianze: «Nell’epoca dello scoramento e del dolore, ti penso ancora, come tu fossi una calamita per le mie maree. [...] Non mi scenderai più addosso, ma scivolerai altrove. [...] Arriverai all’assoluto del nulla, dove anche tu potrai perderti. [...] E quando tutto, intorno, cesserà di amarti, cesserà di celebrare la tua ingordigia d’assenza, allora, solo allora, sarà il tempo. [...] Perdersi sarà cosa dovuta, atto senza scelta perché nulla, più nulla ci sarà, né tremore, né incanto, né fragore di lampi ciechi. Tutto ciò sarà per te. E un vino, prodotto apposta per dimenticarti».

Al termine della lettura ci poniamo una domanda, a cui soltanto l’autore potrà – magari un giorno – risponderci: perché alcune felicità, alcune verità, sono nascoste e cercano la penombra? Sono troppo vere, forse, per essere espresse?

Semmai volesse, «forse domani» raccontarci di “lei”, potrebbe anche sciogliere questo dubbio dal sapore amaro.

 

Monica Murano

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 16, dicembre 2008)

 

 

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