Homepage - Accesskey: alt+h invio
Editore: Bottega editoriale Srl
Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
Iscrizione al Roc n. 21969.
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza
n. 817 del 22/11/2007.
Issn 2035-7370.

Privacy Policy

Direttore responsabile: Fulvio Mazza
Anno II, n° 14 - Ottobre 2008
Sei in: Articolo




Problemi e riflessioni (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno II, n° 14 - Ottobre 2008

Zoom immagine Il Nobel per la Pace
Rigoberta Menchù:
eroina analfabeta
o colta sovversiva?

di Anna Foti
Chiara ma opinabile delegittimazione
nella controbiografia della Rubbettino


Portavoce del popolo Maya, uno dei ventitré gruppi indigeni costituenti il 60% della popolazione guatemalteca, testimone simbolo dell’oppressione dei popoli indios da parte dei conquistatori europei ed emblema delle lotte dei contadini per il diritto alla terra violato dalle oligarchie bianche e dai militari, insignita del Premio Nobel per la Pace nel 1992 all’età di trentatré anni, cittadina onoraria di un migliaio di città di tutto il mondo, ambasciatrice dell’Unesco, già candidata alla presidenza del Guatemala, Rigoberta Menchù Tum, divenuta nota con la biografia di Elizabeth Burgos Dubray, edita nel 1983 da Gallimard in Francia, in realtà sarebbe una colta sovversiva.

Ella avrebbe mentito su una serie di circostanze cardine del suo drammatico racconto e la sua notorietà sarebbe stata utilizzata per scopi ideologici con la medesima scaltrezza con cui la stessa avrebbe appoggiato unicamente la guerriglia marxista guatemalteca, senza dunque avere a cuore la causa dell’intera popolazione di etnia Maya, ma solo in funzione della diffusione del marxismo-leninismo. A documentarlo con testimonianze, richiami alla stampa internazionale e ricerche è il giornalista Leonardo Facco nel suo volume Si chiama Rigoberta Menchù. Un controverso Nobel per la Pace edito da Rubbettino (pp. 78, € 10,00), il cui titolo ha un tenore che intende chiaramente controbattere quello della biografia che ha reso nota la donna guatemalteca, Mi chiamo Rigoberta Menchù, edito in Italia nel 1987 da Giunti. Un libro, quello di Facco, che offre due sfaccettature inconciliabili con i fatti notori che riguardano la Menchù e, rispetto ai quali, sono reciprocamente escludenti: la restituzione di dignità ad una storia manipolata e strumentalizzata all’epoca della presidenza statunitense di Carter e Reagan in cui, scrive Facco, «l’immagine simbolica che la figura di Rigoberta aveva acquisito nel conflitto ideologico esistente in materia razziale e dei diritti umani si diffuse in modo perentorio»; la delegittimazione della testimonianza di una donna che, attraverso il racconto dello sterminio della propria famiglia, ha dato voce alla storia dimenticata del popolo Maya, sterminato dai conquistadores.

 

Dubbi e presunte discrepanze

Potrebbe, dunque, essere non veritiera la biografia curata da Elizabeth Burgos Dubray, peraltro oggi non più in buoni rapporti, per questioni di diritto d’autore e non solo, con la protagonista della stessa biografia. Rigoberta non sarebbe stata una donna analfabeta, la lotta per le terre non avrebbe avuto alla sua base legittime rivendicazioni ma beghe familiari, il padre non sarebbe stato bruciato vivo dai militari ma sarebbe rimasto vittima di un incendio causato dagli stessi dimostranti. Inoltre non mancano, e il testo ne riferisce in modo ampio, contraddizioni e discrepanze nell’ambito di alcune dichiarazioni che Rigoberta ha rilasciato in momenti diversi e in differenti occasioni. Oggetto di contestazione è anche la creazione della biografia, risultato di diciannove ore di conversazione registrate. Si aprono diversi scenari: più storie assemblate da una sola persona, o forse un’opera scritta a quattro mani e poi rielaborata e trascritta da altri. Insomma, il volume di Facco, secondo i punti di vista, getta in ombra quelle che fino ad oggi sono state verità consolidate per fare luce su aspetti poco noti.

 

La storia dell’America Centrale tra repressioni e ingerenze esterne

Un’operazione che apre anche una finestra sulla storia. Metà della popolazione del Guatemala, la nazione più grande e ricca di tutta l’America Centrale, abitata da undici milioni di persone, è di etnia Maya prevalentemente stanziata negli altipiani della Sierra Madre. La dominazione e la repressione sanguinaria della Spagna, la dittatura di Osorio seguita alla proclamazione d’indipendenza dai coloni furono le tappe che precedettero la costituzione della prima organizzazione clandestina dei Maya, poi confluita nell’Esercito guerrigliero dei poveri (Egp), sponsorizzato da Cuba. Questi costituiscono i momenti di un percorso che Facco ritiene utile per la dimostrazione della strumentalizzazione della causa dei Maya per fini politici e ideologici che non rispecchiavano affatto le necessità della stessa etnia.

A supporto di tale interpretazione, è riportata la definizione elaborata da Dinesh D’Souza, autorevole intellettuale conservatore americano, secondo la quale Rigoberta sarebbe un’inviata in Europa «per esigenze ideologiche della sinistra rivoluzionaria». In linea con questo anche la conclusione cui conduce il parere dell’antropologo americano David Stoll che descrive i campesinos  guatemaltechi come schiacciati tra due gruppi armati: l’esercito regolare da un lato e la guerriglia dell’Egp dall’altro. In particolare a compromettere l’azione rivoluzionaria della guerriglia sarebbe stata la politica repressiva adottata dall’amministrazione Reagan, che finanziò negli anni Ottanta i governi dell’America Latina per potenziarne l’intervento contro il dilagare dei movimenti castristi controllati da Cuba.

Dunque non la popolazione Maya sarebbe stata bersaglio della risposta repressiva del governo, ma solo le frange estreme dei movimenti filo-cubani. Torture, violenze e un milione di rifugiati furono la conseguenza dell’azione governativa. Facco, con la sua ricostruzione insinua il dubbio per cui l’esilio di Rigoberta in Messico, dove si trasferì proprio in quegli anni, potrebbe non essere stato determinato dalla repressione indiscriminata della popolazione Maya, ma dall’azione di contenimento del governo guatemalteco nei confronti dei movimenti marxisti. Poco dopo il trasferimento in Messico, e questa è anche una delle circostanze controverse, la Menchù incontrò colei che avrebbe steso la sua biografia, l’etonologa venezuelana Elizabeth Burgos Dubray, ex moglie di Regis Dubray, militante marxista con cui aveva condiviso un intenso impegno politico, e amica della sociologa Danielle Mitterand, moglie del presidente socialista francese. Destini che si incrociano, personalità le cui estrazioni politiche, evidenziate da Facco, potrebbero, laddove i fatti narrati fossero falsi, avvalorare la tesi per la quale la biografia di Rigoberta sarebbe una manipolazione degli eventi voluta coralmente dalle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria.

Probabilmente questa è una di quelle circostanze in cui il luogo comune della verità che dimora al centro non può essere accettato.

La storia di Rigoberta è una, ma quale? Testimonianza toccante o propaganda comunista? Accanto agli inconciliabili scenari di opportuna rivelazione o tentata delegittimazione della storia della Menchù Tum e senza entrare nel merito di un’analisi che ogni lettore potrà condurre autonomamente e fino a nuovi approdi, rimane comunque la verità storica, neanche negata dallo stesso Facco, per cui la popolazione Maya ha pagato con un prezzo altissimo il momento storico di difficoltà in cui versava negli anni successivi alla dichiarazione dell’indipendenza dalla Spagna. Rimane salda, tuttavia, anche la consapevolezza che, per quanto meritoria, la causa di riscatto di un popolo deve perseguirsi con dignità e nel rispetto della verità.

 

Anna Foti

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 14, ottobre 2008)

Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT