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Anno II, n° 14 - Ottobre 2008
La Seconda guerra
mondiale vissuta,
sofferta e narrata
in prima persona
di Monica Murano
La testimonianza di un uomo riportata
in forma di libro/diario da Csa editrice.
Racconto di inestimabile valore umano
Le memorie di un uomo trascritte con precisione e successione cronologica e affidate alla figlia, Lorella Vianello, autrice del testo, che con attenzione e amore le traduce in libro/diario, arricchendole di particolari e raccontando l’esperienza della Seconda guerra mondiale vissuta in prima persona dal padre: Un salto nella sabbia (1940-1946). Per quanti oggi si credono talmente forti e coraggiosi da lasciarsi convincere ad imbracciare un’arma, (Csa Editrice, pp. 82, € 10,00).
Un racconto che descrive un percorso di guerra che, partendo da Venezia, arriva in Africa settentrionale e che riporta l’esperienza dei campi di prigionia, l’arrivo in Inghilterra e, infine, il ritorno a casa, nel capoluogo veneto. Dunque una vera e propria testimonianza del grande male della guerra, che non è solo male fisico, ma è anche estremo viaggio spirituale, il quale non viene pagato soltanto da coloro che lo subiscono, ma «che rappresenta – sottolinea l’autrice – un conto aperto che grava su una società». Ancora bimba, insieme ai suoi fratelli, Lorella ascoltava le storie di guerra che il padre narrava loro e durante i racconti percepiva ed era coinvolta dal suo disagio, dalla sua sofferenza. Comprendeva che quel dolore aveva ingoiato il suo sorriso, la sua serenità. Capiva che il padre doveva esorcizzare il più possibile quel male che l’opprimeva, che incupiva il suo volto. Pensando di aiutarlo ad alzare una mano per chiedere rispetto e riconoscenza per tanto sacrificio vissuto, volendolo aiutare a dare un senso a “qualcosa” che nessun uomo può dire di aver compreso, gli disse di scrivere e rivelare al mondo tutto quello che aveva loro raccontato.
In breve tempo Bruno Vianello, padre dell’autrice, scrisse il «quadernetto» (così chiamato dalla stessa scrittrice, allora bambina) datogli dalla figlia, e consegnandoglielo le chiese con umiltà di «correggerglielo e pubblicarlo».
La dura esperienza della guerra
«10 Giugno 1940.
Il Duce condottiero del popolo italiano e fondatore dell’Impero, unito a Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III, dal balcone di piazza Venezia in Roma dichiara guerra alla Francia e all’Inghilterra […] ora tocca all’Italia dare il suo contributo per unificare l’Europa».
Il 10 giugno 1940 è la data in cui il giovane protagonista inizia il suo arduo percorso, in cui si ritrova insieme a moltissimi altri ragazzi che, come lui, credono di poter portare benessere e progresso alla madre patria, pronti a difenderla con amore, a costo della propria vita, convinti di dover combattere una guerra lampo e di uscirne vittoriosi.
Ma la realtà si rivela diversa, dura e molto più sofferta. Hanno inizio i viaggi, gli spostamenti in nave, in aereo, in treno, in camion, che li conducono da un campo all’altro, gonfi di illusioni, vestiti della loro inconsapevole età. Da Napoli a Bengasi, a Berka, a Tripoli. Ognuno riveste un ruolo; Bruno è aviere/cuoco. È il mese di ottobre dello stesso 1940. I bollettini di guerra che vengono radiotrasmessi sono sempre più preoccupanti. I combattenti cominciano a capire che la guerra avrebbe assunto un aspetto più tragico di quanto avessero immaginato.
Arrivano diversi inverni e i paesaggi del mondo che visitano portano segni di devastazione e miseria. Il protagonista racconta che «il nemico aveva sfondato il fronte, aveva occupato i nostri capisaldi di Bardia e Sollum e si dirigeva verso Tobruk».
I rinforzi dall’Italia e dalla Germania si accingono a raggiungerli. Bruno e i suoi compagni capiscono di essere alla mercé del nemico, poiché i mezzi di difesa non sono sufficienti per fermare le truppe avverse.
Questo è il triste momento in cui i nostri soldati prendono piena coscienza che, a soli vent’anni, non conoscono se stessi, né la vita che li aspetta. Il protagonista sente quanto prezioso sia il dono della vita e quanto ardente sia in lui il desiderio di assaporarla. Non vuole morire. Nessuno di loro lo vuole. E per sopravvivere sono costretti a correre, a cercare di raggiungere la «buca fumante della salvezza», l’unico posto in cui tentare di nascondersi, o di unirsi ai già morti compagni e fingere di essere solo un corpo incenerito e sudicio, senza più respiro. Lui corre, ma anche gli altri. Chi ce la farà? Chi raggiungerà la «buca»? Quante vite si perderanno mentre gli avieri nemici bombardano acremente i loro fuochi?
«Ormai si combatteva in Grecia, in Jugoslavia, in Inghilterra e si parlava anche di coinvolgimento dell’America e Giappone: tutto il mondo partecipava al conflitto».
È difficile, in momenti tanto drammatici, concepire il valore dell’esistenza umana. Morte e vita si mostrano sorelle inseparabili, con volti crudi e nudi e occhi grandi e gelidi. Spogliati della propria stessa vita, basta poco per sparire nel nulla!
Prigionieri, vivono la fame, la sete, le epidemie, le situazioni di follia dei compagni più deboli. Subiscono e, intanto, silenziosi, sperano. Indifesi, soli e spaventati, aspettano pazienti il giorno della liberazione.
Ogni trasferimento è un addio a qualcuno, ogni trasferimento rappresenta l’ignoto.
Dagli inglesi e dagli australiani ricevono trattamenti terribili; in Egitto la loro condizione di vita migliora. Anche i polacchi e, in particolare, gli indiani sono molto più umani e gentili. A Bombay il carceriere non sembra affatto un nemico. Loro coetaneo, è simpatico, intelligente e conosce anche la lingua italiana. In India, a
Nel 1943 le sorti dell’Italia cambiano. Non c’è più la sicura vittoria. La guerra diviene fratricida. Ormai si combatte l’un l’altro senza un senso logico, senza alcun valore. L’unica certezza è la rabbia collettiva, che minaccia di essere violenza impulsiva. Adesso anche le loro anime sono in guerra.
Dall’India alla Scozia. Da un clima caldissimo a una temperatura che può toccare i 18 gradi sotto zero.
Gli eventi del nuovo posto concedono loro, dopo i primi mesi, condizioni di «mezza libertà». Il fattore presso cui lavorano offre a Bruno e ad alcuni suoi compagni un appartamento e perfino una macchina. Ed è sempre qui che il protagonista conosce Gladis, ragazza della quale si innamora e che ricorderà per sempre.
Ecco, dunque, scorgere un po’ di pace. È la liberazione definitiva e totale dell’Italia e il momento della resa della Germania. L’Europa è libera e i soldati sopravvissuti rientrano a casa. Il 7 maggio 1946 (con una lentezza impressionante: dopo un anno dalla fine della guerra!) il protagonista raggiunge la sua vecchia abitazione. Sono trascorsi 5 anni, 7 mesi e 26 giorni, ma la compagna da sempre sgradita, la miseria, non ha abbandonato quel luogo.
Quei giovani che volevano cambiare il mondo, dovevano, invece, ricostruirlo.
E adesso, cosa avrebbe dovuto fare Bruno?
«Dovevo fare la cosa più grande. Dovevo dimenticare».
Verso una profonda riflessione
Una storia vera di guerra e prigionia che deve indurre a riflettere.
Una brutalità e un orrore di cui troppi uomini sono stati e sono tuttora vittime e protagonisti.
Lorella Vianello, nella Conclusione, la parte finale del racconto, pone delle domande: «Come siamo riusciti a realizzare una cosa così atroce? […] Cosa potremmo realizzare se non fossimo accorti nelle nostre scelte? L’orizzonte che si profila ai nostri occhi oggi è denso di nubi minacciose, […] chi di noi può dirsi sicuro della pace che sta vivendo?».
L’autrice racconta la figura di un uomo sbigottito da un «Perché» a cui non riesce a dare risposta, poiché nessuno può «scalare il muro del vuoto». Un uomo che al suo ritorno dalla guerra ritrova la miseria e assiste alla mancanza di valori umani quali l’altruismo, il coraggio, la forza, la sincerità, virtù che lui da ragazzo ha «incarnato».
Come si può, allora, dopo tanto sacrificio e sofferenza, non pensare, anzi, non essere certi che il grande male della guerra non porta nulla se non distruzione e cattiveria gratuita, che alberga nel cuore di diabolici manipolatori. Per questo motivo la scrittrice vuole affidare il racconto ai giovani di oggi «perché il lettore […] riesca a trovare in sé intelligenza, cultura ed autonomia di pensiero sufficienti per saper evitare altri nuovi, futuri, piccoli o apocalittici conflitti.».
La stessa Vianello riporta anche l’ultimo episodio che visse il padre prima di morire, seppure non fosse un vero e proprio racconto, bensì un sogno: «Una notte – narra l’autrice – aveva sognato che una moltitudine di persone invadeva festosa la nostra casa e tutti cantavano mentre accoglievano il fratello sofferente, che anche se non percepiva alcun suono, riceveva comunque in dono una pace mai provata fino ad allora»…
Monica Murano
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 14, ottobre 2008)