Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
Iscrizione al Roc n. 21969.
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza
n. 817 del 22/11/2007.
Issn 2035-7370.
Anno II, n° 14 - Ottobre 2008
Bach a Weimar:
il clavicembalo
incontra l’Italia
di Marco Gatto
L’interpretazione del pianista
iraniano Bahrami delle opere
per tastiera “al modo italiano”
Ramin Bahrami si sta guadagnando, ormai da qualche anno, la fama di puntuale e rigoroso interprete delle opere per tastiera di Johann Sebastian Bach. Senza contare le precedenti prove, il giovane pianista di Teheran sfodera ormai dal 1998 un compact dedicato al compositore tedesco: dopo l’integrale delle Partite, L’arte della fuga e le celeberrime Variazioni Goldberg, ecco la volta del Bach “peninsulare”.
Il nuovo Cd, edito da Decca nel 2008, accanto al notissimo Concerto italiano BWV 971 (dal veritiero titolo Concerto secondo il gusto italiano ed espressamente scritto per un clavicembalo a due tastiere), riporta, oltre ai Quattro duetti BWV 802-805 e alla Suite in fa minore BWV 823, un’Aria variata alla maniera italiana BWV 989 e l’esecuzione dell’altrettanto noto e giovanile Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo BWV 992.
Occorre subito dire che Bach non viaggiò mai in Italia, ma si nutrì di partiture provenienti dal nostro paese, come testimoniano le tante trascrizioni di concerti di Vivaldi o lo studio dei principali compositori italiani dell’epoca. Se esiste ed è esistita una maniera tutta italiana nel comporre, Bach deve averla assorbita mediante un’operazione accorta di lettura e poi trasferita nelle sue composizioni per tastiera, risalenti al periodo di soggiorno a Weimar (1708-1717). Come sottolinea Simone Monge nel libretto che accompagna l’album di Barahmi, «la “maniera italiana” non consiste tanto nelle modalità di trasformazione della melodia, quanto nel trattamento della linea di basso» – e ciò è particolarmente ravvisabile nelle variazioni dell’Aria, che tuttavia all’ascoltatore evocano un qualcosa di esotico, quasi pittorico, pur nella rigida forma ripetuta o in quella contrappuntistica a due voci. Mentre nel Concerto italiano il carattere brillante dei due movimenti veloci può quasi essere icona di un gusto nazionale, costruito com’è sui tre tempi del concerto vivaldiano.
Tra Glenn Gould e Rosalyn Tureck
Poco ci interessa qui parlare in generale della Klavier-Übung bachiana, quanto brevemente riflettere sull’approccio di Ramin Bahrami a questi testi e sulla sonorità che vien fuori dalla cura strutturale della sua interpretazione. Come Glenn Gould, Bahrami è interessato a mostrare all’ascoltatore l’intima costruzione della partitura, evitando di trascurare gli elementi più impercettibili (si notino alcune puntualizzazioni espressive nel basso del terzo movimento del Concerto italiano) e predisponendosi a un’evidenziazione plausibile di tutte le voci, in cui rientra la resa degli abbellimenti, particolarmente scintillante nelle variazioni dell’Aria. Eppure il suono di Bahrami non cede mai alla materialità nuda della struttura ossea del testo; non c’è l’intento di trasformare il pianoforte in un redivivo clavicembalo, ma l’idea di servirsi del pianoforte per potenziare la polifonia bachiana. Senza tuttavia toccare i cieli dell’astrattismo simbolico – così com’è venuto da certe interpretazioni musicologiche (si ricorderà il noto paragone, ormai datato, di Albert Schweitzer, fra Bach e il Vangelo: entrambi allegorici e infinitamente interpretabili) – il Bach di Bahrami non ha nulla di manifestamente metafisico e realizza una nuova sintesi, oltre il radicalismo di un Gould e l’antimaterialità di una Rosalyn Tureck. Il suono è sempre regolato su un’altezza media, ma riesce a essere delicato nei punti giusti e a evidenziare, specie nella linea del basso, la sapiente strutturazione delle voci. È insomma l’interpretazione più fresca e nuova che si sia sentita negli ultimi anni delle opere a tastiera di Bach. Dopo la altrettanto positiva prova delle Goldberg – dove il confronto con Gould pesa più di un macigno su qualunque interprete – ci aspettiamo dal giovane pianista di Teheran, classe 1976, formazione italiana, l’incontro col capitale Clavicembalo ben temperato.
Marco Gatto
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 14, ottobre 2008)