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n. 817 del 22/11/2007.
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Anno I, n° 1 - Settembre 2007
Voci e visioni
lungo la strada:
un resoconto
di Clementina Gatto
Da Città del Sole edizioni
racconti al di fuori del tempo
nella storia e nel presente
Un’indagine scrupolosamente sociologica, e, nello stesso tempo, squisitamente poetica è quella che Pino Rotta propone ai lettori nella sua raccolta, La vergine francese, edita da Città del Sole (pp. 176, € 10,00), che si articola in Racconti e Dialoghi immaginari quasi seri (questo il sottotitolo dell’opera). Il testo è articolato in due moduli fisicamente separati all’interno del libro, che si presenta, ad una rapida occhiata, politematico e difficilmente riconducibile ad un tema unificante. Contribuisce all’equivoco la doppia titolazione: la prima parte, infatti, riporta un titolo a sé stante, La vergine francese, dovuto al primo degli undici racconti; la seconda parte, che contiene altrettanti dialoghi filosofici, ha un titolo diverso, Un caffè con Peter Pan, ed è divisa in capitoli, ciascuno corrispondente ad un dialogo.
A ciò si aggiunga la varietà di situazioni presentate nei racconti, ognuna delle quali dipinta con toni diversi, dal serio al sarcastico, fino a punte di lirismo intimistico. Nei dialoghi, invece, è tracciato un percorso ideale attraverso i temi-valori proposti come oggetto di riflessione tra Pablo, portavoce dell’autore, e i personaggi di volta in volta storici o di fantasia evocati grazie ad un immaginario viaggio nel tempo.
Ma che l’assenza di un tema unificante sia solo apparente, si rende subito evidente ad una lettura accurata: nel testo viene condotta un’interessante analisi del reale attraverso gli occhi diversi dei personaggi, ciascuno dal proprio mondo ma tutti alla ricerca del suo (unico?) senso; e, poiché l’analisi richiede mezzi complessi, essi sono di volta in volta presentati nella loro molteplicità, dalla filosofia all’immaginazione, dall’esperienza quotidiana alla scienza, dal costume all’etica e, a volte, alla poesia e alla rivelazione.
Uomini in cammino: il tempo, la ricerca, l’infinito
La voce del narratore, nei racconti, guida il lettore lungo il sentiero della ricerca, sia essa indagine condotta razionalmente e in un arco di tempo determinato, seppur con un accurato simbolismo (come in La vergine francese), sia invece acquisizione data dall’esperienza di vita (come in Il risultato o in Il pensionato quasi incazzato) o, infine, cammino della mente, riflessioni che possono accomunare personaggi reali (l’uomo tout court nell’Attimo portoghese o nel Marinaio) e personaggi di fantasia (Peter Pan in L’isola che non c’è).
Il percorso si snoda lungo scenari scarsamente definiti, perché intimi, funzionali unicamente a delineare il senso, la direzione, che rende diverso ciascun uomo nella modalità di ricerca, mentre collega idealmente tutta la storia umana nell’anelito a misurarsi con l’infinito cui conduce l’intelletto, a partire dall’esperienza sensibile ma al di là di essa, nella tensione tra il tempo del corpo, quello che ci rende uomini soggetti alla caducità, e quello dell’anima, infinito ma inafferrabile, ignoto.
Questa ricerca si palesa in alcuni racconti in misura maggiore che in altri: in Attimo portoghese, in cui è descritta una sorta di epifania della mente, che si allontana da ciò che la circonda e quasi si dimentica di sé («Il silenzio dei miei pensieri ammutoliva tutte le immagini d’attorno»), o in L’alba, in cui il protagonista passa da una comunione piena, quasi surreale con la natura circostante, ad una routine di lavoro qualsiasi che coincide con la morte del personaggio, tanto fisica quanto ideale, quasi a identificare l’appiattimento del tempo, del senso, con la fine della ricerca e la rassegnazione ad un quotidiano esile e al riparo dalle scosse della mente («Si ritrovò a guardare il mondo con il corpo e la faccia appiattiti e schiacciati sul vetro; il mondo che piroettava davanti ai suoi occhi deformi»).
La conoscenza come ricerca: l’umanità (svelata?) attraverso il dialogo
L’invisibilità della voce narrante è infranta nella parte del libro in cui l’io dell’autore si traveste da interlocutore, nei Dialoghi immaginari, tenuti insieme a personaggi reali (Bukowski, Che Guevara, Freud, Marco Polo, Socrate) e immaginari (Don Chisciotte, Paperino, Peter Pan).
La forma dialogica appare una scelta tanto inusuale quanto coraggiosa, perché costringe il lettore ad assumere un punto di vista, a svelare quale ruolo intenda assumere nel dibattito su temi di validità universale e decisamente complessi. E, nell’incalzare delle domande, la curiosità dell’interlocutore Pablo rivela il suo carattere saldo, di chi non ama scendere a compromessi e si augura che l’uomo del suo tempo, di cui fa un ritratto un po’ severo, non si lasci andare al qualunquismo, non si adagi nell’ignavia: «se la rivoluzione non investe la cultura della gente, se non crea una coscienza critica ed autonoma non ci saranno mai uomini liberi», leggiamo nelle parole di Majakovskij.
Tanto più che, dalle pagine del libro, emerge l’immagine di un secolo colpito e indebolito, in cui l’assenza di solidi centri decisionali e di associazionismi credibili determina la solitudine dell’io, la frammentazione e la dispersione del pensiero, che risulta esposto, fragile, un io che si dà in pasto alla massa. Il prezzo, ci avverte l’interlocutore-autore, è la rinuncia all’individualità, alla libertà personale, alla ricerca.
Un’ultima riflessione. L’autore-interlocutore con chi divide questa coscienza della vita? Le riflessioni e le descrizioni sono sempre rivolte ad altri generici, mai presenti. Egli stesso fa dire a Peter Pan: «[la fantasia] devi dividerla assieme a qualcun altro. Altrimenti diventa solitudine». Ma proprio un pizzico di solitudine traspare tra le pagine di un eroe del quotidiano che esterna e condivide le sue riflessioni attraverso l’escamotage del dialogo; eppure è solo, così come è uno solo il personaggio dei racconti.
Viene da chiedersi: dove sono gli altri, di cui parla, che indaga, che condanna? D’altra parte, forse, il referente costantemente sottinteso è proprio il lettore, l’altro per eccellenza, con cui si è chiamati a dividere il quotidiano anche se, difficilmente, in una maniera così profonda e spassionata.
Clementina Gatto