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Anno II n° 13 - Settembre 2008
Una salsa agrodolce:
tante piccole storie
unite da un comune
fattore, il razzismo
di Luisa Grieco e Mariangela Rotili
Un libro di Edizioni dell’Arco spiega
come riflettere sul grande problema
Il razzismo è un problema che l’uomo si porta sulle spalle da molti anni. D’altronde la “paura del diverso” è sempre stata insita nella natura umana. Sarebbe qui inutile, e anche fuori luogo, analizzare il peso che questo brutto fenomeno sociale ha avuto nel corso della storia dell’uomo. Allo stesso modo il razzismo sembra essere un problema distante da noi, forse perché quasi nessuno si definirebbe “razzista”. Alcuni nostri comportamenti, invece, che a volte ci capita di assumere quasi inconsapevolmente, non sono molto lontani dal potersi definire razzisti.
È un po’ quello che, in modo simpatico e provocatorio, ci racconta Kossi Komla-Ebri, medico chirurgo dell’Ospedale Fatebenefratelli di Erba, di origini togolesi (ma italiano a tutti gli effetti) nel suo libro Imbarazzismi (Edizioni dell’Arco, pp. 64, € 6,20). Il titolo è la fusione di due parole, naturalmente: imbarazzo e razzismo. Il primo è quella sorta di pentimento di chi si rende conto di aver fatto una gaffe, di chi ha capito di aver avuto un atteggiamento razzista e se ne pente, si vergogna. La seconda non ha bisogno di ulteriori definizioni. Ecco un esempio: il portiere di un albergo, ci racconta Komla-Ebri, vedendo un signore di colore carico di valige salire su per le scale dell’albergo, lo ferma, chiedendogli dove stia andando col tono di chi pensa di avere davanti il solito venditore ambulante. Il signore gli dice di essere un cliente alle prese con le valige della consorte. Ecco, l’imbarazzismo è servito.
I posti e le circostanze
I luoghi sono i più disparati, le situazioni le più strane ed insolite.
Spesso pensiamo che una persona di colore non possa essere un importante professionista o uno stimato scienziato, crediamo che sia soltanto, quella delle persone di colore, una “categoria” dedita alle vendite da spiaggia (possibilmente sotto il sole cocente) o di bigiotteria a basso costo.
Un po’ quello che è successo all’autore del libro, reale protagonista di molti dei fatti narrati, come quando un signore, all’uscita dal supermercato, lo chiama con aria affabile chiedendogli di riportare, nello spazio dedito alla raccolta, il suo carrello della spesa. Ricompensa per tutta l’operazione? La monetina all’interno del manico del carrello!
Sembrerà strano, ma ci è sembrato di ritrovare un pezzetto di noi in queste situazioni.
Questo divertente, ma allo stesso modo tagliente libro, mette alla luce alcuni aspetti di noi stessi che non conoscevamo molto bene.
D’altronde chi si può definire razzista? Eppure scopriamo che almeno una volta abbiamo pensato in modo razzista, magari anche per un attimo, ma l’abbiamo fatto.
Dell’Africa abbiamo spesso un’immagine distorta: a volte pensiamo ai vari dittatori che si susseguono, alla fame e alla povertà, e forse solo quando arriva qualche calciatore proveniente da quella magnifica terra ci rendiamo conto che lì ci sono uomini come noi, magari anche più bravi a tirare calci ad un pallone rispetto a noi. Ed è per questo che, secondo noi, sentiamo una “presenza diversa” se all’interno di un ospedale dentro un camice bianco non c’è un uomo con lo stesso colore della pelle, bensì un uomo nero. Già, l’“uomo nero” uno dei simboli, per altro antipatici, utilizzato dai grandi per fare paura ai bambini, senza che questi si accorgano quanto ne abbiano paura anche loro del “nero uomo”, che magari si avvicina a loro per vendere un paio di occhiali, o per curarli all’interno di un ospedale.
A ogni cultura, la sua lingua, a volte...
L’altro aspetto esilarante del libro, che allo stesso tempo rende ancora di più il senso realistico dei fatti narrati, è la lingua che Komla-Ebri usa nei brevi dialoghi che lo caratterizzano.
Molti dei personaggi (inconsapevoli) di questo libro si rivolgono al loro interlocutore di colore utilizzando uno stereotipo di linguaggio da sempre utilizzato per fare battute sulle persone di colore, cioè l’uso dei verbi all’infinito e l’assenza di articoli e preposizioni nelle frasi. Alcuni esempi tratti dal libro: «Tu da che paese Africa venire?», «Adesso avere freddo. Tu chiudere finestra.», «Capire italiano?» ecc.
Sembra veramente odioso, figuriamoci per uno che se lo sente dire davvero!
Ma noi italiani lo facciamo così, giusto per semplificare il lavoro di apprendimento a chi non mastica bene la nostra lingua.
I protagonisti, cioè coloro che compiono le gaffe, sono i soggetti più disparati, dall’autista di auto, al portiere d’albergo, al signore che si siede di fronte alla “vittima”, l’oggetto della gaffe, sul treno. Quasi come per dire che il fenomeno è alla portata di tutti e i protagonisti potremmo essere proprio noi.
Con questo avvertimento chiudiamo la nostra recensione, riportando un passo del libro che pensiamo possa sintetizzarne al meglio il senso. Chi parla è l’autore stesso:
«Un giorno, in classe, durante un incontro sull’interculturalità, chiesi ai ragazzi di darmi una definizione del termine “razzismo”.
Subito, il più sveglio esclamò: «Il razzista è il bianco che non ama il nero!»
«Bene!» dissi. «E il nero che non ama il bianco?»
Mi guardarono tutti stupiti ed increduli con l’espressione tipo: “Come può un nero permettersi di non amare un bianco?”.
Carmine De Fazio
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 13, settembre 2008)