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Anno II n° 13 - Settembre 2008
Il teatro, la vera passione
di un noto autore di fiabe
di Anna Guglielmi
Un saggio edito da Abramo consente di compiere
con Andersen un lungo e curioso viaggio teatrale
Il teatro, l’Italia, il fascino del Sud, la fiaba, la divagazione, il sacro: questi e altri elementi, apparentemente eterogenei, trovano coerente armonizzazione in uno dei maggiori autori europei di letteratura per l’infanzia, il danese Hans Christian Andersen. Un interessante viaggio per i teatri d’Italia è quello che Carola Scanavino (docente di Lingua e Letteratura danese all’università di Torino) ci consente di compiere col suo saggio dal titolo Andersen a teatro in Italia (pp. 168, € 12,50), edito da Abramo editore, che conferma ulteriormente la sua qualificata linea editoriale.
Per l’elaborazione di questo studio l’autrice ha analizzato l’edizione critica dei Diari, opera che ripercorre le singole esperienze teatrali e raccoglie le sensazioni e i messaggi ricevuti dalla scena dall’autore danese, pubblicata tra il 1971 e il 1976, e ne ha messo a punto anche una propria traduzione, della quale vengono riportati significativi stralci all’interno del volume.
Partendo dal presupposto che il teatro (quello italiano in particolare) possa essere considerato la maggiore passione in grado di alimentare l’articolata personalità di Andersen, la Scanavino elabora il suo sottile e appassionato lavoro con l’intento di ricostruire, attraverso tali Diari, il percorso teatrale dello scrittore danese durante i suoi intensi soggiorni italiani.
Gli appunti si estendono per un arco temporale lungo cinquant’anni e costituiscono la testimonianza più autentica di questa passione.
Il materiale utilizzato per l’analisi – spesso frammentario e lacunoso, ideato evidentemente per un uso strettamente personale – ha sicuramente generato alcune difficoltà, ma si è rivelato di indubbio interesse, garantendo l’immediatezza e la sincerità delle annotazioni e dando, così, modo di scoprire il vero rapporto di Andersen con il teatro.
Alla ricerca di sogni ed emozioni
L’amore che il celebre autore di fiabe nutre per l’arte teatrale trae origine da molteplici aspetti, primo fra tutti quello di natura sociale. L’ambiente teatrale, infatti, costituisce un trampolino di lancio per l’ingresso nella “buona borghesia”. Le umili origini di Andersen e la sua irrefrenabile voglia di rivalsa renderanno forte in lui il conflitto nei confronti del mondo borghese, che si stempererà solo in età avanzata.
Il suo andare a teatro, quindi, è legato anche e soprattutto a esigenze di comunicazione: un modo consapevole per creare i contatti socialmente importanti.
Di conseguenza le sue scelte teatrali non rispondono sempre a specifici interessi, ma sono in qualche modo veicolate dal repertorio che veniva dato durante il suo soggiorno nelle città da lui visitate. In generale, però, è possibile constatare che la rappresentazione ideale, quella in grado di procurargli maggiore piacere, era per lui una miscela di divertimento e informazione.
Nel condurre la sua analisi la Scanavino non segue il profilo del “tempo” (pur riconoscendo l’importanza dell’elemento cronologico), ma si orienta principalmente attraverso i “luoghi” e i “modi”: i teatri italiani nella loro veste architettonica e nella loro vitalità artistica fatta di colori, suoni, pubblico e atmosfere. Perché Andersen non va a teatro come un critico o un intenditore, quest’ultimo è per lui una grandiosa fabbrica di sogni e di emozioni. La magia che si rinnova a ogni recita è ciò di cui lo scrittore ha dichiaratamente bisogno per dimenticare il proprio disagio spirituale e sociale.
A conclusione del saggio l’autrice conferma la tesi di partenza: l’idea, cioè, che Andersen nutrisse per il teatro un amore del tutto particolare.
Pur avendo parlato principalmente di quelli italiani, è comunque possibile trarre delle conclusioni più generali sulle profonde ragioni di una passione tanto grande. Il nostro viaggio virtuale, dunque, parte dall’essenziale rapporto di Andersen con il teatro italiano, per poi estendere lo sguardo al rapporto col teatro tout court. Ciò a conferma del fatto che l’arte teatrale, nella sua essenza assoluta, rappresenta per lo scrittore la sintesi più completa del proprio essere.
La sostanza del teatro si traduce continuamente in fantasia, accettazione sociale, appagamento dell’armonia e della bellezza, strumento di conoscenza, nonché in un continuo, meraviglioso viaggio della mente in luoghi e mondi sconosciuti.
E ancora, il teatro è il luogo dell’impossibile, dove il colpo di scena accade davvero, tanto da materializzarsi una certa forma di religiosità che si raggiunge solo quando la macchina teatrale è perfetta, ma soprattutto è manifestazione del sé, è la forma d’arte che più delle altre sa mettere l’uomo a diretto contatto con la propria intimità, è il luogo in cui l’irrazionalità oscura ma essenziale, che vive in ognuno di noi, emerge con forza.
L’esperienza di Andersen – come assiduo spettatore teatrale – ha sicuramente contribuito a corroborare in lui l’idea, tanto moderna per il suo tempo, che l’arte abbia a che fare anche con le ombre.
Viaggiando verso Sud
Gli argomenti e le tematiche trattati nel saggio vengono nuovamente ripresi da un ricco apparato di materiali, a firma di Mauro Francesco Minervino, che contribuiscono ad approfondire ulteriormente lo scenario spazio-temporale in cui si colloca la figura dell’autore danese. Sono presenti interessanti informazioni sui viaggi di intellettuali stranieri di spicco verso le regioni del Sud tra il XVI e il XIX secolo, in modo particolare vi sono annotazioni sull’epoca del Grand Tour. Si riportano i viaggi di scrittori e artisti danesi per i luoghi d’Italia, ponendo l’accento su quelli compiuti da Andersen, il quale – proprio nel corso della sua permanenza a Napoli – cominciò a scrivere il suo primo romanzo, L’improvvisatore, ambientato nell’Italia del Sud, fra quei luoghi che aveva appena conosciuto.
Si va più a fondo, proseguendo con un’analisi intima dell’animo dello scrittore, utile ad approfondire le ragioni per cui sia stato così attratto dalla nostra nazione, tanto da visitarla per ben quattro volte dal 1833 al 1861.
In ultimo si analizza l’elemento che lo rende ancora affascinante a noi uomini moderni: la sua «personalità frammentata e contraddittoria, maschile e femminile, razionale e irrazionale», il suo conflitto fondamentale, quello tra l’artista e la società, la sofferenza che l’essere artista – in un mondo cieco e sordo alla bellezza vera – inevitabilmente comporta.
Il volume si chiude con una corposa indicazione di fonti, anche multimediali, di notevole interesse, relative all’attività scientifica e artistica danese in Italia: informazioni utili per chi voglia continuare ad approfondire i molteplici spunti presenti nel libro.
A conclusione del viaggio, lo studio appare di grande interesse sia per gli appassionati di teatro, che scoprono piacevolmente in platea uno dei maggiori autori di favole, che per gli appassionati di Andersen, che hanno modo di osservarlo da vicino e approfondire la passione fondante della sua vita di uomo e artista.
Anna Guglielmi
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 13, settembre 2008)